Luca Curtoni
Non sono un esperto di cartelli ma, proprio in quanto non esperto, mi sento autorizzato a esternare le mie sensazioni e riflessioni sulla mia esperienza di cartello più recente, ancora in corso, un cartello che ha come oggetto il pas-tout. La prima riflessione che intendo muovere è che la focalizzazione del tema del cartello, il pas-tout, o non tutto, credo che esalti la natura, l’essenza, il senso del cartello, che non è semplicemente un gruppo di lavoro ma un dispositivo che, in virtù del transfert della Scuola, spinge ciascun cartellizzante all’elaborazione di un lavoro che ripropone la scissione ma anche l’intreccio tra dimensione fallica, quella che anela alla scoperta di qualcosa di solido e condivisibile, e dimensione femminile, quella del non tutto, quella che smorza quindi la pretesa fallica del sapere universale.
La mia percezione del cartello, quantomeno di questo cartello, è quella di un insieme eterogeneo di Uni, in cui da una parte ciascuno, uno per uno, si è finora autorizzato e si sta autorizzando nella propria modalità di godimento ma nella quale, dall’altra parte, viene chiamato (grazie al poter mettere in parola la propria elaborazione all’interno di un contesto simbolico tenuto in piedi dal +1) a bucare il proprio sapere, prima che esso prenda la via della sclerotizzazione.
Il pas-tout rappresenta un punto molto intimo del concetto di cartello anche per l’estrema difficoltà che questo argomento presenta. Pas-tout. Non tutto, non tutta, non ogni, ovvero in tutte le possibili traduzioni dal francese l’oggetto del tema esprime una contraddizione in termini, ovvero l’impossibilità di poter afferrare ciò che costituisce l’oggetto di uno sguardo che vuole essere comunque anche conoscitivo. Per quanto potremo penetrarlo, quest’oggetto rimarrà per definizione sempre fuori dal perimetro del nostro sforzo conoscitivo. Un argomento che abbiamo così cominciato ad approcciare con un tratto direi piuttosto femminile, accostando alcuni testi per poi lasciarsi trasportare dalle suggestioni da questi evocate in altri labirinti di pensiero. La mia sensazione è stata quella di trovarmi in un caos, in una situazione di grande confusione, una confusione che vivevo come difficilmente accettabile. É per questo motivo che dopo alcuni incontri ho sentito l’esigenza di proporre una curvatura diversa nell’approcciarsi all’argomento, una curvatura più razionale, più scientifica o, si capirà dopo, forse più filosofica, che permettesse di entrare nei giri di pensiero che Lacan propone nei seminari 18 e 19 con una chiave teoretica, che potesse ancorarsi a oggettivi e indiscutibili punti di capitonaggio. Lentamente il lavoro ha preso una sua forma, ma nel momento in cui il compito di introdurre uno degli incontri è toccato a me, il taglio della lettura che sono stato costretto (costretto dal mio godimento) a dare, ha sollevato un dibattito emblematicamente rappresentato dalle parole di una cartellizzante che ha detto: “non sono d’accordo!!”. In questione non era tanto il comprendere come intendere il concetto di logica che Lacan propone in questi due seminari. Per tutti noi era abbastanza chiaro che la logica fosse la via scritta “per staccarsi un po’ dal reale” che con questo movimento viene così fatto emergere. Il problema era: dove collocare la “lettera della scrittura logica”? Ammaliato dai riferimenti filosofici così altisonanti: Platone, Aristotele, Peirce, Frege, ecc., la tentazione di piegare nella direzione di un fondamento che potesse arrestare la metonimia del significante fallico si è rivelata per me incontenibile. Il cartello lì ha prodotto un’impasse, la mia impasse, non quella del cartello. Il cartello al femminile ha avuto infatti la forza intrinseca (simbolica) di portarmi fuori da questa visione troppo solitaria e di farmi vivere dal di dentro e non su un piano puramente teorico il “non c’è rapporto sessuale”, vissuto in questa circostanza da un’angolatura desueta ma non meno vibrante. L’esperienza del cartello è stata per me molto insegnante rispetto a quella che potrei quindi riassumere come la terza riflessione da sottoporvi. Il prodursi, nel reale del cartello, della diversa modalità di iscrizione nel linguaggio e quindi del godimento, la diversa angolatura dalla quale ognuno, all’interno del cartello, vive la sua esperienza di lavoro, mi ha imposto una riflessione sull’articolazione che esiste anche in un contesto del genere tra il concetto di godimento e la sessualità, come Lacan continuamente sottolinea proprio in questi seminari. Il cartello ha permesso di far emergere le differenze tra il godimento fallico, proprio dell’uomo e della donna in quanto in parte soggetta alla funzione fallica e quello che Lacan chiama godimento supplementare, non soggetto alla legge fallica. La differenza si è prodotta nel reale, ma a differenza di quello che avviene nelle relazioni sessuali, qui c’è una soluzione al non rapporto sessuale. L’analista viene esplicitamente invitato da Lacan ad assumere una posizione femminile, ad abbracciare quindi il pas-tout che è il non-tutto rispetto alla funzione fallica che di conseguenza è inclusa e presupposta. L’analista si pone sul lato destro delle formule della sessuazione, ma per raggiungere quella posizione è richiesto un lungo cammino, meno appagante di quello sfavillante del détour filosofico, della “lettera della scienza”, che è comunque essenziale come momento basale.