Éric Laurent
Ci sono testi il cui contesto di enunciazione determina le chiavi di lettura con forti vincoli. Il testo di Lacan “La psichiatria inglese e la guerra”[1] è uno di questi. Il pretesto che dà origine al testo è semplice. É una conferenza che racconta un viaggio di studio di cinque settimane, fatto nel settembre 1945, come psichiatra francese, per studiare le trasformazioni della psichiatria inglese a causa della guerra. In realtà, si tratterà dell’impatto della psicoanalisi e dei suoi metodi sulla psichiatria inglese. Giornale di bordo che racconta l’uscita dalla guerra, la riscrittura della conferenza nel 1946 si avvicina a un diario di viaggio, un’indagine tecnica, un racconto filosofico, un’interpretazione psicoanalitica di uno stato di disagio della civiltà.
Il viaggio si svolge in Inghilterra e nel paese della psicoanalisi. L’indagine tecnica riguarda la gestione dei piccoli gruppi e l’impostazione del futuro della psichiatria nell’ambito del welfare state. Il racconto filosofico verte sul senso del realismo e dell’utilitarismo. L’interpretazione psicoanalitica si concentra sull’impatto comparato del declino dell’imago paterna in due aree culturali distinte. Infine, è un trattato etico che definisce il posto dello psichiatra-psicoanalista nel mondo del dopoguerra. È un manifesto che definisce i suoi doveri e le responsabilità che la sua azione comporta.
Siamo in un’epoca che è già molto lontana da noi. È una rottura storica dove tutto sembra essere segnato dal sigillo della novità e del fascino. Alla fine dell’inferno, un mondo deve essere ricostruito. L’atmosfera è quella dell’utopia, dei progetti sociali. È una di quelle svolte storiche in cui l’uomo sembra essere padrone del proprio destino. La presenza della dimensione collettiva non è vissuta dal soggetto come una legge ferrea ma come un’opportunità per prendere posizione. Notiamo come Lacan, in un periodo in cui il bisogno di ideologia era così presente, fa un uso molto particolare del termine ideologia. La “cortina di ferro” sta cadendo. Lo scontro ideologico non è ancora quello del comunismo contro il liberalismo. Per un breve momento, possiamo ancora parlare dell’ideologia inglese e opporla a quella francese.
In questo contesto molto particolare dell’immediato dopoguerra, è in nome del “realismo” che Lacan si esprimerà. È certamente un tipo particolare di realismo, il realismo psicoanalitico. La reintroduzione del termine realismo e la valorizzazione della dimensione del reale è delicata nel contesto e Lacan lo sa. Accetta la sfida. Sa che la nozione di “realismo politico” è stata usata per coprire i peggiori compromessi con il nazismo durante la sua ascesa al potere. Il riferimento indiretto al libro di Julien Benda del 1927, “Il tradimento dei chierici”[2], indica bene il problema. In quest’opera, Benda ha glorificato la missione dell’intellettuale, il ‘chierico’, nel suo rapporto con la verità. Non deve mai cedere al suo dovere di dirla, contro ogni servizio a un’ideologia. Tuttavia, nel crollo delle democrazie tra le due guerre, troppi intellettuali si sono messi al servizio di un cosiddetto “realismo”, abdicando alla loro missione primaria. Alla fine della guerra, il realismo ha avuto una stampa negativa. Eppure è sotto questo termine che Lacan si colloca. Apprezziamo la difficoltà dell’esercizio. Se c’è una cosa che la seconda guerra mondiale ha dimostrato è la spaventosa docilità dell’uomo moderno, pronto ad arruolarsi sotto “ideologie del nulla”. Come dice ironicamente Lacan alla fine del testo, “non è da un’eccessiva indocilità degli individui che provengono i pericoli per l’avvenire umano”[3]. Questa è la grande lezione della guerra. Sarà sempre conservata da Lacan. Dal punto di vista psicoanalitico, si formula per lui nella congiunzione, perfettamente osservata, dei “più fiacchi cedimenti della coscienza” e della tirannia della pulsione di morte, nella forma del superio. Eppure vuole mostrare che c’è un realismo che non è compromesso e abbandono. È un realismo che affronta le “potenze oscure del superio” con determinazione, e con l’intenzione di sconfiggerle. Ci vuole questo orizzonte per essere così appassionatamente interessati a un’esperienza che potrebbe essere ridotta a una misera operazione al servizio di una politica contingente. Perché decifrare il futuro in questa impresa di “adattamento” degli uomini allo sforzo bellico britannico? È perché testimonia la possibile vittoria delle forze della ragione non solo contro il nichilismo nazista, ma contro le forze della pulsione di morte. Aggiungiamo anche che, all’epoca in cui Lacan scriveva, i fantasmi eugenetici di una selezione biologica umana erano molto presenti. Il Brave New World di Huxley era una risposta alla volontà di potenza della selezione biologica nazista. Il nostro attuale contesto di lettura del genoma umano rinnoverà questi fantasmi e richiederà battaglie per le quali dobbiamo prepararci.
