Annarita Di Sarno1
“We are who we are. Il problema dell’identità sessuale in infanzia e adolescenza, tra fiction e pratica clinica” è il titolo del cartello al quale partecipo; lo spunto da cui siamo partiti è stata la serie tv dal nome “We are who we are”.
Quando mi è stato proposto di partecipare al cartello non sapevo cosa fosse, avendo una formazione diversa, ma sono stata subito curiosa ed entusiasta di prendere parte al lavoro e di mettermi in gioco. Sì, perché fare un cartello, secondo me, è anche un modo per ‘rischiare’ la propria idea, contaminare e contaminarsi con quella degli altri ed è un modo per vedere lo stesso argomento da diversi punti di vista.
Mi piace molto la frase di Proust “il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi “, ed è con questi nuovi occhi che ho intrapreso questo viaggio alla scoperta del gender fluid e della domanda fluida che gli adolescenti si pongono: siamo, chi siamo?
L’enigma dell’adolescenza si presenta come elemento reale non omogeneizzabile con la pubertà2.
Hebe considera la pubertà come un’impasse, un momento in cui il soggetto cerca modalità di godimento che lo preparino per il domani. L’adolescente si trova a fare i conti con un reale pulsionale, ormonale, che lo spinge a chiedersi ‘ come si fa?’ senza, tuttavia, potersi dare una risposta immediata, essendo la risposta insita nell’esperienza che dovrà fare. Bisogna pensare l’adolescente come un artigiano, uno che fa bricolage […] è un momento di invenzione, di flessibilità.
Di fronte al non-sapere della pubertà fioriscono le teorie sessuali.
L’adolescente cerca la risposta alla domanda “chi sono?” nella sessualità; questo momento di scoperta e di duttilità coinvolge soprattutto la sfera dell’identità di genere.
I due protagonisti della serie tv, Fraser e Caitlin sono impegnati proprio in questa sperimentazione, sono alla ricerca della loro identità attraverso l’immaginario e il simbolico del loro corpo, tagliando i capelli e mettendosi la barba finta per essere “un po’ uomo” o mettendosi lo smalto per essere “un po’ donna”. La serie tv di Guadagnino mira proprio a descrivere la cosiddetta ‘fluidità dell’adolescenza’. Ma in cosa consiste questa fluidità?
L’adolescente chiede contemporaneamente due cose incompatibili: essere capito, compreso, accolto e riconosciuto e non essere capito, non essere accolto e non essere riconosciuto. Vuole che gli si dica di sì ma, nello stesso tempo, egli rilutta al fatto che questo consenso possa prendere la forma di una comprensione che lo privi del suo segreto. Infatti, il motivo per cui l’adolescente vuole essere riconosciuto è un motivo che può essere saputo soltanto da lui e deve essere avvertito da tutti gli altri come riconoscibile solo da lui.3
È un luogo comune asserire che gli adolescenti sono strani, si fa fatica a capirli e spesso li si rifiuta; questa frangia di età è una frangia creativa e di rottura che sta cercando senza sapere, e talvolta in malo modo, modalità di godimento che li possa preparare per il domani. L’adolescente è molto spesso turbolento, libero verso tutti gli eccessi “in più” e in “meno”, perché anche il meno è un eccesso, come l’ascetismo che sta portando sempre più giovani a chiudersi nelle loro stanze, oltre che in sé stessi, non avendo più contatti sociali e personali.
La parola fluidità fa pensare a qualcosa che muta facilmente, che si sposta da una parte all’altra, e allora quale parola più adatta per descrivere questa fase della vita che tutti noi attraversiamo, senza tuttavia rimanerne ‘illesi’?
Oggi, però, questa fluidità si riversa anche, e soprattutto, nell’ambito di genere.
Non sono più solo il maschile e il femminile a definire la propria identità di genere, ma c’è un terzo genere, un’area vissuta, da protagonisti o da osservatori da parte degli adolescenti. Gender fluid vuol dire sentirsi rappresentati da entrambi i generi binari, è il rifiuto all’appartenenza rigida all’uno o all’altro, è il non volere delle etichette, delle categorie. Ma, in fin dei conti, dire di essere “gender fluid” non è creare un’ulteriore categoria, un’ulteriore etichetta per il bisogno innato di appartenenza?
“Per secoli ci hanno fatto credere che siamo maschi o femmine e che i maschi fanno certe cose mentre le femmine ne fanno altre, fine della storia. Transgender invece vuol dire che puoi andare oltre queste cazzate… Dire: sapete che c’è? Non è semplice, non è nemmeno binario.” Cosi Fraser spiega il suo punto di vista sulla realtà a Caitlin. Per lui non è semplice, non ci sono solo due categorie, come se fosse più facile uscire dalla confusione adolescenziale moltiplicando le categorie in cui identificarsi, creando ulteriore caos nella già difficile e faticosa ricerca dell’identità.
Essere gender fluid è un po’ come essere sospesi, come stare in uno spazio e in un tempo di non scelta, che è comunque sempre una scelta, è un po’ come non essere mai completamente in nessun rapporto, è un po’ nascondere il proprio senso di inadeguatezza di sé come persona con il sentirsi inadeguati come maschi o come femmine.
Una tendenza contemporanea al relativismo sembra volersi imporre perché tutto sia possibile per quanto riguarda l’identità sessuale.4 È la soluzione contemporanea per la via dell’“essere” che cerca di ancorare l’angoscia e lo smarrimento del soggetto di questo tempo. Ogni costruzione non è altro che un modo di trattare, in modo fallimentare, il reale del sesso.5 In fondo, ogni epoca produce inevitabilmente i propri ordini sintomatici.
Note