Amelia Barbui1
(PRIMA PARTE)
Freud, in Psicologia delle masse e analisi dell’io,2 analizza le modalità con cui gli umani si organizzano e intrattengono legami sociali e individua due diverse strutture di aggregazione.
Nella prima trova posto la chiesa e l’esercito. Sono masse artificiali, o stabili, per la cui costituzione è determinante il legame libidico con un capo supremo e nelle quali, per evitarne la disgregazione, occorre che venga impiegata una certa coercizione.
Freud osserva che in entrambe è presente un certo “filone democratico” in quanto, di fronte al Cristo o al comandante supremo, tutti partecipano, allo stesso modo, al suo amore; sono tutti fratelli o camerati. Si produce così, sulla base dell’uguaglianza, un ulteriore legame libidico che riguarda ogni singolo individuo con gli altri componenti del raggruppamento.
Tale struttura non è altro che quella di un insieme chiuso, o aperto, in cui vige il principio della democrazia, per la cui costituzione è necessaria un’eccezione che fonda l’insieme senza farne parte. È quello che Lacan scrive nelle formule della sessuazione, dal lato maschile, per quanto riguarda la funzione fallica.
Relativamente a tali masse, la cui stabilità dovrebbe essere fuori discussione, Freud osserva come i legami così instauratisi siano, invece, particolarmente fragili: “La perdita del capo e i malintesi che ne derivano determinano l’esplosione del panico. … Insieme al legame con il capo scompaiono di regola anche i legami che uniscono gli uni agli altri i singoli componenti la massa. La massa si sparpaglia come una lacrima di Batavia cui sia stata spezzata la punta.”
Se viene a mancare la funzione su cui si fonda l’insieme, l’insieme stesso si disgrega.
La seconda struttura, quella che più ci interessa, riguarda le masse prive di capo.
A questo proposito Freud mette in evidenza come “una tendenza comune, un desiderio condiviso da molti” potrebbe fare le veci del capo.
Prosegue dicendo che: “Tale entità astratta potrebbe a sua volta, più o meno perfettamente, incarnarsi in un capo per così dire secondario, e dalla relazione tra idea e capo potrebbero derivare interessanti e svariati esiti. Occorrerebbe chiedersi se il capo sia effettivamente indispensabile all’essenza della massa.”
Il “non è certo”, “non è sicuro”, regna in tali formulazioni di Freud, che, a mio avviso senza particolari forzature, ci indicano come occorra pensare tale struttura a partire da una logica diversa da quella dicotomica, quale la logica fuzzy a cui corrispondono insiemi dai contorni incerti in cui trovano posto le formule della sessuazione, dal lato femminile.
Per quanto riguarda il processo d’identificazione, in cui Freud individua la più primitiva e originaria forma di legame, diversamente dalla massa stabile in cui è prevalente l’identificazione verticale al capo, nella massa priva di capo i legami affettivi si strutturano seguendo il processo d’identificazione orizzontale e cioè l’identificazione con il sintomo.
É la terza forma d’identificazione che, scrive Freud, “prescinde interamente dal rapporto oggettuale con la persona copiata. Il meccanismo è quello dell’identificazione indotta dalla possibilità o dalla volontà di trasporsi nella medesima situazione”. Anche qui è possibile ma non è certo.
Quando Lacan incontrò Bion nel 1945 a Londra, come testimoniò nel suo testo La psichiatria inglese e la guerra,3 rimase incuriosito dalla messa a punto, sotto la spinta dell’urgenza, di gruppi senza capo, ma non senza funzione di capo che veniva svolta spontaneamente dai diversi partecipanti, a seconda delle loro qualità.
Lacan ricorda il regolamento che Bion enuncia al primo incontro in cui precisa che ciascun gruppo è definito dall’oggetto di cui si occupa, che l’oggetto sarà rimesso all’iniziativa di chi vi partecipa e che ciascuno vi si aggrega a suo piacimento. Si creano così delle équipes di circa dieci soggetti, nessuno dei quali è investito di un’autorità prestabilita e viene proposto un compito che ognuno deve risolvere collaborando. Durante la prova, alcuni potranno mettersi in luce, grazie alla loro capacità d’iniziativa e di autorevolezza. Ma non è questo che interessa al gruppo quanto piuttosto la capacità di far passare in secondo piano il proprio prestigio per far valere l’obiettivo comune rispetto a cui il gruppo trova la propria unità.
