Clotilde Leguil 1
“Sapere qualcosa non è sempre qualcosa che si produce in un lampo?”, si chiede Lacan nel 1969 e aggiunge: “il sapere è questo – vi si presentano delle cose che sono dei significanti e, nel modo in cui vi si presentano, non vuol dire niente, e poi c’è un momento in cui ne uscite, all’improvviso vuol dire qualcosa e questo sin dall’inizio”.2 Questa osservazione di Lacan sul rapporto con il sapere risuona per me con l’esperienza del cartello.
Quello che si impara in un cartello è dell’ordine del: “all’improvviso, vuol dire qualcosa”. Il cartello spinge a partire dal non-sapere: sentendo un altro, rivolgendosi anche ad altri a partire da questo punto in cui non ci si capisce niente. All’improvviso, in un lampo, quello che sino ad allora era un significante morto, ritornello lacaniano, automaton vuoto, vuol dire qualcosa per noi, a partire dalla nostra esperienza analitica.
Fornirò due ricordi di cartello che mi hanno segnata e che hanno seguito questa logica. Uno in cui tutto d’un tratto ho afferrato un concetto lacaniano che non avevo mai compreso sino ad allora, mentre il più-Uno del cartello faceva per noi un’analisi clinica. L’altro in cui, scontrandomi nella mia analisi con quello che non capivo più, colsi improvvisamente qualcosa di nuovo sulla pulsione tentando di rivolgere la mia questione ad altri.
Il primo ricordo mi rinvia a un cartello sul Seminario XVI, Da un Altro all’altro, a cui partecipavo mentre ero in analisi da una decina d’anni. In un lampo, senza che me lo aspettassi, l’oggetto a divenne qualcosa di concreto per me. Sino ad allora avevo messo questo concetto da parte. Lo evitavo più che potevo. Mi imbarazzava. Improvvisamente, l’oggetto a che non è significante, divenne reale, per il modo in cui il più-Uno ha evocato l’oggetto sguardo. In una frazione di secondo, il gesto fatto per render conto del sorgere dello sguardo nel campo dell’Altro mi ha permesso di cogliere quello di cui si trattava. Non era un caso se ciò si produceva in quel momento, quando la mia analisi mi conduceva a circoscrivere il mio punto d’angoscia. Di fatto, si trattava per me di separarmi da uno sguardo.
Il secondo ricordo mi rinvia a un cartello sul Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, in cui occupavo il posto di Più-Uno. Rileggendo con i cartellizzanti un passaggio sulla pulsione e sul rapporto con la parola, passaggio che mi sembrava oscuro, all’improvviso mi sorpresi per lo sforzo che mi applicavo a fare per spiegare quello che non comprendevo. In un lampo, anche in questo caso, quello che nella parola è messa in atto della pulsione mi apparve. Quello che significava la sessualità che si manifesta “nei défilés del significante” divenne anche qui concreto.
Forse non è un caso se è con il cartello che quello che attiene all’oggetto a e alla pulsione si è come presentificato per me. Il cartello, infatti, mette in presenza i corpi e il sapere che vi si estrae tocca il corpo. In questo senso, quello che se ne ritira è sempre inatteso. Anche l’esperienza della passe obbedisce a questa logica non-significante, e conduce in un lampo a scorgere quello che era in gioco sin dall’origine. Un significante improvvisamente si stacca. Non rinviando più a nessun significato, sorge in tutta la sua dimensione di godimento. Si scrive come lo stigma di un’esistenza.
Traduzione: Adele Succetti
↲1 | http://ecf-cartello.fr/2018/09/26/le-cartel-leclair-lobjet-a/ |
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↲2 | J. Lacan, Le Séminaire, livre XVI, D’un Autre à l’autre, Seuil, Paris, p. 200. |