Monica Vacca[1]
“La mia impresa parrebbe disperata (e pertanto lo è, è questa la disperazione) perché è impossibile che gli psicoanalisti formino un gruppo”
J. Lacan, “Lo Stordito”, in Altri scritti, p. 472
“Non sarò io a vincere, ma il discorso che servo”
J. Lacan, “Lo Stordito”, in Altri scritti, p. 473
“In principio della psicoanalisi è il transfert”[2]. L’incontro con un analista segna l’inizio dell’analisi e ne determina il destino. L’amore di transfert, altra faccia del soggetto supposto sapere, anima il tempo per comprendere, consente all’inconscio transferale di fare i giri necessari per reperire i significanti padroni, le identificazioni che generano la ripetizione e il modo di godere. Nel corso dell’esperienza analitica le identificazioni cadono e si arriva all’osso, all’incontro contingente de lalingua sul corpo, traccia del modo singolare di esistere, di godere, di abitare il legame sociale. Ma colui che incarna la funzione dell’analista, con la sua presenza viva, occupa al contempo il posto dell’oggetto causa di desiderio, oggetto causa che cade quando avviene il passaggio da analizzante ad analista. Lì, al momento della caduta, l’oggetto si fa resto di godimento e il transfert viene meno e si modifica. Ma non “esiste un grado zero del transfert. Nonostante ciò, esiste l’idea che alla fine dell’analisi il soggetto ha una relazione diversa con il transfert e che, all’interno di questa nuova relazione, è capace di dire qualcosa di originale e di valido sulla propria esperienza analitica”[3]. Miller apre la porta all’oltre-transfert, quella zona d’ombra che mostra il passaggio dal lavoro di transfert al transfert di lavoro.
L’esperienza analitica portata alla fine catapulta nella radura disabitata dell’essere. “Si pone la questione: Che cosa sei tu? Non c’è oggetto che abbia più valore di un altro e qui il lutto attorno al quale è centrato il desiderio dell’analista”[4]. “A cosa equivale l’analista, se non al resto, all’oggetto a, all’oggetto non incluso nel sapere?”[5]. Oggetto che si fa causa singolare del dire, stile, marchio irriducibile. La distanza tra l’Uno e l’Altro aumenta a dismisura, una sorta di smarrimento, senza più appigli simbolici e punti di rèpere immaginari, vira verso la solitudine radicale. “C’è dell’Uno”. Una scossa, un tremito fa baluginare in un istante: non c’è Altro dell’Altro, si incontra il reale, … del reale per cui non c’è rapporto sessuale[6]. Cosa resta? Un resto di godimento e un resto transferale. Resto di godimento che diviene agente del discorso analitico. Resto transferale di un transfert fondato su S(A), motore della ripetizione, precipita e si tramuta in “un transfert fondato su S(Ⱥ) che, in sé stesso, non implica una liquidazione del transfert”[7], anzi lo dirotta e facilita la messa al lavoro, diviene motore del rapporto singolare con la causa analitica.
Si passa si ri-passa senza sosta dall’esperienza al discorso e ritorno. Lì, in quel passare e ri-passare, alberga il desiderio dello psicoanalista, vale a dire la sua enunciazione.
Ne consegue l’impossibilità di fare gruppo, non c’è enunciazione collettiva. Per dirla con Miller, si tratta di sgruppare, ossia di rinviare ciascuno alla solitudine del rapporto con l’Ideale[8].
Dunque alla fine dell’analisi reperiamo, da un lato, i resti sintomatici e, dall’altro, i resti transferali. Quale destino per questi resti? Come annodarli per fare senza essere? Come annodarli per fare legame rinunciando a “qualsiasi Ideale di Analista”? L’Analista non esiste!
Nella radura disabitata dell’essere si sperimenta il “parlare nel deserto”. Ognuno parla la lalingua singolare. Nella Babele “degli sparsi, scompagnati” si genera malinteso, altro nome del non-rapporto.
Non resta che lo scarto tra il sapere e il godimento, un bordo che occorre transitare senza sosta per fare del resto di godimento e dei resti transferali, non delle scorie, ma dei resti fecondi[9].