Per dirla con Freud: “Se nella massa compaiono limitazioni del narcisistico amore di sé che non si riscontrano al di fuori di essa, ciò costituisce una testimonianza persuasiva del fatto che l’essenza della formazione collettiva consiste in legami libidici di tipo nuovo trai i membri della massa.”4
La solidarietà e l’omogeneità che si produce in questi gruppi non deriva dunque dalla comunanza di un ideale con valenza universale, come nella chiesa o nell’esercito, ma, seguendo una modalità pragmatica, dalla condivisione di un compito preciso da risolvere in cui ciascuno si impegna a partire dalle proprie capacità.
Lacan nel 1964, nell’atto di fondazione dell’Ecole freudienne de Paris,5 propone il dispositivo del cartello come strumento base di una istituzione per la psicoanalisi e scrive: “Quanti verranno in questa École si impegneranno a svolgere un compito sottoposto a un controllo interno ed esterno. È loro garantito, in cambio, che niente sarà risparmiato affinché tutto quel che faranno di valido abbia la risonanza che merita, e il posto che converrà.
Per lo svolgimento del lavoro, adotteremo il principio di un’elaborazione sostenuta in un piccolo gruppo. Ciascun di essi (abbiamo un nome per designare questi gruppi) sarà composto da un minimo di tre persone, a un massimo di cinque, quattro e la misura giusta. Più una incaricata della selezione, della discussione e dell’esito da riservare al lavoro di ciascuno.
Dopo un certo tempo di funzionamento, agli elementi di un gruppo verrà proposto di permutare in un altro. L’incarico di direzione non costituirà un’unità territoriale in cui il servizio reso si capitalizzerebbe per accedere a un grado superiore, e nessuno dovrà considerarsi retrocesso per il fatto di rientrare nei ranghi di un lavoro di base.
Questo perché ogni lavoro personale riporterà il suo autore nelle condizioni di critica e di controllo a cui sarà soggetto, nell’École, ogni lavoro da realizzare.
Ciò non comporta per niente una gerarchia a testa in giù, ma un’organizzazione circolare il cui funzionamento, facile da programmare, si consoliderà con l’esperienza.”
Si tratta di un piccolo gruppo in tutti sono eguali, sia che si tratti psicoanalisti AME o in formazione, o di non psicoanalisti, per quanto riguarda il lavoro da compiere il cui progetto è centrato sulla psicoanalisi. Il cartello è dunque un dispositivo in cui si lavora tutti insieme, allo stesso livello, senza grado o gerarchia, a cui possono aderire tanto chi pratica la psicoanalisi quanto chiunque desideri studiarla.
Lacan propone così l’esperienza dei gruppi senza capo, messi a punto da Bion, ma destabilizza ancora di più il grado o la gerarchia, che già Bion aveva messo in discussione distinguendo la funzione di padrone, necessaria al gruppo, dall’autorità gerarchica, introducendo nel dispositivo la funzione di permutazione che riprende dal modello strutturalista di Levi-Strauss.
Occorre inoltre contestualizzare storicamente tale proposta ricordando che in quegli anni la pratica del piccolo gruppo si era sviluppata, non solo nelle istituzioni psichiatriche, ma anche all’università dove il lavorare insieme su base egalitaria aveva assunto la coloritura di un movimento anti autoritario, in opposizione agli insegnamenti magistrali ritenuti una pratica reazionaria.
Nelle giornate dell’Ecole Freudienne dell’aprile 1975, il cui tema era la funzione dei cartelli, Lacan si chiede come si posa concepire il più-uno il quale tiene insieme la catena individuale. Vi risponde assegnando al cartello la struttura egalitaria del nodo borromeo: “X + 1 è precisamente ciò che definisce il nodo borromeo in quanto, se togliamo il +1, che nel nodo borromeo è uno qualunque, che non ha alcuna proprietà particolare, si ottiene l’individualizzazione completa, cioè, ciò che resta – dell’X in questione – è l’uno per uno”.
Riprenderà questo aspetto del cartello nelle ultime lezioni del Seminario XXII in cui scrive l’identificazione con il gruppo sul nodo “sociale” che si costituisce a partire dal buco del non rapporto sessuale.
Precisa che avrebbe voluto che i cartelli funzionassero allo stesso modo di un qualunque gruppo di matematici poiché, “quando dei matematici si ritrovano, – scrive – c’è incontestabilmente questo “più uno”. E’ impressionante, i matematici non sanno di cosa parlano, ma sanno di chi parlano, parlano della matematica come se fosse una persona.” E aggiunge: “Il matematico ha la matematica come sintomo”, è un sintomo come lo è una donna e ci si crede. Il “di chi parlano” è quell’elemento in più che caratterizza il nodo borromeo.
