Conversazione tra Adele Succetti e Maria Laura Tkach
AS: Il cartello, strumento e organo di base della Scuola di Lacan, rientra in quello che Jacques-Alain Miller ha chiamato il Piano Lacan e che vedeva i membri della sua Scuola operare in cartelli “per la realizzazione di un lavoro”. Il lavoro in cartello, infatti, permette a chi vi si ingaggia – sia esso membro, partecipante o esterno alla Scuola – di lavorare e confrontarsi con dei pari e di contribuire al sapere psicoanalitico producendo del nuovo e del singolare. Il sapere in psicoanalisi, infatti, non è un sapere morto, da ostentare o da mettere in biblioteca (anche se può produrre un testo come Scilicet sul sogno, che, però, per l’appunto, ci sta mobilitando in una conversazione), ma è un sapere vivo, non-tutto, che dà spazio e si nutre delle creazioni singolari che l’esperienza stessa del cartello (e della psicoanalisi) produce.
Il cartello è la base della Scuola perché al centro della Scuola di Lacan vi è il buco del non-sapere da cui si origina e si alimenta il desiderio di sapere, non senza l’altro. Questo desiderio, però, non è una cosa semplice in quanto, come insegna Lacan, quello che c’è è piuttosto dell’ordine del “non volerne sapere”. Mentre la lettura in solitario spesso subisce “la routine del proprio fantasma”, e quindi non interrompe il proprio sogno, il lavoro in cartello, nell’incontro con la lettura dell’altro permette, se non un risveglio, perlomeno un confronto, uno scambio che mobilita i significanti e quindi il desiderio.
Perché questo sia possibile, è fondamentale la funzione del Più-uno, che decompleta il sapere tutto e la spinta-all’Uno propria del gruppo dando spazio alle invenzioni-scoperte del singolo, quelle che sapeva senza sapere. Quindi il cartello è un trattamento del sapere nella psicoanalisi lacaniana in cui, di fatto, chi vi partecipa, può sapere …ovvero Scilicet.
Non ho fatto parte di nessuno dei cartelli il cui lavoro ha prodotto questo testo dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi sul sogno ma, proprio per questo, dopo aver letto il libro, vorrei chiedere a Maria Laura se ci può dire cosa l’ha colpita – in questo lavoro di cartello – rispetto alle sue precedenti esperienze di cartello …
MLT: L’inquadramento simbolico
Il 31 marzo 2019, chi ha partecipato al lavoro di cartello sui “Sogni di transfert”, ha ricevuto dalla presidente dell’AMP, Angelina Harari, un’email d’invito a svolgere un lavoro. La lettera conteneva anche delle indicazioni, le quali hanno inquadrato simbolicamente il nostro tempo e il nostro spazio d’azione rispetto al lavoro di cartello. Ne ho estratto alcune, che ritengo significative in relazione alla modalità di lavoro elaborata e proposta per questo Scilicet in seno all’AMP:
- L’elaborazione dei testi era da prodursi nell’ambito di cartelli possibilmente multilingue, riunendo quattro autori di Scuole diverse e un più-uno per coordinare il lavoro degli autori intorno a un tema comune;
- Il più-uno non avrebbe scritto un testo, ma avrebbe dovuto provocare la discussione tra i quattro autori perché ciascuno potesse trovare il taglio che avrebbe dato al tema comune, trovando il miglior modo per farlo, considerando le distanze e le differenti lingue dei membri del cartello;
- Il più-uno avrebbe dovuto fare rispettare il numero massimo di caratteri indicati per ogni testo, così come la scadenza (1° settembre 2019) per l’invio dei testi al Bureau dell’AMP e alla Consigliera Silvia Tendlarz, che ha accompagnato la preparazione del volume;
- Veniva anche esplicitata una motivazione in relazione alla scelta di questa nuova modalità, e cioè, che essa avrebbe permesso di promuovere il lavoro tra le sette Scuole dell’AMP, rendendo più tangibile, e organizzando, la ricchezza del molteplice della Scuola Una.
Erano, a mio avviso, delle puntualizzazioni precise, strutturali, orientative – per me, in quanto più-uno di uno dei cartelli dello Scilicet – di un lavoro che, a partire da esse, avrebbe potuto svolgersi all’insegna di un meno, di un’operazione di riduzione.
