Laura Ceccherelli
All’orizzonte della Giornata Questioni di Scuola, “Analizzanti nel legame di Scuola”, è
stato proposto un lavoro preparatorio in cartelli-lampo, il tema scelto: Trasmissione e
formazione.
“La psicoanalisi è trasmissibile? […] è per questo che ho fatto la mia “Proposta” con la
quale ho instaurato la passe. Passe in cui ho fatto fiducia per qualcosa che si chiamerebbe
trasmissione, se ci fosse una trasmissione della psicoanalisi. […] è una seccatura che ogni
psicoanalista sia costretto a reinventare la psicoanalisi(1)”. La trasmissione per la
formazione dell’analista, nell’insegnamento che ci lascia Lacan, e nel quale ci orienta
Miller, sono le testimonianze di passe, una per una, nel tentativo di avvicinarsi a ciò che
Lacan espone nell’intervento sopra citato, e cioè “che cosa fa sì che dopo essere stato
analizzante uno diventa psicoanalista?(2)”. Dato che negli ultimi periodi il mio interesse si
focalizza sulle tematiche di fine analisi, passe e oltrepasse, ciò che mi interessa cogliere –
per una mia questione analizzante – in questo breve contributo, è quel momento, nelle
testimonianze, in cui si arriva al passaggio da S1→S2 a S1//S2, quando si rompe la catena
e non c’è più rapporto tra S1 e S2, che rimandi a una significazione. La rottura di questo
legame porta all’emersione di un significante Uno.
Faccio riferimento all’intervista a Michèle Elbaz fatta da Dalila Arpin, pubblicata su
Ironik 45, che mette in luce una frase di Lacan pronunciata in un intervento sulla passe il
3 novembre 1973 “la passe non ha niente a che fare con l’analisi(3)”. Frase opaca per M.
Elbaz che però ha potuto sperimentare quando ne ha fatto lei stessa esperienza nella sua
propria passe, lavorata in après-coup.
“Il momento della passe è stato di un altro tenore, non aveva niente a che vedere con lo
svolgimento dell’analisi che iniziava ad esaurirsi nella sua elucubrazione di sapere
sull’inconscio. Ho incontrato improvvisamente un’altra logica. […] Un passaggio che si
presenta sotto forma di taglio, di disgiunzione, di discontinuità, nella modalità del“niente
a che vedere”, del “niente a che fare”; questo può indicare il distaccamento e lo
svelamento dell’oggetto a nella sua caduta che la dislocazione del fantasma permette. In
questo enunciato di Lacan c’è la modalità del “non rapporto”. […] Non è che è la passe
a non avere niente a che vedere con la psicoanalisi, ma è l’esperienza della passe che
non ha niente a che vedere con l’esperienza della psicoanalisi. Passa da un evento di
corpo(4)”.
A fine analisi M. Elbaz estrae un sintagma, in una seduta, “pas achevée” (non portata a
termine) quando l’analista chiede “cosa le dà fastidio della sua immagine”, un disagio
intenso provato nel corpo e di cui non riusciva a dire la penosità, è stato spazzato via in
contrappunto dal sintagma.
“C’era solo qualcosa sperimentato nel corpo che si è rivelato essere un evento di corpo,
e ciò si è detto da solo, un dire inatteso senza intenzionalità, che si è staccato e che mi ha
sorpreso. Una parola sotto forma di witz, apparsa in forma inedita, che non appartiene
all’essaim degli S1 identificatori. È la risposta di un reale. È stato possibile poiché
l’immagine dolorosa e otturante ha potuto deviare grazie alla domanda dell’analista che
ha operato un taglio ed è caduto l’oggetto a. In questo buco di irrappresentabile è sorto un
significante nuovo, qualcosa dell’ordine del godimento ha cessato di non scriversi.
Richiamava la carenza del soggetto alla nascita, ma che indica “pas morte” (non morta).
Questo è dell’ordine dell’esistenza. […] Si passa dall’inconscio come elucubrazione di
sapere sul corpo parlante a un atto, che in quanto tale, è certezza (non certezza dell’atto,
ma nell’atto) che apporta un sapere nuovo in una contingenza. Qualcosa cessa di non
scriversi e cessando di non scriversi, rivela un’altra prospettiva, quella di un’esperienza
di godimento che conduce a una soddisfazione(5)”.
In questi passaggi estratti dall’intervista fatta a Michèle Elbaz si può notare nello sviluppo
della testimonianza che viene meno il sapere che si dispiegava in analisi. Quel sapere che,
come mette in luce J.-A. Miller nel suo corso l’Essere e l’Uno(6), è un sapere che dà senso,
che completa un significante S1 con un S2, significante di sapere che dà senso al primo,
un sapere che si dispiega in analisi. Si può cogliere il taglio, l’interruzione di rapporto che
pone in essere il senso del sapere S1-S2. Nelle testimonianze, qui ne prendo solo un
estratto per cogliere questo effetto di interruzione di rapporto tra i significanti, c’è una
trasmissione di un buco nel sapere. Un’altra trasmissione di sapere, un sapere nuovo che
emerge, proprio grazie al non rapporto tra S1-S2. È una definizione di sapere per Lacan,
che non passa per questa attribuzione di senso, ma che porta con sé ciò che Freud
chiamava come resti sintomatici, “che obbliga il sapere come sola iterazione di S1, di
un’identità di sé a sé che si mantiene e costituisce il fondamento dell’esistenza(7)”. Si stacca
un S1, in questo caso “pas achevée”, che emerge pungolato dalla domanda dell’analista,
passando da un evento di corpo, e dal buco lasciato aperto dalla caduta dell’oggetto
sguardo, emerge un significante nuovo, un S1 tutto-solo, con un’identità a sé stante,
staccata, come lettera, marchio, che si ripete in una nuova e più soddisfacente economia
pulsionale.
1 J. Lacan, Sulla trasmissione della psicoanalisi, La Psicoanalisi n. 38, Astrolabio, Roma, 2005, p. 14.
2 Ibidem.
3 J. Lacan, Intervento nella seduta di lavoro “Su la passe” di sabato 3 novembre (pomeriggio) 1973, Lettre de l’EFP,
n.15, p.189
4 Intervista di Dalila Arpin a Michèle Elbaz, Ironik, n.45, online.
5 Ibidem
6 J.-A. Miller, A. Di Ciaccia, L’Uno-tutto-solo, Astrolabio, Roma, 2018, p. 148.
7 Ibidem