Perché ci sia chance di analista [e chance di Scuola] occorre una certa operazione, che chiamiamo esperienza analitica, abbia fatto sì che l’oggetto a andasse al posto del sembiante […] è evidente che non ci sarebbe affatto un discorso. Ho detto che ciò che definisce un discorso è il reale. […]. Il reale di cui parlo è assolutamente inavvicinabile”[10].
L’esperienza analitica di ciascuno diviene così bene comune solo a condizione che non si cessi di mettere in luce “ciò che sfugge al sapere, per l’esattezza […] ciò che per ciascuno è quello che radicalmente non vuole sapere”[11]. Questa operazione costante può consentire il far esistere in atto il legame di Scuola in quanto riporta a una posizione analizzante in presa diretta con il reale, ovvero l’impossibile a dire. L’esperienza di Scuola si sperimenta nell’incontro contingente tra Uni-tutti-soli animati dalla causa singolare che si fanno portatori di “un discorso che non sarebbe del sembiante”. L’esperienza, appena conclusa, di cartello lampo in vista di questa Giornata di Scuola ha prodotto degli effetti inediti, inaspettati. Il cartello si è formato senza scegliersi. La contingenza dell’estrazione a sorte ha permesso l’incontro tra colleghi di altre città, sconosciuti. Il tempo breve ha facilitato la messa al lavoro appassionata di ciascuno. Questo è il risultato di un d’écolage. Nessun effetto colla. Una soluzione possibile per rinnovare i legami di Scuola e bonificarli dagli effetti di gruppo? Il cartello lampo è una risposta all’impossibile che alberga nel parlessere? O, forse, per dirla con Lacan, si tratta di uno strumento che consente di “dis-identificarsi dalla Scuola […] e di mostrare che il reale in gioco nell’esperienza non ha limiti”[12]? Una soluzione/dis-soluzione.
Se fare l’analista è una deistituzione, una deistituzione soggettiva, si pone la necessità di una “istituzione”. “Dopodichè, una volta raggiunta tale condizione, un’istituzione o un’associazione è ancora più necessaria. È un’istituzione del deistituito, un’istituzione di asociali, ma asociali rispetto al legame sociale prevalente nello stato”[13]. Detto altrimenti, asociali rispetto al legame sociale del discorso del padrone. Miller, poco dopo, aggiunge un dettaglio fondamentale, per eliminare qualsiasi fraintendimento nella lettura del testo di Lacan. In particolare, ribadisce che quando Lacan afferma “un legame sociale mondato da qualsiasi necessità di gruppo”[14] non si riferisce all’associazione degli analisti tra di loro ma al legame analitico, vale a dire al discorso analitico, ossia “l’esperienza analitica considerata a partire dalla sua struttura”. Un discorso del non-rapporto che mira al reale e mantiene vivo il buco del sapere…
[1] Membro SLPcf, AMP
[2] J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, in Altri scritti, a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 2013 p.245.
[3] J.-A. Miller, La Scuola e il suo psicoanalista, in Introduzione alla clinica lacaniana, Roma, Astrolabio, 2012, p.167.
[4] J. Lacan, Il Seminario, Libro VIII, Il transfert [1960-1961], a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 2008, p. 433.
[5] J.-A. Miller, Dal sapere inconscio alla causa freudiana II, in introduzione alla clinica lacaniana, cit. p 148.
[6] J. Lacan, Lo stordito, in Altri scritti, cit. p 471.
[7] J. -A. Miller, Divini dettagli, a cura di A. Di Ciaccia, Roma, Astrolabio, 2021, p. 190.
[8] J.-A. Miller, Teoria di Torino, in sito slp-cf.it.
[9] J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali [1964], Torino, Einaudi, 2003, p. 132.
[10] J. Lacan, Dell’incomprensibilità e di altri temi, in Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, a cura di A. Di Ciaccia, Roma, Astrolabio, 2014, p. 134.
[11] J. Lacan, Dunque avrete sentito Lacan, in Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, cit. p. 89.
[12] J. Lacan, Lumière, in Aux confins du séminaire, Paris, Navarin, 2021, p. 67.
[13] J.-A. Miller, Capisaldi dell’insegnamento di Lacan, a cura di A. Di Ciaccia, Roma, Astrolabio, 2021, p. 9.
[14] Ibidem.