È dunque, prima di tutto, il contesto di un “realismo di lotta” che Lacan metterà in piedi, per poi passare alle tecniche di adattamento che ha visto all’opera nella loro efficacia. Se la psicoanalisi si presenta nella sua dimensione di efficacia sociale, è come uno strumento di lotta contro la morte all’opera nella Civiltà. Possiamo già vedere la missione che sarà assegnata a una Scuola di psicoanalisi. Quella di essere “una base operativa contro il disagio della civiltà”.
È in questo contesto che leggiamo questo testo oggi. Lo leggiamo come un anello della catena che porterà Lacan alla sua “dottrina della Scuola”, come l’ha chiamata Jacques-Alain Miller. Leggiamo in questo testo uno dei fili della genealogia del “piccolo gruppo” che Lacan chiamerà “cartello”. Ne farà la base di un’istituzione per la psicoanalisi. L’interesse per il piccolo gruppo deve essere situato in un contesto più ampio, quello dello sviluppo dei principi d’azione della psicoanalisi nel campo sociale nel suo insieme. Se questa azione è possibile, è perché si ritiene che questo campo non sia strutturato diversamente dall’Inconscio Freudiano. Lacan trae la lezione della Psicologia delle masse e analisi dell’Io freudiana nel testo che ci interessa sin dal secondo paragrafo. Sulla scala della Francia e della sua ideologia, “non potevo che identificare per il gruppo […] le stesse modalità di difesa che l’individuo utilizza nella nevrosi”[4]. In tutto il testo, i termini “collettivo” o “collettività” sono strettamente omologhi ai processi soggettivi. Dal punto di vista della ragione psicoanalitica, la “scala collettiva” non è altro che il livello del soggetto. Quando, rivolgendosi al suo pubblico di psichiatri, Lacan parla di “utilizzo delle scienze psicologiche su scala collettiva”[5], è questa la posta in gioco.
Cos’è un realismo da combattimento
È prima di tutto l’Inghilterra e la sua uscita dalla guerra che interessa Lacan. Egli contrappone immediatamente il pragmatismo inglese al modo irreale in cui la “collettività francese”[6] aveva vissuto la guerra, dall’inizio alla fine. Questa irrealtà non era dovuta solo all’ideologia pétainista, un’“ideologia da baraccone” nel senso che fu un’ideologia da luna park. Non per questo fu meno grave. Gérard Miller è riuscito a dare tutte le conseguenze alle osservazioni di Lacan sul pétainismo. La causa della sensazione di irrealtà non è solo quella di una cattiva bussola. È presentata da Lacan come la conseguenza di un atto morale, quello della resa al nemico. Ne conseguirebbe, per il gruppo, una “dissoluzione veramente panica del suo statuto morale”[7]. Notiamo che Lacan valuta l’azione del generale De Gaulle, in questa questione di morale, come poco importante. Possiamo vedere che il mito gollista della “Francia resistente” non ha avuto il tempo di essere costruito. Di fronte all’irrealtà indotta sul lato francese, Lacan oppone il vero senso dell'”ideologia inglese”, l’utilitarismo. Lo traduce come “un rapporto veridico con il reale”[8]. L’accostamento così stabilito tra verità e reale indica l’orizzonte in cui Lacan vuole collocarsi. Rifiuta il termine “adattamento” per designare questo rapporto, il che sarà di grande importanza quando si tratterà di parlare di ‘riadattamento’ dei soggetti. Poiché il termine “realismo” non può essere compreso col suo vero valore, Lacan propone invece il termine “eroismo”. Questa connessione è senza precedenti.
