Circa 17 anni fa, ho scritto per la Rivista “El Caldero de la Escuela” un testo che ho intitolato “Ragioni”.
Partivo da un’idea: esiste il cartello. Questo continua a essere il mio orientamento sul tema, per cui ricomincio da qui.
Le giornate Nazionali dei Cartelli mostrano l’esistenza del cartello nella nostra Scuola, per ora niente di più.
In un secondo tempo di riflessione, possiamo conversare su ciò che accade con l’attuale funzionamento del cartello.
Pensare tale funzionamento introduce il cartello come problema, per il quale è meglio non trovare una soluzione.
Preservare l’esistenza del cartello comporta il fatto di accettarlo come un dispositivo-problema.
Questo permette di discutere dei possibili usi del cartello, dei cartelli che esistono e non di essenze pure, irrealizzabili, esseri senza esistenza.
Tra la sua esistenza, quasi come un valore assiomatico – quello di cui non si discute perché è parte delle fondamenta e delle essenze pure – c’è l’uso che noi facciamo del cartello.
L’uso è sempre impuro, paradossale, circostanziale, sintomatico.
In R.S.I Lacan pensava il cartello come tre più uno, in sintonia con gli sviluppi sul nodo di quell’epoca.
Quella proposta non è rimasta; in seguito si è installata quella di quattro più uno, che Lacan stesso aveva formulato.
Ma oggi, abbiamo cartelli lampi e cartelli allargati. Mi domando cosa si conserva in tutti questi usi antichi e attuali: l’uno per uno e il più-uno, che è ancora un altro uno per uno.
Oltre alle forme in cui si presenta un cartello, c’è il modo in cui qualcuno lo usa.
L’uso che mi è sempre risultato più reale è quello che Miller suggerisce, a partire dall’esperienza di Bourbaki: “c’è quello che dice, quello che ha detto e quello che si rese conto che era importante”.
Questa formula potrebbe ben rappresentare il lavoro e l’elaborazione genuina in un cartello.
Riconosciamo che non è quella più comune, anche se succede a volte.
Gli ostacoli, gli impedimenti in un cartello si sostengono da ciò che del gruppo invade il cartello.
Per questo, è necessario rivedere cosa intendiamo per gruppo.
Il gruppo, il cartello: politica
Lacan propone di tradurre il massen freudiano come gruppo.
Quando utilizziamo il termine gruppo per poi parlare degli effetti di gruppo, stiamo parlando di gruppo-massa.
Il cartello è un gruppo che non è – o almeno dovrebbe evitare di essere – un gruppo-massa.
Allora, di che gruppo si tratta quando parliamo di cartello?
Per andare avanti nel tema, mi aiuto con la distinzione tra massa e moltitudine.
Porto l’ipotesi di prendere il cartello come cartello-moltitudine e non come cartello-massa.
Allora, dico che la massa massifica, cioè, annulla, degrada e distrugge qualsiasi singolarità.
La moltitudine recupera le singolarità. Ho trovato in Spinoza una definizione di cartello. Il filosofo afferma: “Intendo per cose singolari, le cose che sono finite e hanno un’esistenza limitata e, se diversi individui cooperano per una sola azione, in modo tale che tutti loro siano, allo stesso tempo, causa di un solo effetto, considero tutti loro, al rispetto, come una cosa singolare”.
In questa definizione c’è il germe di ciò che Spinoza considera come moltitudine. Nel cartello-moltitudine, il numero è indefinito, esso è parte del gruppo, diversi insiemi che conservano le singolarità e scommettono con un altro nel collaborare, sostenuti in una dinamica Bourbaki.
E quando Spinoza diventa un poco politico, o molto, ci spiega che la moltitudine si avvicina alla civitas, alla cittadinanza, dove in molti uniscono le forze per il beneficio che produrrà l’associazione.
Il cartellizzante è più suddito che schiavo. Schiavo è “chi obbedisce a ordini dettati a vantaggio di chi li impartisce (…) il suddito compie, per ordine del sovrano, ciò che è utile per la comunità, e quindi per se stesso”.
Lo schiavo è per la massa come il suddito è per la moltitudine. Il più-uno della massa, permettetemi l’espressione, resta ridotto a dare ordini, un padrone, mentre un sovrano si sostiene più nel saperci fare con l’uso del cartello in cui si include, allo stesso tempo come suddito, essendo questa un’esigenza etica inevitabile.