Ricorda che ciascuno, uno per uno, dovrebbe immaginarsi di essere responsabile del gruppo e vi dovrebbe rispondere in prima persona.
Nel Seminario dell’11 marzo 1980, D’écolage, Lacan aggiunge alcune precisazioni sul dispositivo del cartello:
“[…] immediatamente, io avvio la Causa freudiana – e restauro in loro favore l’organo di base ripreso dalla fondazione della Scuola, cioè il cartello, di cui, fatta l’esperienza, affino la formalizzazione.
Primo – Quattro si scelgono per perseguire un lavoro che deve avere il suo prodotto. Preciso: prodotto proprio di ciascuno e non collettivo.
Secondo – La congiunzione dei quattro si fa intorno a un Più-uno, che, se è qualunque, deve comunque essere qualcuno. È a suo carico vegliare sugli effetti interni all’impresa e provocarne l’elaborazione.
Terzo – Per prevenire l’effetto-colla, al termine fissato di un anno, due al massimo, si deve fare la permutazione.
Quarto – Nessun progresso si deve attendere, tranne la periodica messa a cielo aperto dei risultati come delle crisi di lavoro.6
Quinto – Il sorteggio assicurerà il rinnovo regolare dei punti di riferimento creati al fine di vettorializzare l’insieme.”
Come si forma questo piccolo gruppo, dove nessuno insegna e dove il sorgere di un’insegna ne decreta la fine, questa macchina anti didattica, mobile e flessibile?
1° passo
Almeno tre persone, cinque al massimo, quattro è il numero giusto, si scelgono per svolgere un lavoro su di un progetto, un obiettivo, un tema comune.
Nel sistema dei cartelli, uno vale quanto l’altro. É un’organizzazione circolare, come Lacan aveva precisato nel 1964, che risponde a una logica di livellamento.
Ciascuno sceglie l’angolazione che più gli è propria per portare avanti il lavoro, dando il proprio contributo e discutendone mano a mano con i propri compagni d’avventura, ma non per più di due anni, per prevenire l’effetto colla o di coesione, di influenza reciproca, tra gli elementi del gruppo. Al termine di questo periodo il cartello si scioglie per evitare l’inerzia, propria dei gruppi di lavoro che durano in eterno, che ostacola l’evento di un sapere nuovo per il soggetto.
Il prodotto del lavoro in Cartello non è collettivo, ma molteplice e al termine dell’esperienza ciascun cartellizzante si ritroverà con un po’ di sapere in più rispetto al proprio interrogativo che ha saputo mettere in discussione e lavorare nel Cartello. Ciascuno, potrà constatare cosa si è modificato della propria relazione col sapere analitico, in funzione del momento particolare del suo legame con la psicoanalisi.
Per questo il Cartello è uno strumento di formazione psicoanalitica.
É un dispositivo dove si sperimenta, si condivide e si accoglie, insieme ad altri, la molteplicità e l’incompletezza/inconsistenza del sapere non-tutto.
2° passo
I quattro cartellizzanti si rivolgono a una persona designata come “più uno” che svolge il compito di “agente provocatore” dell’elaborazione di ciascuno.
I quattro scelgono il “più-uno” che si aggiunge al cartello per ricordare che non sono un tutto, che qualcosa manca.
Il “più-uno” non è dunque l’eccezione esterna che fonda il gruppo, come nella logica edipica, ma è colui che, oltre a svolgere il suo lavoro, fa in modo che ciascuno possa mettere al lavoro il proprio tratto singolare per produrre ancora un po’ di sapere, qualcosa di scritto, con cui ciascuno, uno per uno, testimonierà del proprio lavoro e del desiderio nei confronti della Scuola.
Come precisa J.-A. Miller, nel 1994 nel suo intervento su Il cartello nel mondo,7 il “più-uno” non è che un leader povero, modesto, attento, nei momenti di crisi, a mantenere la distanza tra sapere e verità.
Nonostante ciò, anzi, proprio per questo, il cartello è un dispositivo potente di elaborazione, in cui il lavoro singolare di ciascuno è messo con coraggio alla prova, presentato, discusso, rielaborato con “colleghi disponibili”.
SEGUE …. NEL PROSSIMO NUMERO DI CARTELLO
Note