L’esperienza
Appena ciascuna di noi ha risposto affermativamente all’invito, ho inviato un’email ai membri del cartello per organizzare il primo incontro. Gli incontri del cartello si sono svolti online, attraverso Skype. Durante essi, vi è stata convergenza verso una lingua in particolare, lo spagnolo, parlato dalla maggior parte dei membri. Chi di noi non parlava lo spagnolo, si è espresso nella propria lingua, che comunque in qualche modo tutte capivamo e/o parlavamo.
Ciascun’autrice ha potuto scrivere il proprio testo nella lingua di sua scelta.
Abbiamo realizzato cinque incontri, circa uno al mese, tra aprile e la prima settimana di agosto 2019.
Sin dall’inizio, ciascuna delle partecipanti si è impegnata in un lavoro di scrittura che ha consentito a ognuna di tagliare e ritagliare il proprio punto di vista, l’angolazione a partire dalla quale avrebbe abbordato il tema comune, dal momento che il confronto con la scrittura attualizza la castrazione. Non vi hanno indietreggiato.
È, quindi, capitato talvolta che, dopo l’incontro online, si riprendesse qualche punto attraverso delle e-mail – e-mail che esprimevano esplicitamente, o tra le righe, l’entusiasmo che l’incontro aveva lasciato in ciascuna.
Penso che tutto ciò sia potuto avvenire perché in ogni occasione, sin dalla prima volta che ci siamo incontrate, dell’incontro si è prodotto.
Cosa intendo? Una parola, un’idea, faceva breccia in chi la formulava, così come in tutto il cartello. Ogni incontro si concludeva su delle questioni che spingevano a pensare ancora, che ci mettevano, ancora, tutte quante al lavoro.
Le tracce, i programmi di lavoro scritti via via dalle autrici, in quanto più-uno ho provato a interrogarli nella direzione di provocare il più possibile un ritaglio dell’argomento da parte di ciascuna. Ho letto, ogni volta, le varie tracce di testi, fino ad arrivare a quelli definitivi, in una prospettiva che chiamerei “chirurgica”. Cioè, le mie domande, puntualizzazioni, persino le richieste di attenersi al numero di caratteri, ecc., sono andate nella direzione di provocare un’ulteriore precisazione, singolarizzazione dell’angolatura che via via ciascuna andava precisando per il proprio tema.
Ciò che circolava via e-mail, in relazione ai testi e ai temi del cartello, era condiviso con tutti i membri del cartello.
Per concludere
In che senso sostengo che vi sia stato dell’incontro, ogni volta, e in quanto lavoro complessivo del cartello?
Il sapere che è circolato nel cartello è stato un sapere bucato, non compiuto, che veniva mantenuto in quanto incompiuto per il tempo necessario. Gli incontri si concludevano su delle questioni che rimanevano aperte; nel singolo incontro, il lavoro, l’elaborazione, portavano a mantenerle aperte, in un lavoro che consentisse di arrivare a circoscriverle, approdando ad individuare i punti in cui si potesse ritenere che, con una messa in forma, una parola, persino una questione aperta, si fosse toccato un punto di reale. Gli incontri del cartello hanno consentito di sfiorare, prima con la parola e successivamente attraverso la scrittura, dei pezzi di reale in relazione al tema del cartello.
Cosa può aver consentito che incontro ci fosse?
Il legame di ciascuna con la Scuola Una. Il fatto che, a causa di questo legame, ciascuna si sia fatta coinvolgere in questo lavoro a partire da un desiderio di Scuola e della Scuola. La Scuola ha chiamato, noi abbiamo risposto, dicendo sì al desiderio dell’Altro.
La Scuola ha teso una mano offrendo una mancanza, un meno, al posto di un oggetto. Un meno che ha funzionato come causa di un lavoro da svolgere, come causa di desiderio.
Da parte nostra, ognuna, a sua volta, ha risposto accogliendo l’offerta di mettersi al lavoro, a partire da una posizione di mancanza. Si può dire che proprio per posizionarsi in quanto mancante, ciascuna abbia potuto accoglierla.