Alfonso Leo
The baby business1 è il titolo di un libro scritto da Debora Spar nel 2006. La professoressa Spar insegna Business Administration all’Università di Harvard e, in questo volume, parla dell’industria della riproduzione umana. Sentir parlare di procreazione medicalmente assistita in termini di industria lascia all’inizio sconcertati, ma poi ben si comprende quanto questo settore sia diventato davvero uno degli ambiti della medicina in cui il discorso del capitalista2 ha mostrato maggiore sviluppo.
Fino a qualche anno fa avere un figlio era un’operazione “naturale”. Le coppie infertili avevano poche alternative all’adozione; da un paio di decenni, cito le parole di Debora Spar, “è possibile ordinare bambini da un menu di comode opzioni quali donazione di ovuli, uteri in affitto e selezione genetica”.3 Nel gennaio del 2009 una donna californiana ha dato alla luce 8 bambini nati dall’impianto di sei ovuli fecondati, due di quegli embrioni si erano duplicati dando origine a due gemelli portando così il totale a ben 8 neonati. Nei primi anni in cui si sperimentava la fecondazione in vitro era frequente impiantare sei embrioni sperando che almeno qualcuno di essi attecchisse, tuttavia nel 2009 l’indice di successo non era così basso da giustificare un così alto numero di embrioni impiantati. Va detto che la donna non era alla prima gravidanza: aveva già concepito sei bambini nati dall’impianto di 4 ovuli, di cui 2 avevano dato origine a 2 gemelli ognuno. La giustificazione del secondo impianto era da ricondursi alla volontà di portare “a compimento” tutti gli ovuli che erano stati fecondati, onde evitare di abbandonarli alla clinica per l’infertilità. Secondo la logica capitalista non si può perdere nulla, il godimento deve essere illimitato, non si possono accettare perdite. Come impone il mercato, vanno massimizzati i profitti, non si butta via niente! La Società Americana di Medicina riproduttiva consiglia di non impiantare più di 2 blastociti (embrioni a 5-6 giorni di sviluppo) per ovvie ragioni di opportunità, in quanto gravidanze con un numero così elevato di embrioni sono pericolose sia per la madre che per i bambini. Uno dei problemi sollevati all’epoca concerneva la condizione economica della madre, donna singola single disoccupata; molti credevano che fosse irresponsabile portare al mondo più bocche di quelle che si era capaci di nutrire, le quali avrebbero certamente gravato sul carico fiscale dei cittadini californiani.
Un altro esempio è dato da quella che è stata chiamata “Snowbaby”,4 la piccola Molly, nata da un embrione congelato 27 anni prima, concepita due anni dopo la nascita della propria madre, se per madre si vuole intendere colei che ha portato a termine la gravidanza. Si trattava proprio di uno di quegli embrioni non utilizzati in corso di fecondazione in vitro e che, per un ventaglio di ragioni, vengono lasciati ai centri per la procreazione assistita. Esiste un problema di bioetica: in questo tipo di pratica medica le pazienti hanno l’autorità di decidere se gli embrioni non usati siano da congelare, se uno dei genitori possa farne uso in caso di morte o divorzio, oppure se possano essere eliminati, donati ad altri genitori, alla ricerca. Molti centri della fertilità hanno in trattamento uomini e donne che hanno problemi nel concepire, ma non si occupano dei bambini che nasceranno. Per l’adozione è necessario passare attraverso una serie di valutazioni anche psicologiche e psichiatriche, mentre nel caso di fecondazione medicalmente assistita questo non è un requisito indispensabile. Anche nel caso di fecondazione eterologa, pratica introdotta di recente anche in Italia, la consulenza psicologica è consigliata ma non obbligatoria. Mentre per l’adozione è richiesta una base economica, per la fecondazione assistita questo non è necessario. Si potrebbe pensare che il costo delle procedure per la fertilità possa agire “de facto” come uno schermo finanziario ma di certo non è paragonabile all’inchiesta che viene effettuata dalle agenzie che si occupano di adozione. Tutto questo si è tradotto in un netto calo del numero di adozioni, nonostante il tasso medio di successo della procreazione medicalmente assistita sia intorno al 30%.
Gli uomini e le donne hanno sempre voluto controllare la loro vita riproduttiva, ma quello che oggi la tecnologia ha creato è un’ampia gamma di possibilità; la possibilità di decidere non solo di avere bambini e quando, ma anche quanti, di scegliere tra combinazioni genetiche e specifiche caratteristiche, di scegliere il metodo di concepimento così come i possibili risultati. Come afferma la professoressa Spar, si prospettano possibilità terrificanti.5
È il discorso del capitalista al massimo grado, è il figlio ridotto a gadget da esibire e possedere. Citando le parole di una paziente: “Le mie amiche hanno un figlio, perché io non posso?” E di certo non può essere un figlio di “seconda mano”, un figlio adottato. Si comprende che davvero la logica è solo quella del discorso del capitalista, dove tutto deve filare liscio, il figlio deve essere “nuovo di fabbrica”.
Come si legge in The baby business: “Ci possiamo lanciare nel mercato che il desiderio ha creato, immaginando come possiamo plasmare i nostri figli e proteggerli senza distruggere noi stessi”.6 Puro mercato. La psicoanalisi, è logico pensarlo alla luce delle riflessioni precedenti, sarà sempre più coinvolta come interlocutore privilegiato per trattare, caso per caso, il malessere legato alla procreazione e, come dice Dominique Laurent,7 lasciare aperta la scelta forzata della “follia” di ciascuno.
Cartello: VOLERE UN FIGLIO? L’esperienza in un centro ospedaliero per la P.M.A.Argomento: La P.M.A. tra desiderio di un bambino e “diritto” alla maternità: per una lettura lacaniana del fenomeno.
*Intervento fatto alla I Giornata Nazionale dei cartelli della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, che si è tenuta il 28 marzo 2021.
Note