Egli dà a questo termine dei sensi concreti. L’eroismo è prima di tutto un anti-romanticismo. In questo senso, Lacan è stendhaliano. Egli nota il disprezzo mostrato dai suoi interlocutori per il termine “rovina”. Più clinicamente, nota un segno da una serie di incontri. Attesta una “depressione reattiva su scala collettiva”[9]. Dimostra che ognuno, uno per uno, si è lanciato sino alla fine di se stesso, sino all'”intimo esaurimento delle forze creatrici”. È così che Lacan fa di questa “depressione” un segno positivo. È un “fattore tonico”, dice. Questa è una lezione clinica da ricordare. Dobbiamo sempre distinguere la depressione reattiva dalla tristezza, dal dolore di esistere, o anche dalla malinconia.
Per affrontare l’oggetto ristretto della sua conferenza, fa riferimento a un libro e a due uomini. Il libro è quello dell’allora direttore della clinica Tavistock prima della guerra, il generale di brigata Rees, e il suo libro The Shaping of Psychiatry by War. I due uomini sono Bion e Rickman. Prima di tutto prende dal libro di Rees i dati del problema inglese.
Come utilizzare la “scienza psicologica ancora giovanissima” per “la creazione sintetica di un esercito”[10] e soprattutto come prendersi cura del suo morale, concepito in termini psicoanalitici come una identificazione.
La teoria freudiana dell’identificazione è presentata come il primo approccio scientifico all'”incantesimo destinato a riassorbire interamente le angosce e le paure di ciascuno in una solidarietà di gruppo”. L’esercito inglese e più in generale l’esercito anglo-americano è presentato da Lacan in tutta la sua dimensione di artefatto, di “creazione della ragione”. Il suo trionfo su un esercito che incarnava l’apice della tradizione militare tocca la figura del militare come “resto” del discorso. La ragione ha dissolto un’altra tradizione.
L’uso dei test psicologici richiesti per la “creazione sintetica” dell’esercito britannico è descritto con un’enfasi sulla significazione del “processo di identificazione orizzontale” e la sua attuazione. Questa è una dimensione distinta del processo d’identificazione con l’ideale scoperto da Freud. Lacan fissa una data in questo testo e ricorda che, già nella versione pubblicata del suo discorso sullo “stadio dello specchio”, tenuto al Congresso di Berlino nel 1938, aveva sottolineato il carattere angosciante delle folle naziste e del loro egualitarismo sfrenato davanti al capo. Ne deduce giustamente che l’esercito nazista era stato rafforzato “con il contributo morale di una democratizzazione dei rapporti gerarchici”[11]. Non presenta l’uguaglianza democratica come un bene assoluto. È necessario prima sapere a cosa serve. A questa uguaglianza universale, senza eccezione, di un “per tutti” che livella, Lacan oppone la ricerca pragmatica di una omogeneità nei gruppi in vista di un compito preciso. Ciò che gli interessa nel “piccolo gruppo” è precisamente che non mira all’universale. La solidarietà che deriva dalla costituzione di un ideale comune, secondo il meccanismo freudiano, non deve necessariamente rivolgersi al “per tutti” dell’esercito o della chiesa. Si tratta qui di gruppi limitati e differenziati. Si tratta di costituire gruppi omogenei nel loro semplice rapporto con una norma di efficacia in modo che “questi soggetti […] una volta raggruppati tra loro, si mostrano […] più efficienti”[12]. Lacan elogia il pragmatismo nella misura in cui è uno strumento di lotta contro l’universale cieco.
La psicologia di gruppo che viene così considerata è una “rivoluzione”. Questa rivoluzione non è solo un’estensione della Psicologia delle masse freudiana. Porta nuovi sviluppi e contributi. Enfatizzando “l’identificazione verticale” con il leader, Freud “ha trascurato il processo di identificazione orizzontale”. Questo è il significato teorico fondamentale di questa omogeneità a cui mirano gli psicologi del gruppo.
