Maria Costanza Ciancarelli
Con naturalezza i componenti del cartello all’arrivo del virus hanno virato verso il tema dello stress lavoro correlato degli operatori sanitari durante la pandemia. La fatica che ha portato con sé questo evento, la difficoltà nel pensarlo, nel concettualizzare e infine nel tentare di rispondere con una soluzione al marasma. Nella lingua dei testi sacri dell’antico Iran, morte si dice “mara” da cui l’italiano marasma. Marasma nel linguaggio medico indica uno “stato di deperimento grave ma ancora reversibile, caratterizzato da estrema magrezza”. Risuona molto interessante la definizione figurata del dizionario Treccani: “Stato di grande disordine e decadenza di istituzioni sociali, politiche… situazione di grave incertezza e confusione e quindi prevalentemente di inattività del mondo economico”. Nel marasma, gli operatori sanitari hanno a che fare con le logiche, a cui si è soliti pensare, ridotte all’osso. Scheletro fragile che necessita di essere rivestito di un ordine simbolico.
Le difficoltà incontrate hanno trovato una soluzione (o magra consolazione?) nel senso di appartenenza di ognuno di noi alla specie, al pianeta, alla categoria di lavoratori, ad esempio quella del personale sanitario, degli eroi. Come se la catena significante avesse riposizionato le coordinate sovvertite completamente dal virus. “È nella catena significante che il senso insiste, ma nessuno degli elementi della catena consiste nella significazione di cui è capace in quello stesso momento”.1
Il Personale Sanitario prima di essere accomunato dalla natura del mestiere, lo è dal fatto di essere costituito da persone. Persone che temono la morte, ma che allo stesso tempo sono abitate da un desiderio che spendono nella relazione di cura. Il corona virus in alcuni casi ha fatto paura più della morte stessa. Perché i pazienti terminali oncologici durante la pandemia temevano più la possibilità del contagio del virus, invece che la certezza della loro morte per tumore? Forse il ruolo della medicina e della scienza in queste due realtà è diverso, o in questi due “reale” diversi?
Nella terapia palliativa il dolore, il senso di angoscia è sedato e supportato tramite farmaci e un servizio di “accompagnamento”. Qui è evidente come la scienza abbia cambiato il nostro rapporto con la natura, con il corpo, con la vita e con la morte. La medicina permette di affrontare quest’ultima parte alleviando le sofferenze per quello che si può, questo è estremamente importante. C’è un’altra parte che apre lo spazio per un intervento di parola. Piccolo spazio per la medicina ma grande spazio per la psicoanalisi, dove viene attraversata l’esperienza di angoscia della morte, non sedata. Tutti questi avanzamenti della medicina hanno importanza però toccano dei punti cruciali. Per esempio la frase di Freud “ognuno di noi è inconsciamente convinto della propria immortalità”2 questo punto qui è una condizione che non si regge più e questo apre all’angoscia un nuovo spazio. La scienza trasforma questo punto dell’esperienza, ma tocca dei punti soggettivi e questo ha degli effetti di angoscia non da poco. Nella pandemia il ruolo della scienza e della medicina è venuto a mancare, il pallio delle terapie, delle linee guida e delle procedure è venuto meno. É crollata la capacità di previsioni del sapere scientifico. Il tentativo di esorcizzare la morte è fallito. Il pallio è caduto. Il reale è nudo! (Utilizzando una celebre frase della fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen)