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Il vuoto della mistica: l’heteros in Angela da Foligno

Pubblicato il 3 Febbraio 2022

Adele Succetti

“Ricorrere al nontutto, all’almenunuomo, ossia alle impasse della logica, vuol dire, nel momento in cui si mostra l’esito al di fuori delle finzioni della Mondanità, produrre una fissione diversa del reale”

J. Lacan, “Lo Stordito”, Altri Scritti, p. 476.

A partire da un lavoro in cartello sulla logica del non-tutto, vorrei proporre alla discussione di oggi la questione della mistica. Lacan, infatti, nel Seminario XX, sostiene che le mistiche e i mistici, si collocano – nelle tavole della sessuazione – sul lato del non-tutto. Esse/i, infatti, continua Lacan facendo riferimento alla statua del Bernini di Santa Teresa d’Avila, testimoniano “che provano (un godimento) ma che non ne sanno nulla”.[1] Provano un godimento di cui non sanno dire, al di là del senso comune, un godimento dell’ordine dell’infinito. Cosa ci insegna, quindi, la mistica per afferrare meglio il concetto di non-tutto?

Non si tratta tanto, a mio parere, dell’esperienza mistica in quanto fusione nel tutto, fusione con l’Uno divino attraverso l’amore. La mistica può essere questo – fare Uno con Dio – ma non è solo questo – in quanto essa è “fuori universo”[2]. Il termine “mistica”, in effetti, deriva dalla radice greca my– che indica chiusura, riservatezza, silenzio e, come indica Marco Vannini, specialista di questo ambito, “mistico” allude “all’impossibilità di esprimere a parole l’unione con Dio”.[3] La mistica, infatti, nulla a che vedere con la teologia – che parla di Dio o su Dio -, essa si manifesta piuttosto nel silenzio. La mistica, dice ancora Vannini, è “la vita dello spirito”,[4] spirito che, in quanto distaccato da ogni contenuto, è in grado di fare il vuoto, di condurre alla “morte o notte” mistica che significa: “niente essere, niente avere, niente volere e, soprattutto, niente sapere”.[5] La mistica è quindi un punto di arrivo, mai definitivo, il risultato di un percorso soggettivo – prodotto dall’amore di Dio e dalla preghiera – che consiste nel fare il vuoto e nell’accogliere il non sapere, nel convivere con il “senza perché”, vale a dire con l’impossibile.

Vannini segnala che la mistica è stata emarginata nel Seicento, quando quello che sarebbe divenuto il discorso della scienza ha sostituito al tripode corpo-anima-spirito il dualismo corpo e psiche. Per questo motivo egli attacca l’uomo psicologico contemporaneo, difensore dell’Io e di tutte le sue finzioni egoiche, e “la cosiddetta psicoanalisi (che) si è di fatto sbriciolata”[6] in molte correnti mentre elogia Lacan quando “parla dei versi silesiani che invitano l’uomo a «diventare essenziale, lasciando l’accidentale»”[7], per comprendere l’animo umano. Si tratta forse, dal punto di vista della mistica, di raggiungere il luogo del godimento, o come dice Jacques-Alain Miller, il “posto del più nessuno?”.[8] Nel suo Seminario XX, Lacan suggerisce infatti: “Perché non interpretare un volto dell’Altro, il volto Dio, come quello che è sostenuto dal godimento femminile?”[9]

Se prendiamo l’esempio di Angela da Foligno, mistica che Lacan nomina nel suo Seminario VII, per la democrazia con cui tratta l’oggetto scarto[10], è interessante notare il fatto che Angela è passata alla storia con il suo nome di battesimo, nome comune, e che i suoi testi sono delle traduzioni in latino di quello che lei ha raccontato, a un frate trascrittore, della sua esperienza mistica nella lalingua umbra. Già a livello dell’enunciazione, abbiamo quindi una forma di assenza… un vuoto, che colpisce a contrario per la diffusione del suo nome come mistica e di quanto è riuscita a trasmettere della propria esperienza. I suoi testi, inoltre, anche se sono stati ordinati e raccolti secondo i canoni del percorso mistico, in realtà sono solo dei frammenti, limitati dall’indicibile, che fanno esistere un dire-a-metà che è proprio della posizione femminile. Come indica infatti Philippe La Sagna, “nel dire-a-metà c’è la scelta di rinunciare all’universale, quello del discorso, e alla completezza”.[11]