Il gruppo e l’Uno
Bion e Rickman sono presentati come coloro che sono stati in grado di articolare le conseguenze pratiche di questa nuova dimensione dell’identificazione orizzontale. Lacan considera “folgorante”[13] l’osservazione di Rickman secondo cui i rimproveri di narcisismo rivolti al nevrotico, la sua difficoltà a lavorare con gli altri, è forse dovuta al fatto che raramente ha l’opportunità di trovarsi “sul suo stesso piano per quanto riguarda i rapporti con il proprio simile”[14].
Lacan mette in relazione questa dichiarazione “anti-segregativa” con l’ispirazione che anima alcune esperienze in Francia, di cui è a conoscenza, da parte di psichiatri progressisti. Questi tentano di costituire luoghi utopici in cui si ripristina uno scambio o un legame umano come preludio a una “cura razionale dei disturbi mentali”. Questi furono i primi tentativi di “Psicoterapia Istituzionale”, come sarà chiamata in Francia quella che in Inghilterra sarà chiamata “Community Therapy”. Bisogna notare che, a partire dal 1946, Lacan incontra un certo numero di psichiatri che vogliono trarre dall’insegnamento freudiano un’ispirazione pratica per organizzare le cure psichiatriche del futuro. Alcuni di loro avevano lavorato con il dottor Tosquelles all’ospedale di Saint-Alban. Altri erano legati al movimento studentesco, specialmente la gioventù studentesca protestante.
Prima dell’esperimento di Bion e Rickman, gli ospedali militari erano principalmente organizzati intorno al rinvigorimento, al trattamento morale, al ricordo dei propri doveri, alla volontà di far vergognare e alle minacce di punizioni varie. Invece di questa accentuazione dell’ineguaglianza del malato che soffre di disturbi psichici in relazione ai suoi doveri, e della sua ineguaglianza in relazione ad essi, Bion organizza piccoli gruppi di persone che sono tutte su un livello uguale in relazione ad un certo compito da portare a termine.
Questo ambiente omogeneo così costituito, con la sua forza identificatrice, è considerato da Bion dal punto di vista delle sue tensioni interne. Per essere omogeneo, deve essere considerato anche nella sua disparità. Freud ha sottolineato che l’unità dell’esercito in tempo di guerra si basa sul legame con il leader e con un nemico comune. Per gli uomini a lui affidati per la riabilitazione, Bion occuperà quindi il posto del leader severo ma giusto, e considera il nemico comune come, per ognuno di loro, un nemico interno. Questo è il loro tratto di drop–out, per usare un anacronismo. Lacan parla di stravaganza. Ognuno è malato di Ideale, malato della disciplina comune alla quale non può sottomettersi con la ragione.
Bion divide gli uomini in gruppi incentrati su un compito da portare a termine. Le modalità di identificazione dei gruppi, la loro iscrizione su una griglia realizzata da uno dei gruppi stessi, la sola esigenza di novità imposta alla definizione del compito dei gruppi, sono tutti punti fondamentali isolati da Lacan. Questi principi, nella loro eleganza prescrittiva, saranno mantenuti come base di tutto il lavoro di Community therapy in seguito. Appena formati, i gruppi hanno difficoltà ad esistere. Danno luogo a varie lamentele e comportamenti vari di fuga. L’ipotesi di lavoro si basa sul fatto che le difficoltà più importanti del nevrotico consistono nel confronto con le figure paterne, le figure di autorità e che gli atteggiamenti di fuga o di ribellione del nevrotico sono legati al complesso di castrazione. Lacan conserva la costruzione di Bion, basata sull’oggetto del fantasma kleiniano, che il compito in quanto tale è un oggetto che divide il gruppo in modi regolati.
