Carla Antonucci
Se dovessi dire ad oggi che cos’è un cartello risponderei tante cose ma tra le tante sicuramente per me è “Il luogo delle prime volte!” Certo per me all’inizio il cartello era un enigma, non riuscivo bene a capire né come funzionasse né perché potesse essere uno strumento di lavoro indispensabile per la Scuola. Penso che, come per l’analisi, del cartello non se ne possa parlare fino a che non se ne fa esperienza, o meglio ognuno può parlare di ogni singolo cartello come un’esperienza unica. In effetti ogni testo di fine cartello è diverso, ogni riflessione sul proprio tema di cartello è inedita.
Certo alla mia età è sempre più difficile imbattermi in una prima volta, ed è forse questo che mi rende particolarmente amabile il cartello, potrei dire, il cartello mi fa sentire giovane!
In effetti ogni volta che mi appresto ad un cartello è perché è in gioco una mancanza, non solo una mancanza di sapere, spesso una mancanza ad essere, per cui mi accingo a dire che per fare un cartello ci vuole anche un pizzico di coraggio, specialmente se ci si imbatte in un cartello in cui non si conosce nessuno e si parla un’altra lingua.
È il caso di questo ultimo cartello eccezionale a cui ho partecipato, un cartello multilingue in cui si è deciso di parlare inglese, lingua madre di alcun partecipante, ma comune a tutti. Certo queste sono cose che sono possibili solo oggi, con gli strumenti forniti dalla tecnologia. Italia, Spagna, Grecia, Inghilterra; quattro luoghi in cui sono dislocate fisicamente cinque persone diverse ma riuniti in un unico posto, un cartello online.
Un moto ondoso di desiderio di lavorare insieme nonostante le distanze che ha permesso a persone di Scuole diverse di realizzare la Scuola Una.
Tornando a questo cartello, l’imbarazzo alla prima riunione è stato importante. L’imbarazzo (da imbaricare), è “il soggetto S rivestito della barra”1, ovvero il soggetto che fa l’esperienza della barra; l’imbarazzo, dice ancora Lacan, è una “forma leggera di angoscia”2. Per Lacan “il desiderio si costruisce sul cammino di una questione che lo minaccia e che è del campo del n’être, non essere e nascere…”3 Sarei riuscita a parlare in inglese, a farmi capire? Ma soprattutto a fare un discorso già complicato nella mia lingua madre su di un Seminario di Lacan che leggevo per la prima volta?
L’angoscia iniziale si dirada con il passare degli appuntamenti, la mia questione si è intrecciata alle questioni degli altri cartellizzanti, ognuno a casa leggeva il seminario nella propria lingua e trasmetteva nelle serate di cartello nella lingua inglese. Questa spesso veniva interpunzata da periodi o parole nella propria lingua. Alle volte un po’ un minestrone. Ma, è non la prima volta che mi capita una cosa del genere, questo non ci ha impedito di comunicare o di depositare uno scritto.
Inoltre insieme ci siamo resi conto di come ognuno di noi avesse la percezione che il Seminario di Lacan fosse leggermente diverso a seconda della lingua in cui veniva letto. Italiano, greco, spagnolo e inglese, lingue diverse che si intrecciano e a loro volta intrecciate con la lalingua di ognuno mi sono detta. In effetti è successa la stessa cosa nel cartello di cui ho fatto parte per la stesura del testo dell’ultimo Scilicet. Che strano mistero è mai questo?
Penso che di questa esperienza molto possano dirci i membri della NLS che da molto più tempo di noi italiani sono, non solo alle prese con i cartelli online, ma anche con il fatto di ritrovarsi dislocati su di un territorio con lingue madri differenti. Ma od oggi credo che spesso anche nella SLP ci ritroviamo a fare queste esperienze, oppure se ne sono fatte. Probabilmente io non ne sono a conoscenza o semplicemente non se ne parla. Certo sarei curiosa di conoscere anche l’esperienza di altri cartellizzanti.
Benché il cartello abbia un nome che parla di lui al maschile io trovo che abbia molto del femminile, come la donna il cartello esige la contingenza dell’una per una, dell’assenza di serie, dell’eccezione. Allo stesso modo mi viene da supporre che se per un verso il cartello mette al lavoro più persone insieme dall’altra porta alla luce la singolarità di ognuno, singolarità che si annodano tra di loro, non esiste universale nel cartello, il particolare la fa da padrone. Per un verso si lavora insieme per l’altro ognuno per contro proprio. C’è un versante del cartello che permette un aggancio all’Altro mentre l’altro versante come per la lalangue è una dimensione del godimento che non si aggancia all’Altro. Che lalangue forse è la lingua dei cartellizzanti al lavoro? In fondo la produzione di fine cartello è scritta nella lalangue personale, forse questi cartelli misti mettono maggiormente in evidenza qualcosa. Il parlare lingue diverse sgancia maggiormente dal senso e punta più sull’interpretazione. Il parlare lingue diverse forse “designa (maggiormente) ciò che affar nostro, di ognuno”4.
In fondo in questi cartelli, non sembra essere determinante la significazione che la parola produce ma come per la lalangue, sembra giochi maggiormente la dimensione fonemica della parola. Ancora una volta mi sembra che il cartello si annodi al lavoro di analisi, sembra che vada nel movimento della soggettivazione, lo scritto frutto di un cartello non è forse un processo di soggettivazione di questo reale erratico che lo attraversa? Il deposito di un pezzo singolare della propria lalangue per potersene servire, questo forse.