Jacques-Alain Miller
Intervento alla Scuola – Serata dei cartelli – dell’11 dicembre 19861
L’espressione “elaborazione provocata”, forgiata da Pierre Thèves a partire da un testo di Lacan indicante quello che spetta al più-uno del cartello, fa centro ed è con molto piacere che ho accettato, su suo invito, di cimentarmi questa sera in alcune variazioni su questa formula. Ne proporrò cinque. Del cartello non esporrò il concetto, ma dirò l’uso che io ne faccio. Di punto in bianco: il cartello mi ha interessato per scopi di sapere. Ammetto volentieri altri usi. Questo è il mio.
Variazione I – Una formula coniata
La formula dell’elaborazione provocata è coniata ed è persino armoniosa. Risuona e parla latino. C’è il labor e la voce, e anche due prefissi, ex (fuori di, a partire da) e pro (avanti, di fronte a). Ed è sempre così che si elabora: a partire da…. Ed essendo chiamato, suscitato da…
Il lavoro è suscitato sempre da un appello, un appello di provocatori, che cerca quello che è latente e che, chiamando, rivela, addirittura crea. La chiamata al lavoro è il suono di tromba per il risveglio, fa appello. La struttura più semplice dell’elaborazione provocata ci è data dalla prima riga del primo dei quattro discorsi:
S1 → S2
o anche, se si scollano i significanti per lasciare solo l’indicazione dei posti:
- –
Dò questa come la struttura minima, il matema dell’elaborazione provocata.
Variazione II – Una elaborazione è sempre provocata
Se c’è provocazione al lavoro, all’elaborazione, è perché non c’è nessuna vocazione al lavoro. Ci sarebbe piuttosto vocazione alla pigrizia. É un tema degli economisti: in che modo provocare al lavoro i lavoratori la cui china, da quando si è installato il discorso capitalista, sarebbe quella di godersela? Con che stimolanti materiali o con che stimolanti ideologici? Di fatto, la stimolazione è sempre significante.
Prendete, ad esempio, il gruppo analitico: la passe è certamente un’elaborazione provocata. Si tratta, tramite l’appello che comporta l’offerta della passe, di provocare una elaborazione dell’analisi di fronte ai passeurs; poi, dopo la procedura, l’A. E., in quanto “nominato a”, è provocato ad elaborare per il pubblico. Anche un’analisi rientra quindi nel registro dell’elaborazione provocata. É quello che dice, a suo modo, il termine Durcharbeitung, che hanno giustamente tentato di tradurre variando il termine tra “elaborazione”, “perlaborazione”, “translavorazione”; ci si potrebbe accontentare del termine francese “elaborazione”. L’analisi è un’elaborazione provocata dal significante del transfert. A questo proposito, non dimentichiamo il significato del transfert che, nel mio seminario, io chiamavo il suo “effetto semantico”. Sottolineo che il soggetto-supposto-sapere, che è una significazione, è ovviamente distinto dal soggetto che sa, da porre invece in posizione di agente. Il soggetto-supposto-sapere non è affatto un sapere-agente che, invece, ha un effetto di blocco sull’elaborazione; il suo modo di provocare l’elaborazione è piuttosto quello di revocare o perlomeno di rinviarla a più tardi – ed è quello che comporta, dopo tutto, la nozione stessa di educazione.
Variazione III – L’elaborazione di discorso
I quattro discorsi sono, se si vuole, quattro tipi di padronanza ma possiamo anche trattarli ognuno come dei modi di provocazione, cioè nominare ognuno dei posti del discorso con un termine nuovo: al posto dell’agente, metto la provocazione; al posto dell’altro, del lavoro, metto l’elaborazione; in basso a destra, la produzione, come è detto; e – perché no? – al posto della verità, l’evocazione, che risponde allo statuto allusivo della verità.
provocazione elaborazione
_________________________________________
evocazione produzione
Nel discorso del padrone, la provocazione assume la forma, che evocavo prima, dell’appello al lavoro, la cui funzione è ricordata da Lacan ne L’etica della psicoanalisi.
