Carlo Viganò1
Lacan ha proposto il Cartello come l’organizzazione di base della sua Scuola.
La sua è una Scuola di psicoanalisi, non ha altra ragione sociale: Scuola è il luogo, l’istituzione della formazione.
Lacan avvicina la formazione dell’analista alle formazioni dell’inconscio, che illustra nel Seminario V, prendendo come paradigma quella del Witz. Proviamo a rintracciarne la struttura nel cartello, che è un modo di rapportarci al testo della psicoanalisi in compagnia di qualche amico (o comunque di qualcuno che sia di nostro gradimento), affinché la lettura diventi un esercizio piacevole e creativo. Le battute che ci aspettiamo da un cartello non sono di puro divertimento o di sfogo dissacrante (altrove tipici degli organismi di base). Lacan presentando i suoi Scritti2 con un articolo intitolato “Ouverture di questa raccolta” ce ne dà un’idea, terminando con queste parole: «Noi vogliamo, con il percorso di cui questi scritti sono i paletti [perché no: i cartelli indicatori] e con lo stile che il loro interlocutore comanda, portare il lettore [nel nostro caso: il cartellizzante] ad una conseguenza per la quale gli occorra mettere del suo».
Il cartello come operatore di un particolare effetto di lettura (quello di metterci del proprio) o, se volete, la scuola come prodotto della lettura in cartello. È una forma di democrazia che vede i cartelli in una distribuzione invertita rispetto a quella che viene determinata da altri cartelli che operano nella società (quelli di Medelin o del petrolio, ad esempio).
Sono forme di risonanza e di godimento, che spesso nel caso della lettura del testo di Lacan diventano di imbarazzo, ma che sfociano anche in un effetto di piacere condiviso: in una giornata di inter-cartelli, P. Monribot3 provò a raggrupparle come cartello-Graal e cartello-poeta.
Il titolo dato da Lacan alla rivista della Scuola le condensa in una formula: Scilicet. Tu puoi sapere, che Miller4 ha tradotto «Tu puoi sapere che non ci capisci niente»: sapere e comprensione non si riferiscono alla medesima operazione.
Il cartello prende il posto di Graal di quanto leggiamo: «L’ultima volta vi ho parlato del Graal. Siete voi il Graal, che io solidifico con ogni sorta di risveglio delle vostre contraddizioni, al fine di farvi confermare nello spirito, se mi posso esprimere così, che sono io ad inviarvi il messaggio. L’essenziale di questo Graal consiste nei suoi stessi difetti»5. Si tratta di una solidificazione immaginaria volta a consentire l’effetto di motto di spirito. Il cartello diventa la coppa, quella “speciale comunione” che autentifica non il suo pensiero, ma quello che Lacan chiama il vino della parola, che altrimenti si spargerebbe nella sabbia.
Egli precisa che questo Graal è vuoto e che non si tratta di una comunione che tenda ad un qualunque accordo di desiderio o di giudizio. Non c’è qui nulla che ci unisca: è solo una forma. Ed è esperienza diffusa che i cartelli, senza una loro formalizzazione, non vanno lontano.
Quello che il cartello solidifica è una resistenza, risvegliata dalle nostre contraddizioni, inibizioni, incomprensioni, da tutti quegli ostacoli grazie ai quali un altro cammino viene lasciato libero, dove il messaggio si faccia sentire come un’eco, così come lo farebbe una concavità che riflette. Il messaggio come un effetto di lettura.
«… È all’interno della resistenza del soggetto – che per una volta, ed è per noi molto istruttivo, cerco piuttosto di far emergere – che si farà intendere qualcosa che risuonerà molto più lontano, e che farà sì che il motto di spirito risuonerà direttamente nell’inconscio»6: non capirci niente nella lettura, può dunque essere un buon ostacolo perché qualcosa che risiede molto più lontano si faccia intendere. Per questo ritorniamo sempre alla lettura di Lacan, non però per farne una lettura infinita, una cattura immaginaria, ma perché la cattura dell’oggetto agalmatico prenda il posto della resistenza della coppa, perché si annodi la consistenza di una produzione come consistenza sociale della psicoanalisi. La formalizzazione del cartello come organismo di base della scuola crea un aggancio tra un godimento autistico della lettura e una comunità di significanti, quelli che condividiamo nel cartello per lavorare un testo.
Il cartello-poeta. Quando si legge un poeta non gli si chiede di spiegare quello che sta scrivendo, ma si cerca di stupire il metodo con cui egli ha scritto quel testo. La lettura in cartello porta a utilizzare ciò che l’impiego di ogni parola può chiarire, così come l’ombra che esso comporta. Non si tratta che di una parola data all’oggetto, quella che ne esprime il carattere muto ed anche la lezione.
Riporto l’esempio citato da Monribot di un cartello sul Seminario V, cui ha partecipato.
Una frase rilevata da uno dei cartellizzanti è ritornata ripetutamente nel lavoro del cartello, a volte chiarificatrice e quasi familiare, ma senza mai perdere il suo carattere di estraneità: «grazie a questo minimo spessore di irrealtà che è dato dalla prima simbolizzazione, c’è già un reperimento triangolare»7. È diventata una frase chiave, nonostante la difficoltà di ritrovarla nel testo o di ricordarla a memoria. L’effetto di ripetizione si accompagnava a quello di ridere per la nostra insicurezza. Le nostre spiegazioni non hanno esaurito il senso di questa frase ed è per questo che non abbiamo smesso di ritornarci per afferrarne l’abisso semplicemente con il formularla. Cose come questa danno il gusto del cartello, oltre a farne lo stile. Entrambe le linee convergono sul fatto che la psicoanalisi si trasmette attraverso l’esperienza del suo oggetto e che questa ha bisogno di trovare una direzione (che mantenga la distanza da un “ideale di senso-pieno”): è la funzione dell’insegnamento. Il cartello è la prosecuzione dell’insegnamento di Lacan. È sicuramente una trasmissione legata al transfert, che però funziona nella direzione inversa rispetto all’università. Qui, nella pedagogia lacaniana,8 il soggetto supposto sapere è dalla parte dei cartellizzanti ed il più-uno opera per la sua destituzione soggettiva, creatrice di nuove forme dell’oggetto a.
Note
↲1 | Testo pubblicato su Appunti Anno XIV – Numero 110, 2006, Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano. |
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↲2 | J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 6. |
↲3 | Les usages du cartel, www.wapol.org |
↲4 | J.-A. Miller, Seminario L’orientation lacanienne, Un effort de poésie, 12 marzo 2003 (inedito). |
↲5 | J. Lacan, Il Seminario. Libro V, Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino 2004, p. 121. |
↲6 | Ibid. p. 120 |
↲7 | Ibid. p.228 |
↲8 | J. Lacan, Il Seminario. Libro X L’angoscia, Einaudi, 2006, paragrafo 1 del cap. XIX. |