Alice Pari
Oggi la cultura drag vive un momento di popolarità grazie a programmi televisivi, serie tv, e video musicali. Un impulso decisivo è stato dato dal reality Ru Paul’s Drag Race, che da più di dieci anni porta in scena sfide ad eliminazione tra drag queen che diventano poi professioniste calcando e lanciando proprie linee di moda e cosmesi in tutto il mondo.
Dopo gli anni Sessanta, le drag hanno intrecciato il loro percorso con il movimento LGBTQ+, anche se ancora oggi una parte del movimento guarda con diffidenza a questa forma di espressione giudicandola eccessiva e fuorviante.
Esiste ancora una confusione tra essere drag ed essere trans, ma le due cose non sono sovrapponibili; un vestito e una performance non definiscono l’orientamento sessuale o la scelta di genere.
Nel 1959 Billy Wilder con A qualcuno piace caldo introduce con leggerezza ed ironia la storia di due uomini che, per necessità di salvarsi la pelle, si travestono da donna e si uniscono ad un’orchestra femminile in tournée. Adottare abiti femminili non basterà però a “fare il monaco”, occorrerà farsi passare per vere donne senza sembrare imitazioni parodistiche, imparando a camminare, parlare, pensare come una donna, domandandosi «come delle donne si prendano per donne»1.
Uno dei due, preso dal “fare” la donna per davvero, si lascerà corteggiare da un miliardario e penserà anche di sposarlo, infine gli si opporrà adducendo scuse in escalation fino al proclama della verità: «Non posso sposarti. Sono un uomo!». Ma niente distoglierà il miliardario dalla sua decisione: «Nobody is perfect!». Un uomo in definitiva non è altro che un difetto nell’universo della femminilità2.
Judith Butler, teorica del gender, osserva come la nozione di identità di genere originaria verrebbe parodiata dal drag che gioca sulla distinzione tra l’anatomia di chi esegue la performance e il genere che è in oggetto nella performance; imitando il genere il drag rivelerebbe la struttura imitativa del genere stesso.
Il drag porta la femminilità a livello del sembiante e «il sembiante costituisce parte dell’ordine simbolico, è il significante in quanto tale. […] il sembiante fatto di significanti velerà ciò che sorge nel discorso con il più di godere»3.
Non c’è sembiante dell’essere che colmi il reale del sesso, cioè l’assenza del rapporto sessuale; nel tentativo di cogliere il reale si fallisce sempre e sembiante e reale sono condannati a mostrare il fallimento attraverso le diverse vie del sinthomo.
Nel suo Seminario Della natura dei sembianti Jacques-Alain Miller ricorda come «l’articolazione tra un significante e l’altro crea una catena attraverso cui il soggetto ordisce una trama fino a produrre un vestito del tutto personale: la propria identità fatta di identificazioni e significanti presi dall’Altro»4 e la funzione di tale vestito è di ricoprire la nudità della mancanza, del buco, della falla beante del Soggetto barrato che genera angoscia. Il buco ha a che vedere con la Cosa, il Reale, il godimento non regolato, non arginato; sembianti, identificazioni e significanti entrano in gioco sotto la guida del Simbolico tentando di regolare il Reale, velandolo, coprendolo; Miller mette in guardia dalla «illusione che, attraverso il Simbolico, attraverso l’articolazione di una catena significante, si potrebbe concludere su quello che è attraverso un c’è»5.
La drag gioca in modo peculiare con la questione del c’è e non c’è. Trinity Taylor è una drag queen nota per una sua particolare abilità, che le è valsa il soprannome di “the tuck”6, quella di saper nascondere, dissimulare, perfettamente la presenza del genitale maschile mostrando un “non c’è” laddove invece c’è.
Il sembiante iperfemminile della drag queen, la mascherata femminile di Marylin Monroe, il travestimento dei sassofonisti di A qualcuno piace caldo, ma anche il fallo svitabile del piccolo Hans o il copioso mazzo di fiori del quadro Amore e Psiche di Zucchi7 (così copioso perché non si veda che dietro non c’è nulla), mostrano come non sia l’abito, il sembiante, a fare il monaco. Rimangono dunque aperti gli interrogativi sul reale del sesso e su come ciascuno si arrangi con la questione della mancanza e della castrazione.
Note
↲1 | C. Leguil, L’essere e il genere. Uomo/donna dopo Lacan, Rosenberg & Sellier, Torino, 2019, p. 11. |
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↲2 | Ibidem, p. 14. |
↲3 | P. Tassara, Sembianti (la caduta dei), in Scilicet. Il corpo parlante. Sull’inconscio nel secolo XXI,. Alpes Italia s.r.l., Roma, 2016, p. 293. |
↲4 | http://agalmatica.it/2019/12/10/il-concetto-di-struttura-in-lacan-il-ruolo-della-triade-rsi-nella-formazione-delle-strutture-psichiche/ |
↲5 | http://2010.congresoamp.com/it/template.php?file=bibliographie_raisonnee/textos/meut_physi |
↲6 | In inglese il verbo tuck significa nascondere, rimboccare, con particolare riferimento all’azione di infilare la camicia dentro i pantaloni. |
↲7 | Cfr. J. Lacan, Seminario VIII, capitolo XVI. |