Il discorso dell’università, lo qualificavo prima come elaborazione revocata, ho detto anche differita. Che cosa viene prodotto qui? – un provocatore. Non ci si deve stupire della ricorrenza, laddove il discorso universitario funziona, di quello che si ha l’impressione che venga considerato come contingente, ma che invece è la sua produzione necessaria: il discorso universitario produce, ha sempre prodotto dei provocatori – termine che prendo nella sua migliore accezione.
Variazione IV – L’agente-provocatore
Così come lo intendo io, il più-uno deve essere un agente provocatore. Ha sicuramente un onere di direzione, e credo che non dovrebbe rappresentare un problema collocarlo al posto dell’agente. Questo incarico, quindi, come esercitarlo?
C’è una china a farlo come padrone (maître) e persino come “mettere-al-lavoro” (“maître-au-travail”), se così posso dire, e si fa spesso appello al più-uno a questo titolo. Il problema è che, in quanto padrone, non può mettere al lavoro che del sapere già-lì. E non può produrre che del fuori-simbolico, che – diciamo così per ora – è l’oggetto a.
Se si fa appello al più-uno in quanto sa o saprebbe, si produrrà S – dobbiamo saperlo in anticipo – e sappiamo quello che produrrà l’appello fatto al più-uno in quanto analista, scelto proprio per questo motivo, vedremo quello che ne risulta.
Dirò subito che la struttura che risponde meglio alla mia esperienza del cartello è quella del discorso isterico.
In effetti, quando un cartello termina con un risultato del tipo “qualcosa che non si può dire” – so che molti cartelli terminano con un “non si può testimoniare di quello che abbiamo fatto” – questo mi pare il segno che c’è stato del padrone in partenza, di cui non ci si è liberati. Non trovo affatto, in questa impotenza, la prova che si avrebbe, in questo caso, un cartello eccellente.
Se il cartello ha ritenuto di cooptare un analista e quest’ultimo si limita a questo, il che in un cartello significa cazzeggiare, il risultato è noto: i partecipanti perdono tempo. É la struttura del discorso analitico, ma trasposto al cartello, con, come unico risultato, la denuncia di alcuni significanti-padroni – il che mi sembra comunque un po’ poco. Se si parte, nel cartello, da un sapere costituito che si tratterebbe di acquisire presso il più-uno, si avranno invece le famose “crisi del cartello”, annotate come S. In genere sono la testimonianza del fatto che hanno messo al posto di comando un sapere già fatto, un sapere-in-somma. Si ottiene un risultato di sapere solo a condizione di mettere in posizione di più-uno S. Si tratta, quindi, di proporre per il cartello la struttura del discorso isterico, di cui non si deve dimenticare che Lacan diceva che era quasi quella del discorso della scienza. Ed è per questo motivo che, se dovessi scegliere un modello di più-uno, sceglierei Socrate, Socrate che è rimasto nella memoria comune per le elaborazioni che provocava nei suoi interlocutori: quelli che sono stati chiamati i dialoghi di Platone sono di fatto delle elaborazioni provocate.
Il più-uno deve venire con dei punti d’interrogazione e, come mi diceva un soggetto isterico, che se ne vantava come della sua funzione eminente in questo mondo, fare dei buchi nelle teste. Questo suppone che si rifiuta di essere un padrone che mette al lavoro, di essere uno-che-sa, di essere analista nel cartello, questo per essere quell’agente provocatore da cui c’è insegnamento.
Ultima variazione – L’arte di essere più-uno
Il cartello – il riferimento che ho fatto al comportamento di Socrate – è una sorta di Convivio. Il Convivio comporta, infatti, quello che ho evocato sino ad oggi:
$→ S1
↓
S2
Ma vi si aggiunge che si imputa all’agente di celare, nel suo stesso vuoto, la causa del desiderio, sotto le apparenze brillanti dell’agalma :
$
–
a
Che ne è, su questo punto, del cartello? Possiamo certamente supporre che, nella scelta di quattro per un più-uno, entri sempre in gioco un elemento di attrattiva, e i più-uno possono esserne lusingati. Ma che fare dell’agalma nel cartello? É proprio al suo posto?
