Barbara Lupo
La mia prima esperienza di Cartel mi rese chiaro quanto la Scuola di Lacan si distinguesse dal significante scuola inteso come istruzione e suo plurale.
Lavorando in gruppo colsi l’assenza del gruppo e la funzione del Più-Uno quando l’iniziale domanda di mantenere il compromesso con il discorso del mio reale scientifico e di lavoro in una clinica psichiatrica (“un vero Padrone, infatti, comanda senza volerne sapere niente di più” 1 ) rimase priva di risposta collettiva e transferale2.
L’interrogazione rivolta alla clinica borromea attraverso i seminari di Lacan e un articolo del Più-Uno mi sorprese un giorno in cui, ferma al volante della mia auto appena parcheggiata, vidi nella mia mente il registro dell’immaginario slacciarsi e sciogliere il fragile nodo del caso a cui facevo riferimento.
Il tempo del Cartello mi lasciò in quel “disorientamento metodico che è quello che … riconduce al … punto di S barrato, al … punto di non-sapere e anche di disponibilità, il che ci dà una chance di proseguire, non sulla strada già aperta, […] le stesse cose da un’altra prospettiva”3.
Quell’effetto (sorpresa), quella elaborazione mossa dagli incontri con altri Uno e il Più-Uno4, quel tempo che si chiudeva mantenendosi aperto, rivelò un lavoro e una esperienza che modificò la mia relazione con il sapere e con la Scuola.