Angela da Foligno (1248-1309) è stata una laica francescana, “madre, vedova e illetterata”[12] che, dopo un periodo di vita mondana, di sfarzo e di ricchezza, si converte, presumibilmente nel 1285, dopo essere entrata in contatto con l’esperienza di San Francesco d’Assisi. Dopo la perdita di padre, madre, marito e figli, fa l’esperienza dell’unione mistica con Dio (1291) ed entra a far parte del Terz’Ordine francescano. Nel suo Libro dell’esperienza ella descrive il percorso a spirale che, attraverso una serie di trasformazioni, la conduce sino alla “montagna di Dio”: dopo il primo rapimento, vero e proprio evento di corpo, il dialogo mistico passa attraverso “lotte apparenti” e “cedimenti all’amore”. Secondo Giovanni Pozzi, le sue estasi si manifestano con “luminosità del corpo, rigidezza o agilità dei membri, anoressie, malattie seguite da guarigioni improvvise”,[13] a cui seguono atti, visioni, sogni ed esperienze corporee che implicano tutti i sensi. Nel corpo e nella parola di Angela si manifesta così il suo dialogo con Dio, di cui lei è sposa e a cui cede, docile alla sua volontà, superando dubbi ed interrogazioni in quanto Dio è inconoscibile e Angela colloca il suo essere nella tenebra. Ciò che, però, rende possibile l’esperienza mistica è “il puro amore” che abolisce via via l’amante, l’amato e l’amabile: solo l’amore di Dio, che l’ha scelta e che la ama, introduce infatti un limite che la protegge dal proprio superio e che le permette l’unione pura con la Trinità.

L’esperienza mistica di Angela – che sente nel corpo come “dolcezza divina”[14] e come “diletto interiore”[15] – risponde alla faglia da cui si origina la domanda d’amore insaziabile, mantenendo aperto il vuoto della non-esistenza della donna. L’heteros assume in lei, quindi, la forma e il nome dell’oscurità. In effetti, come dice Angela: “quanto più si sperimenta Dio, tanto meno se ne può parlare, più si tocca l’infinito e l’indicibile, tanto meno se ne può parlare”.[16]

[1] J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, Einaudi, Torino, 2011, p. 72.

[2] J. Lacan, “Lo stordito”, Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 463.

[3] M. Vannini, Introduzione alla mistica, Le Lettere, Firenze, 2021, p. 7.

[4] Ivi, p. 10.

[5] Ivi, p. 12.

[6] Ivi, p. 34.

[7] Ibidem.

[8] J.-A. Miller, “Tout le monde est fou », Cours de l’orientation lacanienne, 2007-2008, inédit, cours du 4 juin 2008.

[9] J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora, op. cit., p. 72.

[10] J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1994, p. 238. Nel Seminario X, Lacan sottolinea, inoltre, il realismo del loro desiderio: “i mistici, che si sono dedicati a quello che potrei chiamare il realismo del desiderio” J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia, Einaudi, Torino, 2007, p. 261.

[11] Ph. La Sagna, R. Adam, Contrer l’universel, “L’étourdit » de Lacan à la lettre, Editions Michèle, Paris, 2021, p. 137.

[12] AA. VV., Angela da Foligno. La grande mistica, “Coordinamento Città di Foligno e la beata Angela”, Foligno, 1997, p. 13.

[13] Angela da Foligno, Il libro dell’esperienza, a cura di Giovanni Pozzi, Adelphi, Milano, 1992, p. 19.

[14] Ivi, p. 106.

[15] Ivi, p. 135.

[16] Ivi, p. 168.

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