Omar Battisti
Un cartello a tema Lacan quotidiano. La prima idea è venuta dalla ricchezza dei testi pubblicati su Lacan quotidien, che avrei desiderato lavorare, non da solo. Abbiamo iniziato il lavoro ben prima di dichiarare il cartello. Qualcosa del quotidiano spinge al non volerne sapere, è a me che parlo e scrivo. Mi interrogo: perché questa indifferenza? Non voglio tanto andare alle ragioni personali e singolari quanto sollevare una domanda che non mi è facile formulare. Non posso dire si tratti di indifferenza, piuttosto, qualcosa del funzionamento del quotidiano porta a lasciar cadere una dimensione che Miller mette bene in luce nel suo Corso “Uno sforzo di poesia”, testo a cui spesso sono andato per il lavoro del cartello. Una dimensione dunque trascurata nel quotidiano: “una causalità che ci costerebbe molto dettagliare, una causalità intorno alla quale ignoriamo per quali canali passi, ma che in definitiva si impone. In ogni seduta di analisi c’è fiducia nella utilità indiretta” (p. 160)
Nel funzionamento del quotidiano non c’è spazio per questa causalità che costa fatica prendere in considerazione. Il quotidiano è dominato dal principio di utilità diretta, ovvero una logica secondo cui ha valore solo ciò che è immediatamente chiaro a cosa serve e a che bisogno risponde. Quindi tutto ciò che non serve a niente non è degno di far parte del funzionamento quotidiano. Ma che ne è allora di quello che non serve a niente? Che farne di ciò che non serve a niente?
Ciò che non serve a niente tuttavia non è così semplice da mettere in disparte. Paradossalmente c’è tutta una dimensione di questa inutilità che viene asservita agli scopi del mercato, per continuare a far funzionare la macchina, alimentando la bramosia di un godere senza limiti asservito alla logica del consumo. Il consumatore diventa il consumato. Lo sfruttatore non si trova fuori, ma in un dentro e(s)terno che abita nel cuore di ogni essere umano: il silenzio della pulsione che sempre trova soddisfazione sfruttando ogni mezzo. Ciò che non ha parola e sfugge alla presa del simbolico è alimentato dal tentativo di dargli senso. L’inutile ha il sopravvento sull’utile, per quanto si cerchi di renderlo inoperante.
L’istituzione scolastica, dove passo la maggior parte del mio tempo quotidiano, è costantemente alle prese con l’illusione di disfarsi dell’inutile per dare cittadinanza solo a ciò che utile. Eppure la scuola, come ricordava Freud, deve non dimenticare di essere anzitutto un “giuoco di vita”, ovvero un luogo in cui si tratta di mettere a freno quella bramosia che oggi trova nella spinta-all’-utile il principio di ogni azione. Secondo questa logica si potrebbe credere che alla fine di ogni giornata di lavoro, nel bilancio quotidiano l’utile sia un prodotto della differenza tra perdita e guadagni. Ma come calcolare questo quando non si tratta di comprare matite o vendere piumoni, ma di cogliere se un alunno ha potuto imparare qualcosa, se un insegnante ha fatto il suo lavoro, se un educatore è servito a qualcos’altro dal gestire dei conflitti, se un alunno disabile ha potuto uscire un po’ dalla segregazione che di certo non è fatta solo di discriminazioni ma anche di godimento? Difficile qui fare i conti in partita doppia: tot spese, tot ricavi. Come stabilire se l’ascoltare musica di un alunno sia solo un’inutile perdita di tempo? Forse il guadagno che può trarne non rientra nei conti.
Faccio un passo indietro. Quando abbiamo iniziato a parlare e incontrarci intorno al significante Lacan quotidiano tutto il mondo o quasi era alle prese con la pandemia. L’utile e l’inutile hanno lì subito un rimescolamento difficile da stabilire in maniera universale. Cosa diventa vivere quando il rischio mortale si cela nel tuo prossimo più caro? Quando dare la mano può essere fatale! Quando uscire di casa diventa una trasgressione degna dei disertori di guerra!
In questo quadro l’inutile era anche togliersi il pigiama la mattina, perfino alzarsi dal letto, o leggere, fare qualsiasi cosa… Eppure proprio nei primi tempi della pandemia si è scoperta la funzione imprescindibile di ciò che è inutile. Cantare dai balconi, applaudire un medico, non sono forse testimonianze di un’esigenza che va al di là del semplice soddisfacimento di un bisogno?
Ora che scrivo non siamo più a quel punto. La partita si gioca su un altro campo, credo. Un derby vax e no-vax, tra pass e no-pass, tra proteste rumorose di una minoranza che non ci sta e il silenzio di una maggioranza che si adegua al meno peggio. Almeno, peggio.