Come psicoanalista, Bion considera che le difficoltà di questi soggetti a formare un gruppo non hanno altro fondamento che la loro difficoltà di identificazione. Egli mira solo a renderli “consapevoli” di questo. Si tratta di sottolineare le difficoltà di esistenza del gruppo, che vengono allo scoperto. Devono essere sistematizzate nello stesso modo in cui si sistematizza il sintomo nel trattamento individuale. Queste difficoltà devono essere rese esplicite al gruppo stesso, così come il sintomo è reso esplicito al soggetto. Lacan usa in modo caratteristico il termine “leggibilità”. Si tratta di rendere il gruppo “sempre più trasparente a se stesso, al punto che ciascuno dei suoi membri possa giudicare adeguatamente i progressi dell’insieme. L’ideale di una tale organizzazione sta per il medico nella sua perfetta leggibilità, per cui egli può valutare in ogni momento verso quale porta di uscita si avvia ciascun «caso» affidato alle sue cure: ritorno alla sua unità, ritorno alla vita civile o perseveranza nella nevrosi”[15]. Notiamo che Lacan mette l’accento sul ciascuno, sull’uno per uno. Non è eccessivo dire che nel presentarci le ipotesi di lavoro di Bion, egli struttura il lavoro del piccolo gruppo come una variante del sofisma del “tempo logico”.
Il metodo utilizzato per questa leggibilità non ha altra base che quella dell’interpretazione. Si tratta di designare nel comportamento di ognuno la stessa cosa di cui si lamenta con gli altri, gli altri gruppi o l’esercito in generale. “Ed ecco che improvvisamente si produce nel gruppo la cristallizzazione di un’autocritica”[16]. In questa produzione di un soggetto diviso che può allora interrogarsi, Lacan conclude che lì c’è effettivamente il principio di un trattamento di gruppo. Esso va dalle difficoltà dell’unità del gruppo alla produzione di soggetti divisi, riviati alla loro domanda intima.
Ciò che il gruppo ci insegna del capitanato, del capo e del significante padrone
Dopo aver presentato il lavoro di Bion nel centro di riabilitazione o di smistamento di Northfield, Lacan arriva al metodo di selezione degli ufficiali attraverso il cosiddetto test del “gruppo senza capo”.[17] Questo è il contrario della cronologia. Bion iniziò nel 1941 ad occuparsi della selezione degli ufficiali prima di passare al centro di riabilitazione. Se Lacan cambia l’ordine cronologico è per mettere l’accento concettuale prima sulla “identificazione orizzontale”, e il complemento che apporta agli sviluppi freudiani. Arriva poi agli insegnamenti sulla dimensione “verticale”, sul capo.
Il metodo di Bion del “gruppo senza leader” permette a Lacan di sganciare la funzione del capo dal capitanato stesso. Assegnando ad un gruppo un compito difficile, senza dargli un capo esplicito, possiamo vedere come le funzioni indispensabili del capo sono spontaneamente adempiute dai vari partecipanti secondo le loro proprie qualità. Ma “ciò che l’osservatore noterà saranno non tanto le capacità di guida manifestate da ciascuno, quanto la misura in cui il candidato sa subordinare la preoccupazione di farsi valere all’obiettivo comune che l’équipe persegue e in cui l’équipe deve trovare la propria unità”.[18]
Molte delle caratteristiche del cartello sono prese dalle lezioni apprese da Bion. Bisogna notare che esse sono organizzate, ordinate, vagliate. Lacan non prende tutto dagli sviluppi di Bion. Il cartello fece la sua apparizione nel 1964 nell’Atto di fondazione dell’École Freudienne de Paris. È concepito come un piccolo gruppo di lavoro al quale Lacan aggiunge che gli dà “un nome”. Ognuno vi è su un piano di uguaglianza, rispetto al lavoro da fare. Non è più una questione di riabilitazione e di adattamento allo sforzo bellico. Si tratta di mescolare efficacemente dei soggetti, psicoanalisti confermati o in formazione, psicoanalisti o no, intorno a un progetto di lavoro incentrato su “la psicoanalisi”. Il piccolo gruppo è un ambiente di lavoro in cui si lavora tutti insieme e allo stesso livello. Non è strutturato sul gradus o sulla gerarchia. Quando Lacan fondò la sua Scuola, non era più il 1946. La pratica del piccolo gruppo si era sviluppata, non solo nelle istituzioni psichiatriche, ma anche all’università. Tra gli allievi di Lacan, molti erano interessati alle dinamiche di gruppo. Tra loro c’erano Jean Oury e Pierre Felix Guattari della Clinique Psychiatrique de Laborde, e Pierre Kaufmann, un professore dell’università, che aveva fatto la sua tesi su Kurt Lewin. All’Università, la richiesta di piccoli gruppi che prendessero il posto della vecchia organizzazione del “corso magistrale” era diventata una rivendicazione dei sindacati studenteschi. Coloro che soffrivano del disagio del corso magistrale, del professore lontano e distante da tutto, ritrovavano attraverso il piccolo gruppo un modo per inscriversi nel discorso. Il piccolo gruppo aveva così una storia psicoanalitica e una storia universitaria. In entrambi i discorsi, quello analitico e quello accademico, il piccolo gruppo è un modo di lottare contro le difficoltà di identificazione ideale attraverso l’identificazione di gruppo. Allo stesso modo, Lacan, quando fonda una Scuola, ha scelto di basarla su questi piccoli gruppi che, attraverso il loro lavoro, dovranno lottare contro il disagio dell’identificazione con il padrone. Dovranno rimediare al disagio di “dover passare attraverso i suoi significanti”.
