Francesco Impagliazzo
Comincio citando il reale ne Lo stordito: “l’impossibile, che si annuncia così: non c’è rapporto sessuale. Ciò implica che rapporto vi sia solo in quanto enunciato […] non c’è niente che faccia rapporto di un enunciato […] nessuna negazione basta a sostenerlo, soltanto il dire che: nonc’è. […] si tratta del rapporto fra l’uomo e la donna proprio in quanto sarebbero adatti, poiché abitano il linguaggio, a fare enunciato di questo rapporto”[1].
Questo ha degli effetti. In primis, il fallo come operatore che consente la costituzione di “un posto”, dal quale prendono vita gli effetti dell’inesistenza del rapporto: “per la funzione che gli deriva dal discorso, l’organo è passato a significante […] passato a significante, scava il posto dal quale prende effetto per il parlante l’inesistenza del rapporto sessuale”[2].
L’essere o l’avere il fallo costituiscono una funzione che “supplisce al rapporto sessuale”[3]. Si dispone dunque di un unico organizzatore per il sessuale, campo che è strutturato intorno all’inesistenza del rapporto. Come sottolinea P. Monribot[4], “Freud mostra che il godimento sessuale degli umani si organizza a partire da un unico operatore: il pene che manca alla madre […] È il complesso di castrazione”[5]. Ma per scrivere un rapporto sono necessari due termini: disponendo di un solo termine, non si può scrivere, quindi non esiste. Questo per Lacan implica che “il soggetto, come effetto di significazione, è risposta del reale”[6], cioè dell’inesistenza del rapporto.
Da qui le formule, che scrivono una differenza logica di posizionamento di una x rispetto a Phi(x), la funzione proposizionale fallica.
La prima, quella del lato maschile: “per ogni x, Phi(x) è soddisfatta”, ogni soggetto in quanto tale si inscrive nella funzione fallica per rimediare all’assenza del rapporto sessuale; c’è come eccezione, il caso in cui “esiste una x per cui Phi(x) non è soddisfatta, e cioè, non funzionando, è esclusa di fatto”[7].
L’esistenza di un soggetto a partire “da un dire di no alla funzione proposizionale Phi(x) implica che essa si inscriva per un quantificatore da cui quella funzione si trova interrotta, non avendo in quel punto nessun valore che si possa denotare come verità”[8]. Infatti, il “dire di no”, come sottolinea prima, è ciò che assicura il dire in quanto sfuggente al detto, “rispondere così sospende ciò che il detto ha di veritiero”[9]. Per il lato maschile, vale una definizione della norma secondo la quale essa può sussistere logicamente perché esiste almeno un elemento esterno all’insieme che nega la regola. Scrive Lacan che “non c’è proposizione universale che non debba essere contenuta da un’esistenza che la nega”[10]. L’insieme chiuso, raggruppato secondo la funzione proposizionale fallica, è possibile perché esiste un elemento fuori dall’insieme, attraverso il dire di no alla scansione degli esseri parlanti come coloro che soggiacciono alla castrazione.
L’altra formula, quella del campo delle donne, ne “Lo stordito”, è quella che Lacan introduce partendo dalla constatazione di un contrasto interno al dire di Freud: “l’elucubrazione freudiana del complesso di Edipo, dove la donna si ritrova come un pesce nell’acqua dato che la castrazione è di casa da lei già in partenza, contrasta dolorosamente con la devastazione che alla donna procura il rapporto con la madre, dalla quale, come donna, sembra attendersi qualcosa di più sostanziale che dal padre”[11]. È una devastazione che si produce con l’incontro di qualcosa che è dell’ordine di un godimento non materno, non fallico, ma che attiene all’essere donna. Si delineano così “i due modi da cui dipende che il soggetto si proponga qui in quanto è detto donna”: non esiste una x per cui non si applichi la funzione fallica e non per ogni x si applica la funzione fallica”[12].
Ma il “non esiste una x per cui non Phi(x)” non è la stessa cosa di “per ogni x si applica Phi(x)”, nella quale è già logicamente implicata l’esistenza della x esteriore all’insieme, per mezzo della contraddizione; qui non c’è obiezione, niente fa contraddizione, perché per avere contraddizione c’è bisogno dell’universale; qui l’universale non c’è: non si tratta di una logica che pone “l’esistenza di un soggetto che dice di no alla funzione fallica, supponendo questo soggetto a partire dalla cosiddetta contrarietà di due proposizioni particolari. Non è questo il senso del dire che si scrive tramite i quantificatori [del lato donna] – infatti – “il soggetto, per introdursi come metà da dire delle donne, è determinato dal fatto che, non esistendo sospensione della funzione fallica, qui se ne può dire tutto. Ma si tratta di un tutto fuori universo, il quale si legge chiaro e tondo per mezzo del quantificatore come nontutto. Nella metà in cui è determinato dai quantificatori negati, il soggetto non può assicurarsi alcunché di un universo, per il fatto che niente di esistente costituisce un limite per la funzione […] esse sono nontutte, con la conseguenza, quindi, che non ce n’è nemmeno una che sia tutta”[13].
Non è una questione di dire di no alla funzione, non è il caso del costituire un insieme che esiste perché esiste un elemento che non ne è parte; se non c’è “dire di no” all’universale, al massimo si può fare una serie, un una-per-una.
Gli effetti sono diversi. Innanzitutto che il godimento di una donna non è organizzato completamente dalla castrazione, per cui esiste una parte dell’essere che non può essere soggettivato. A questa parte Lacan darà un nome, l’Altro sesso, al punto da definire “eterosessuale quello che ama le donne, qualunque sia il suo sesso”[14]. Che la madre non è la donna e che la donna è nontutta madre. Che il godimento di una donna può avere effetti di devastazione per una figlia.
Che “il sesso della donna non dice nulla” [15] né all’uomo né alla donna stessa, poiché esso non trova posto nell’Altro, Altro da andare a trovare al punto che Lacan indica, con riferimento al grafo, con S di A barrato: “da dove [l’analista] potrebbe trovare di che ridire sui ridondanti cavilli logici in cui il rapporto con il sesso si smarrisce nell’intento di condurre i suoi sentieri fino all’altra metà?”. Inoltre, “che una donna qui serve all’uomo solo perché egli cessi di amarne un’altra […] che il fatto di non arrivarci [all’altra metà] sia da lui imputato a lei, quando invece, è proprio se ci riesce, che lei lo manca […] che, imbranato com’è, costui s’immagini che avendone due, la rende tutta […] che la donna sia in pubblico la sua signora, ma che in altro luogo l’uomo voglia che lei non sappia niente” [16]
[1] Lacan J, (1972), ivi, p.451
[2] Ivi, p. 453
[3] Ibidem, p.454
[4] Monribot P. (2013), Le formule della sessuazione, in La Psicoanalisi n.53-54
[5] Ivi, p.37
[6] Ivi, p.455
[7] Lacan J. (1972), Lo stordito, p.455
[8] Ivi, p.456
[9] Ivi, p.449
[10] Lacan J. (1972), ibidem
[11] Ivi, p.462.
[12] Ibidem.
[13] Ivi, p. 463
[14] Ivi, 464
[15] Lacan J., Seminario XX, p.6
[16] Lo stordito, p.466