Nel tempo trascorso abbiamo continuato ad incontrarci, nel cartello, per mettere al lavoro cosa del significante Lacan quotidiano fosse una spinta al lavoro per non farsi sommergere dalla dittatura dell’utile. Per cui ad esempio in un incontro di cartello abbiamo messo l’accento sul fatto che un piccolo dettaglio apparentemente insignificante poteva diventare la chiave di volta in grado di aprire ad una questione carica di angoscia e patetica. In uno spazio dove l’inutile trova alloggio questo insignificante diventa invece significante, il perno di una trasformazione dal quotidiano alla poesia, nel senso che gli dà Miller, ovvero: “quando ha luogo sotto forma di una seduta di analisi, poesia significa che non mi preoccupo dell’esattezza, che non mi preoccupo della concordanza di ciò che dico con quello che credono gli altri” (ivi).
Questo semplice passaggio aggiunge alcuni dettagli preziosi. Utilità si potrebbe dire che sia quindi legata all’impero dell’esattezza, della concordanza tra ciò che dico e ciò che gli altri credono. Tornando per un attimo all’istituzione scolastica la preoccupazione di far andare d’accordo ciò che dico con quello che gli altri credono non è affare da poco. Ad esempio, accordare il dire che la musica serve a tenere a freno qualcosa di altrimenti insopportabile laddove gli altri credono che sia solo un modo per non fare i compiti. Ancora una volta, sfuggire all’utilità diretta per credere però che sia sempre nel regno dell’utile che vi si sfugge. Una logica infernale. Ascolto la musica per non fare i compiti. Ascoltare la musica non può che servire a non fare i compiti. Non ho voglia di fare i compiti. Voglio ascoltare la musica. In ogni caso quello che voglio mi è utile e so a che cosa. Non è ammessa la possibilità che non so cosa voglio e che quello che voglio non corrisponda a quello che so, così come che quello che voglio non so a cosa mi serve ma non posso farne a meno. Di fronte a questa assurdità è più semplice credere che non si ha voglia di fare una cosa perché se ne vuole fare un’altra. Ho divagato. Inutilmente. Torno nei ranghi.
Parlando della seduta di analisi come di quel luogo in cui la poesia significa non preoccuparsi dell’esattezza, questa non preoccupazione non viene da sé, occorre renderla attiva. È necessario un ascolto che non metta fuori gioco l’interpretazione. Così raccontare di aver visto una gonna dalla fantasia orrenda, se interrogato, può portare ad un orrore che non è affatto visto in quella gonna, ma ha tutt’altro registro, in cui si annodano godimento e desiderio.
Finora lo scritto che si sta tessendo sotto le mie dita è andato avanti senz’altro supporto che le associazioni tra i vari elementi del lavoro che venivano alla mente. Continuo ora aiutandomi con gli appunti degli incontri, non per farne una sintesi, quanto per ricamare intorno a ciò che sfugge ad ogni presa del linguaggio. Saranno quindi tracce, frasi spezzate, punti sospesi, elementi sparsi da prendere come una prova di scrittura intorno ad un buco. Da non chiudere, ma rendere operatore di trasformazione dal quotidiano alla poesia e ritorno…
Un testo che ogni giorno cambia. La Scuola, non di sapere, un lavoro quotidiano. Ripetizione, quotidiano, novità: il nuovo che c’è in ogni giorno. Il sopravvissuto denigrato.
Un orlo con ciò che si ha da fare ogni giorno.
Il quotidiano in transito, qualcosa che fatica a fare sintomo: una casa vuota.
La pandemia: la legge di natura non equivale al reale del godimento, anche se può sembrare dritto e rovescio dello stesso evento traumatico. Si tratta del reale della solitudine dell’essere parlante, che si sia in compagnia oppure no. Ciò che è parlato senza corpo viene al posto del niente della solitudine senza parola.
La solitudine dei corpi… cosa i poeti dicono della solitudine? Solitude. Poeti che scrivono durante la crisi della verità: eresia.
“Il risveglio alla realtà non è che fuga dal risveglio al reale” scrive Massimo Termini su Rete Lacan n. 19.
Non c’è una storia oggettiva, che dica l’esattezza dei fatti (Cfr. La leggenda nera di Jacques Lacan). La Passe testimonia di questo, non si tratta di un’autobionarrazione (J.-A. Miller, Azione lacaniana), ma di un racconto dell’analisi, non della vita. È una biografia? Si tratta di istorizzazione. La realtà è apparecchiata dal fantasma laddove il reale attiene ad S(Ⱥ)