Nell’esperienza del “gruppo senza capo”, Bion aveva separato la necessità di una funzione di capo dall’autorità gerarchica in quanto tale. Lacan fa un passo in avanti in questo smantellamento della massività del capo. Egli insiste, basandosi sui modelli strutturalisti Levi-straussiani, sulla funzione permutativa. Egli riduce questo leader permutativo a una funzione più-uno che non chiama più leader, il che stacca ulteriormente la sua funzione dalla vecchia concrezione chiamata il capo. Essa libera ancora di più la funzione irriducibile del significante-padrone. C’è una funzione speciale qui, che deve essere incarnata da qualcuno ma che poi deve essere permutata, impedendo così un’identificazione della persona con la funzione. Nel 1964, Lacan solleva la questione della dimensione del gruppo da considerare. Questo è un punto che Bion non ha avuto il tempo di tematizzare e che non viene sollevato nel testo del 1946. In psicologia, in generale, gli sviluppi della teoria dei piccoli gruppi hanno insistito empiricamente sulla soglia di sei persone come nel gruppo di Philips. Il gruppo, aveva notato Freud, comincia oltre la coppia, cioè a tre. Era quindi ragionevole fissare la dimensione del piccolo gruppo tra tre e cinque più-uno. L’Atto di fondazione diceva “da tre a cinque più uno, quattro è la misura giusta”. Nel 1980, al momento del taglio tra l’École Freudienne de Paris e l’École de la Cause freudienne, Lacan coglie l’occasione per precisare che quattro è la misura del cartello, non semplicemente quella giusta, ma che è la misura. Sono due momenti da considerare insieme. Nel 1980 c’erano molte persone (i mille) e si trattava di organizzare dei gruppi che fossero, senza che si prendessero per gruppi di pressione. Questo è stato un fattore nella scelta della riduzione a quattro. E poi il quadripode era giunto a prendere un posto speciale nell’insegnamento di Lacan. Era stato in grado di ridurre la lista degli oggetti (a) a quattro, sebbene ci fossero anche delle varianti a cinque. C’erano quattro posti nei quadripodi di ciascuno dei quattro discorsi, ecc.