La domanda per il più-uno: come radicalizzare le singolarità? In termini di Spinoza: come si incita la convergenza della potenza del gruppo?
Questa è la chiave di questa lettura. La potenza spinozista implica inclusione, aggregazione, è sempre aperta, in espansione e sostenuta nella conservazione dell’eterogeneo che si raggruppa.
Per concludere questo punto, mi lascerò guidare da Blanchot. Quando lui pensa al rapporto con l’altro, con il simile, si esprime con una bella formula: “ma présence à autrui”, la mia presenza nell’altro, nel prossimo.
Se a questo sommiamo la formula Bourbaki, sarebbe: la mia presenza nell’altro senza accorgermene. Non ci sono, nel cartello, diritti di autore. Chi ha detto questo? Non si sa ma io l’utilizzo.
Il cartello si sostiene in una pratica di efficacia indiretta e discreta, molto lontano da qualsiasi attivismo.
Singolarità: clinica
Vorrei partire da una definizione di Lacan del Seminario XXIV: “È molto fastidioso che il reale non sia concepito se non per essere improprio. Non è affatto completamente come un linguaggio. Il linguaggio non è improprio per dire qualsiasi cosa, il reale non è improprio che per essere realizzato.”.
Improprio viene dal latino e significa alieno, strano.
Diciamo di qualcuno che ha un’attitudine impropria quando la medesima non è stata all’altezza delle circostanze.
Vediamo già, dalla psicoanalisi, la debilità della definizione.
Chi giudica che qualcosa è impropria? L’improprio per qualcuno può essere il più proprio per un altro.
Però Lacan aggiunge che il linguaggio è improprio per dire qualsiasi cosa. Non chiediamo ai nostri pazienti che dicano qualsiasi cosa?
E alla fine: il reale è improprio per essere realizzato. Di questo si può cogliere qualcosa in più: il reale rimane alieno, strano, opaco, diciamo.
Non è necessario precipitarsi nel pensare che il contrario dell’improprio sia il proprio.
L’improprio è l’impersonale di ogni personne. Uso il termine in francese perché non abbiamo in castigliano un termine per indicare che qualcuno può essere qualcuno e nessuno.
Allora: è necessario “conoscere” il nostro proprio improprio e, per questo, è necessario analizzarsi.
Là dove Heidegger proclama l’autenticità, la Psicoanalisi trova che l’inautentico – qualcosa di più reale – attraversa tutto il tempo l’autentico.
Non si tratta di cancellare, eliminare, far sparire l’inautentico di qualcuno ma di circoscriverlo a sufficienza.
Fino a qui, proprio e improprio, così come autentico e inautentico, si incontrano in una duplice faccia, in cui non si sa dove comincia e dove finisce, nell’uno o nell’altro.
Si scopre che, nel ritorno che riceviamo dall’Altro, rimane eliminata la linea divisoria tra proprio e improprio, ciò che permette di affermare che l’improprio è il più proprio di ciascuno.
Uno entra nel cartello con il suo improprio attorno, con la sua inautenticità sopra.
In questo punto, il cartello è clinico nella prospettiva di continuità di una pratica.
Il cartello favorisce, se qualcuno ne approfitta, un indice di trattamento che ognuno può dare al suo improprio.
Alla fine uno, come corpo parlante, cade in un cartello.
Se acconsente a lasciarsi cadere, soavemente, conversa coll’improprio pluralizzato.
Mi direte: è una conversazione di folli. Perché no?
Traduzione dal portoghese di Isabel Capelli
Note bibliografiche:
- El Caldero de la Escuela Número 81- E.O.L, Buenos Aires, octubre 2000.
- J. Lacan, Il Seminario 22, RSI, inedito.
- J.-A. Miller, “Cinque variazioni sul tema dell’elaborazione provocata” https://cartello.slp-cf.it/newsletter/newsletter-1/cinque-variazioni-sul-tema-della-elaborazione-provocata/
- B. Spinoza, Etica, Laterza, Bari, 2017.
- B. Spinoza, Trattato Teologico-politico, Einaudi, Torino, 2007.
- M. Blanchot, La comunità inconfessabile, SE, Milano, 2002.
↲1 | Membro AME dell’EOL e dell’AMP. |
---|---|
↲2 | Il testo, pubblicato in portoghese il 26 maggio 2020 su Lacan XXI, è disponibile qui: http://www.lacan21.com/sitio/2020/05/26/o-cartel-ainda/?lang=pt-br |