Ogni membro ha affrontato questo tema da una prospettiva diversa. Da parte mia, il lavoro alla fine si è diviso in due questioni – separate, ma connesse – che non sono strettamente questioni relative al trauma in quanto tale, ma a ciò che il trauma può significare.
La prima parte del lavoro è stata incentrata sul posto del desiderio per il soggetto traumatizzato. Nei primi incontri del nostro gruppo, ho riletto lo studio di Freud sul caso di Emma. Potrebbe non essere un caso immediatamente associato al trauma – l’esperienza di Emma non è particolarmente grave – ma le conclusioni che Freud trae da questo caso pongono comunque una sfida alle concezioni del trauma che sono ancora oggi mantenute. Il trauma è spesso compreso sulla base di una semplice sequenza: un evento passato e i suoi effetti attuali. Un tale modello ci porterebbe a cercare l’aspetto traumatico di un trauma nei termini oggettivi dell’evento traumatico stesso – l’entità del suo impatto, la presenza di fattori comuni come la violenza o la morte – al fine di spiegare la gravità dei suoi effetti.
Freud introduce qui due problemi. La premessa sequenziale di questo modello è complicata dalla sua nozione di Nachträglichkeit attraverso la quale egli è in grado di dimostrare che, nel caso di Emma, ci sono due momenti causali per l’evento traumatico. Per Freud, il trauma è determinato retroattivamente, non in termini di fattori oggettivi, esterni, ma nella connessione unicamente soggettiva tra questi due momenti. La controparte di questa argomentazione si può trovare nel suo scritto del 1926 “Inibizione, sintomo e angoscia” nel quale Freud sottolinea l’elemento nevrotico nelle reazioni a situazioni traumatiche: “… l’analisi mostra che al pericolo reale conosciuto si riallaccia un pericolo pulsionale sconosciuto”3. Unendo queste due idee, ci siamo lasciati con la questione di come il punto di origine del trauma tocchi il soggetto, non attraverso la serie delle categorie “traumatiche”, ma nel suo oscuro intreccio con i suoi desideri più intimi.
Nella seconda parte del lavoro dell’anno, mi sono interessato all’operazione stessa attraverso la quale si può mantenere un’avversione a quest’ultima questione. Se ciò che è essenziale quando si affronta l’argomento del trauma è il significato singolare che il trauma ha per il soggetto, allora il semplice fatto di un trauma diventa da solo poco più che l’arco attraverso il quale il vero lavoro del trattamento potrebbe passare. Ma questo significante – “trauma” – è già assimilato nel discorso di oggi, già radicato nel nostro vocabolario. Si offre come possibile punto di identificazione.
Lacan distingue tra il linguaggio come struttura fissa, un insieme di rappresentazioni in cui siamo alienati, e la funzione creativa del discorso come ciò che rende possibile il movimento del significato. È proprio in questo movimento di significato che risiede il potere dell’analisi. Dove il “trauma” è accettato dai soggetti come una spiegazione in sé, nella sua fissità medicalizzata, possiamo riconoscere in esso un allontanamento dal discorso, lasciando non detto ciò che è veramente in gioco per un soggetto. Il soggetto scompare sotto questo significante che riceve dall’Altro. Dove il significante viene svuotato del soggetto, rischia di diventare non più un arco ma una porta che si tiene chiusa.
Traduzione: Valentina La Rosa