Lacan è discreto nella ripresa del 1964 sul contenuto delle dinamiche di gruppo. Bion aveva distinto, in ogni gruppo umano, reazioni di aggressività, reazioni di attacco-fuga, reazioni di adorazione del leader (la relazione mistica con il leader – o adorarlo o ucciderlo come vittima). Queste diverse relazioni con l’S1 accoppiato con (a) possono essere localizzate secondo le coordinate delle dimensioni reali, immaginarie o simboliche. Le reazioni di attacco-fuga sull’asse immaginario, le reazioni d’amore nei confronti della figura di autorità simbolica devono essere accoppiate alla degradazione dell’amato al rango di rifiuto. Questa dinamica si instaura sempre e si può fare in modo che questo sia il centro dell’interesse. Ci si può appassionare alle dinamiche di gruppo, che è la via scelta da alcuni allievi di Lacan. Per quanto lo riguarda, egli insisteva piuttosto sulla necessità di svuotare di interesse tutti questi effetti di gruppo per concentrarsi sul lavoro da fare. Il lavoro del più-uno è quello di far pensare il gruppo non sulle sue dinamiche, ma sul lavoro in quanto tale. Quando c’è Cartello, ci sono persone che sono assenti alle riunioni, questa è la reazione di fuga. Ci sono persone che arrivano di cattivo umore, pronte a criticare tutto ciò che viene presentato da questa o quella persona, queste sono le reazioni di attacco. C’è chi vuole prendere il potere per organizzare il lavoro di tutti. Ci sono quelli che vogliono incarnare la funzione di direzione al posto del più-uno, o anche gli effetti di spinta-al-leader. Tutti questi effetti sono previsti fin dall’inizio. Si tratta, per il più-uno, di interpretarli in modo che non arrivino al centro del lavoro. Per fare questo, è necessario interpretarli. Lacan mette il più-uno in un posto analitico che gli permette, come faceva l’analista secondo Bion, di interpretare come tale e di evitare che questi effetti si cristallizzino, o sull’asse immaginario o sull’asse simbolico o come effetti di reale di scarto.
Qual è l’onere che implica una funzione
Al di là della questione del gruppo, è il disagio della civiltà che è in gioco alla fine del testo. Lacan spinge la psichiatria del futuro, armata degli strumenti della psicoanalisi, a schierarsi. Incoraggia lo psichiatra ad uscire dal suo antico ruolo di medico, ad uscire dall’ospedale, ad intervenire nei dibattiti contemporanei in nome del loro sapere clinico. Lacan ne fa niente meno che dei “difensori dell’uomo”. Se ha evocato i “chierici” del tradimento, non è per incoraggiare il chierico a prendere se stesso per un chierico. Prende in giro quei chierici che cercano le “responsabilità sociali” del diritto, della medicina e dell’uomo di chiesa per sentirsi in una posizione “in cui la superiorità gli è garantita a priori”.[19]
Lacan apre risolutamente “nuove vie”. Evoca uno psichiatra-psicoanalista che prende in mano la dimensione globale di ciò che, nei rapporti sociali, può “essere riconosciuto come influente sulla sua igiene mentale”[20]. Lacan trae le conseguenze della proposizione fortemente sostenuta nella sua tesi che la psicosi è una patologia del legame sociale. L’ha formulato così: “Il delirio d’interpretazione è un delirio del pianerottolo, della strada, della tribuna”. Questa concezione lo condusse alla psicoanalisi e nel 1947 si rivolse ai futuri psichiatri assegnando loro una missione “del pianerottolo, della strada, della tribuna”. Questo compito implica la collaborazione con psicologi non medici al di fuori dell’ospedale.
Sei anni dopo, nel 1953, il rapporto del dottor Daumezon e del dottor Duchêne raccomandava la distribuzione di tutte le attività psichiatriche per settori collegati ad ogni reparto ospedaliero. Questo modello ha cominciato ad essere applicato in Francia nel 1955. È il modello proposto da Rees dello psichiatra di zona in tempo di pace e sostenuto da Lacan. Si concentra su una concezione psicogenetica del disturbo mentale. “Psicogenesi” qui significa disordine “nell’Altro”. “In effetti, com’è possibile continuare a cavillare sulla psicogenesi dei disturbi mentali, quando la statistica ha evidenziato ancora una volta il sorprendente fenomeno della riduzione, con la guerra, dei casi di malattia mentale, sia nella popolazione civile che nell’esercito?”[21] Questa concezione implica un’azione vasta e multiforme che suppone di unire “il funzionario pubblico, l’amministratore e lo psicotecnico”[22] (qui sinonimo di psicologo). Per Lacan, questo era già il caso dei centri di “child guidance”, i centri di cura il cui modello i francesi avrebbero adottato.
Lacan dà il suo “consenso” a questa azione. Naturalmente, ne vede i pericoli. In particolare quello di partecipare a segregazioni multiple. Questo “consenso” non è né cieco, né è una sottomissione a “uno pseudorealismo sempre alla ricerca di una degradazione qualitativa”.[23] L’estensione stessa dei compiti dello psichiatra-psicoanalista presuppone una posizione etica fermamente richiamata. Negli avanzamenti di Bion, ci ricorda, “in nessun momento […] abbiamo potuto dimenticare l’alta tradizione morale di hanno ricevuto l’impronta”.
