Marianna Matteoni
Per la prima volta ho partecipato a un cartello-lampo, un cartello bibliografico, per contribuire alla compilazione della bibliografia per il Convegno SLP, Il reale del sesso 1. Ci si incontra via Skype, questo impone il reale della pandemia e nel reale ci si sta come si può, con le risorse soggettive, i sintomi, e gli strumenti della tecnologia, in un cammino accidentato perché le connessioni saltano, i volti si “frizzano” in un fermo immagine, le parole si spezzano nei collegamenti rallentati.
Appare chiaro fin da subito che il lavoro in questo cartello sarà a rovescio: il libro di riferimento non esiste, lo si crea di volta in volta a partire dai contributi dei cartellizzanti. Si va costruendo un discorso che si compone dei brani di un testo e poi di un altro testo, estratti dalle personali biblioteche di ognuno. Il discorso è aperto alle sorprese che si produrranno nel qui e ora dell’appuntamento, in cui ognuno condivide il suo punto di riflessione.
Scelgo fin da subito l’argomento che orienta il mio lavoro, Dall’incompatibile all’inassimilabile, e vado alla ricerca di testi da cui ricavare citazioni per la bibliografia del Convegno.
Il primo tempo del cartello mi vede immersa nella comfort zone di un terreno conosciuto, il testo di Freud, il giovane neurologo allievo di Charcot, “convertito” alla nevrosi, dove il sessuale non è ciò che il senso comune pensa, ma è ovunque, tranne dove lo si aspetta, e fa trauma fin dal primo apparire nei racconti delle isteriche. Il sessuale come incompatibile, dunque, incompatibile con l’Io, con la coscienza, con la morale, che lo integrano a stento, a prezzo di un sintomo.
A questo punto, per me, c’è un disorientamento. La bibliografia si arricchisce di citazioni, ma il mio lavoro si arena. I contributi dei cartellizzanti mi portano in una direzione diversa rispetto al mio tema di lavoro. Diversa al punto che l’inassimilabile di partenza, il sessuale della scoperta freudiana, assume nuovi contorni, meno definiti e meno rassicuranti, spostandosi verso il Seminario XIX, …o peggio, su cui il mio sapere in quel momento non mi sostiene, e verso cui, al contrario, mostro una certa tendenza all’ottusità.
Dice Jacques-Alain Miller: «il cartello mi ha interessato per scopi di sapere. Ammetto volentieri altri usi. Questo è il mio»2. Il sapere, dunque, è il terreno su cui si gioca la partita. Perché si studia? Per sapere di più, ma talvolta anche per continuare a non volerne sapere. In questo senso, la «pigrizia» 3 del cartellizzante e il non volerne sapere dell’analizzante trovano un punto di incontro.
Durante questo cartello-lampo viene a mancare Virginio Baio. All’improvviso, mi ricordo le sue parole: «Conoscete il gioco del 15?». Era la domanda che prima o poi Virginio Baio formulava durante gli incontri con noi educatori. Sì, conoscevo il gioco del 15. Il mio personale è una tavoletta di plastica verde e al suo interno 15 tessere bianche numerate, incastrate in rigidi binari, e una assente, la più importante. Un tutto-pieno non serve a niente. Con 16 tessere non si gioca, occorre che siano 15, che un posto sia vuoto per poter far girare le tesserine dell’incastro. Un’assenza che causa, dunque.
Gli interrogativi inevasi al termine di un gruppo di studio di filosofia sul Parmenide di Platone non cessavano di lanciare richiami dopo un lustro: un posto rimasto libero, come il 16 del rompicapo. Con il cartello quegli interrogativi tornano alla ribalta, ma sotto una nuova luce e si agganciano all’Uno a cui Lacan rinvia a più riprese. Se l’Uno del dialogo di Platone rimaneva enigmatico, impigliato in un ragionamento che si avviluppa su se stesso e non giunge a sbrogliare proprio niente, nel corso del cartello-lampo l’Uno di Lacan è diventato un vuoto causativo che ha rilanciato il mio lavoro e orientato alla lettura di nuovi testi e argomenti da me volutamente evitati fino a quel momento.
Nel legame temporaneo stabilito dal cartello si acchiappa un pezzo di sapere, ma solo un pezzo. Si sperimenta che il sapere tutto pieno è impossibile e che il suo statuto è il non-tutto, ecco perché ci si può lasciare alla scadenza e andare a formare nuovi cartelli. Non c’è l’ultima parola, ma c’è il 16: un vuoto che causa.
Note