Osservo che, se è vero che il più-uno in quanto soggetto fa lavorare – e a questo riguardo si potrebbe parlare del suo atto – deve lavorare anche lui: c’è anche un compito del più-uno. E non gli consiglierei di fare lo stupido, poiché è anche lui uno dei membri del cartello. Poiché lavora, significa che a, invece di essere posto sotto la sbarra, viene in posizione di far lavorare il soggetto. Il che mi porta ad alterare questa struttura.
a → S → S1
←(x) ↓
S2
Elimino così l’a dal suo posto statutario. Qui sarebbe l’ascesi del più-uno. Il più-uno non deve esaurirsi incarnando la funzione del più-uno. Il più-uno non è il soggetto del cartello; gli spetta di inserire l’effetto di soggetto nel cartello, di prendere su di sé la divisione soggettiva.
Questo mi conduce a chiarire il termine di più-uno con quello di meno-uno: il più-uno si aggiunge al cartello solo de-completandolo, “di doversi contare e di fungere solo da mancanza”2
L’attrattiva Il più-o-meno-uno Lo sciame
a → $ → S
↓
S2 → (x) → ↓
S2
Quello che Lacan sapeva L’ascesi Il più-di-godere
Questo meno-uno è molto ben scritto con $, mentre leggo in questo S1 lo sciame, come è capitato a Lacan di scriverlo.
Uno sciame si trova al punto che io considero il seminario che animo tutte le settimane in questa sala come un grande cartello. Certamente non è un cartello stricto sensu; ma non è incompatibile con questa scrittura, che ci siano un po’ più di api. Su questo vedete “Televisione”: Lacan vi evoca la quasi identità di struttura tra l’isteria e la scienza, e anche le api al lavoro e von Fritsch. Il mio seminario è per molti un grande sciame in cui io stesso sono ape, non Regina!
Ho evocato prima la scelta del più-uno, evocherò ora la composizione dello sciame, quella che a me pare corretta. Ritengo che questo sciame sia ben formato quando ciascuno ha diritto di esserci. Intendo dire: che ciascuno vi sia nell’esercizio delle proprie funzioni; questa logica comporta che i membri lavorino a partire dalle loro insegne e non dalla loro mancanza-ad-essere. Spetta al più-uno, non solo ottenere che emerga l’effetto soggettivo nel cartello, ma, correlativamente, ottenere che i membri del cartello abbiano lo statuto di S1, come anche lui, in quanto membro del cartello. Sono dei padroni, dei significanti-padroni, che sono al lavoro – non dei soggetti-supposti-sapere, non degli eruditi. La funzione di colui che si presta al più-uno (per abbreviare: il più-uno) è di fare in modo che ogni membro del cartello abbia il suo tratto proprio; è quello che forma una squadra. Evocavo il Convivio, ma si tratta piuttosto di mettere insieme un mazzo di fiori. Si devono, quindi, identificare i membri dello sciame. É anche ciò che comporta, a mio avviso, una pratica del seminario che si ispiri al cartello: fare in modo che ognuno vi entri con un tratto proprio, messo in risalto in quanto tale. È la condizione per avere un lavoro che produca del sapere.
Oso a malapena evocare, ora, la questione così delicata del transfert nel cartello. Conosciamo la struttura del transfert socratico, ma il transfert nel cartello, diventa lavoro di transfert di lavoro.
Il Lavoro-di-transfert Il Transfert–di–lavoro
a → $ → S1
Ciò che ne verificherebbe la formula è la posizione stessa in cui Lacan si è sostenuto nell’insegnamento: pressante a sapere, ma in posizione di analizzante e parlando solo a partire da Freud. Per dare, quindi, la sua giusta collocazione all’oggetto nel cartello è necessario che il più-uno non si appropri dell’effetto di attrattiva, ma che si riferisca altrove, per noi, a Freud et a Lacan.
Risposta Jacques–Alain Miller durante la discussione
[…] La logica indica che c’è produzione di sapere solo se il lavoratore non è impacciato dall’effetto soggettivo, altrimenti non produrrà altro che denuncia, la denuncia dei significanti-padroni. L’effetto soggettivo deve essere relegato al suo posto. Il più-uno lo prende su di sé – perché gli altri se ne sbarazzino. L’esperienza tende a mostrare, in effetti, che è molto dannoso, per quanto concerne la produzione di sapere, che ciascuno sia nel cartello per dedicarsi all’associazione libera o per cazzeggiare. Non può essere così per i cartelli della passe, che hanno un lavoro da fare, l’obbligo di produrre un sapere, e il cui funzionamento deve essere individuato rispetto al discorso isterico, in quanto è quasi quello della scienza. Il cartello della passe funziona certamente a contro-pendenza rispetto al discorso analitico, poiché accorda o rifiuta una nomina, mentre il discorso analitico culmina nella denuncia dei significanti-padrone, nell’effetto detto di destituzione soggettiva, nel senso anche dell’istituzione analitica. Questo, però, non è il discorso del padrone, poiché da colui che è “nominato a” ci si attende anche un lavoro di produzione di sapere. Questo modo di affrontare le cose ha il vantaggio di indicare come prendere la questione dell’elaborazione collettiva. Questa questione si pone ovunque nella scienza sotto forma di priorità: quando due o tre persone parlano insieme, vai a capire poi chi ha fatto emergere la cosa: c’è quello che l’ha detta, ma c’è anche quello che gliel’ha fatta dire, e quello che si è accorto che era importante. Alla fine, si condivide il premio Nobel…. É l’idea Bourbaki che ha presieduto alla creazione di Scilicet. Ora, se c’è una struttura in cui il collettivo ha un senso, è proprio il discorso isterico. Le epidemie isteriche sono infatti dei fenomeni di elaborazione collettiva. E in tutti i fenomeni dove c’è della spontaneità, come nelle attuali manifestazioni studentesche, c’è elaborazione collettiva, di brevi testi, di brevi slogan. Forse c’è un piccolo comitato da qualche parte che li cesella al millimetro, come nei salotti secenteschi delle Preziose, ma è comunque dell’elaborazione collettiva. Riassumendo: più si coltiva l’isteria di cartello, più l’elaborazione si collettivizza.
[…] I significanti-padroni prodotti nell’esperienza analitica lo sono in uno statuto di decadenza. Ho privilegiato l’aspetto: “denunciare le identificazioni”. Che cosa scandisce una analisi? Delle identificazioni che “cadono”. Non scompaiono comunque tutte, ma il soggetto fa perlomeno l’esperienza di quello che, del suo essere, non è rappresentato da tali significanti-padroni.
[…] L’unica istanza su cui lavorare, per produrre un sapere, sono degli elementi strettamente identificati. Lo si vede negli scout: ognuno s’inventa un nome. Ovviamente, non paragoneremo il cartello alla banda di scout, ma, in fin dei conti, in comune hanno la nozione di squadra.
É per l’insistenza di Jean-Pierre Klotz che consegno questo intervento alla Lettre mensuelle: non vorrei perpetuare dei matemi di Lacan trasformati per le esigenze della causa. J.-A. M.
Traduzione di Adele Succetti
↲1 | Il testo, in francese, si trova sul sito dell’Ecole de la Cause freudienne: https://www.causefreudienne.net/cinq-variations-sur-le-theme-de-lelaboration-provoquee/ |
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↲2 | Questo significa spostare il cartello dalla logica del tutto e dell’eccezione in cui è nato (il termine “più-uno” lo indica abbastanza) a quella del non-tutto (risposta a un’osservazione di Brigitte Lemerer). |