La discussione che segue la conferenza situa bene il suo contesto di enunciazione. Vediamo il campo degli psichiatri progressisti, psicoanalisti o no, prendere la parola per sostenere la prospettiva di azione di questa psichiatria sociale che sta emergendo. Il dottor Turquet sottolinea ulteriormente le missioni sociali della psichiatria e le chiede di applicarsi allo studio di fenomeni politici come il fascismo. Bisogna notare che l’ironia della sorte farà di questo stesso Turquet uno dei controllori che verranno ad esaminare le pratiche di Lacan e ad interrogare degli analizzanti in formazione didattica quando l’IPA decise di ritirare a Lacan la sua qualifica di didatta nel 1961-1963. Il professor Bermann, argentino, è d’accordo con Lacan. Egli evoca “la direzione sociologica in cui si muove la nuova psichiatria”. Il dottor Daumezon va verso questo orizzonte. Le due note discordanti sono l’intervento di Henri Ey e del dottor Minkovsky. Ey si oppone molto chiaramente e fermamente alla nuova prospettiva. Era contrario a tutti i livelli e lo vedeva come una dissoluzione della psichiatria. Per lui, la presa in carico della “dimensione psicosociologica” in psichiatria era dovuta solo alla carenza di psicosociologi che mancavano di “uno spirito concreto”. Minkovsky “a rischio di sembrare reazionario” mette in guardia contro possibili sviluppi.
Tutto l’equivoco è sulla formulazione della sua opposizione da parte di Henri Ey. Parla solo in termini di psicosociologia e non di soggetto. Questo perché non vuole sentire in alcun modo ciò che Lacan affermerà come “il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale”. La storia dell’alleanza tra psicoanalisti e psichiatri che si sarebbe stabilita nei trent’anni successivi si sarebbe sviluppata a partire da questo malinteso. Gli psichiatri seguiranno le tesi psicoanalitiche nella misura in cui le tradurranno in termini di psicosociologia. L’accettazione della tesi medica che sostiene lo psicoanalista è un’altra cosa. In un recente intervento, la “Teoria della Scuola soggetto”, tenuto a Torino il 20 maggio, Jacques-Alain Miller ha ricordato il suo lato più tagliente. Se è vero che “le funzioni a livello del collettivo sono le stesse che si svolgono nella vita di un soggetto: io, ideale dell’io, identificazione, allora l’esperienza del collettivo è un’esperienza che può essere interpretata”. Per questo Lacan può dire che Temistocle e Pericle erano psicoanalisti. “Rispondere nel modo giusto a un evento nella misura in cui è significativo, nella misura in cui è funzione di uno scambio simbolico tra gli esseri umani – può essere l’ordine dato alla flotta di lasciare il Pireo – è fare la giusta interpretazione”. Applicata al discorso psicoanalitico stesso, la Scuola, che è il collettivo che conviene a questo discorso, deve dunque essere interpretata. È nel compito di costruire una Scuola che possa essere interpretata che siamo attualmente impegnati. È il nostro modo di continuare con Lacan le vie aperte dal suo testo del 1946.
Traduzione: Adele Succetti
[1] J. Lacan, “La psichiatria inglese e la guerra”, Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, pp. 101-120.
[2]Cfr. J. Benda, Il tradimento dei chierici, Einaudi, Torino, 2012.
[3] J. Lacan, “La psichiatria inglese e la guerra”, op. cit., p. 119.
[4] Ivi, p. 101.
[5] Ivi, p. 106.
[6] Ivi, p. 101.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Ivi, p. 102.
[10] Ivi, p. 103.
[11] Ivi, p. 104.
[12] Ivi, p. 105.
[13] Ivi, p. 111.
[14] Ibidem.
[15] Ivi, p. 108.
[16] Ibidem.
[17] Ivi, p. 113.
[18] Ibidem.
[19] Ivi, p. 115.
[20] Ivi, p. 116.
[21] Ibidem.
[22] Ivi, p. 119.
[23] Ibidem.