Ilde Kantzas[1]
Pronuncio il mio intervento in questo cartel lampo nel giorno in cui mia madre è in fin di vita; mia madre, che stamani, negli ultimi momenti di lucidità che mi ha dedicato, mi ha dato questo lascito: Di cosa ti occupi? Stasera ho un cartel sulla Scuola. Bene, impegnati!
Ho scelto di interrogare questo momento, questo passaggio di verità, come snodo e pivot fondamentale del lavoro a cui dò forma scritta, come prodotto di cartel, e cartel lampo; la pressione ha prodotto una cristallizzazione singolare, in cui gli uni dei partecipanti, insieme ma non fusi con il più Uno, sono riusciti a trovare, nell’atto stesso in cui si dispiegava il lavoro, il filo conduttore.
Ho quindi raccolto il testimone del lavoro della collega che mi ha preceduto nell’esposizione, e che aveva centrato il suo intervento sull’Atto di Fondazione e sul richiamo al lavoro.
Solo
Nell’Atto di Fondazione, “Fondo – solo come sono sempre stato nella mia relazione con la causa psicoanalitica”, il solo risuona, come la vox clamantis in deserto, e ribadisce con forza la condizione di solitudine dell’analista. Miller ne tratta, sottolineando l’importanza del solo: “Lacan si proponeva come il «più uno» della Scuola, senza essere incluso nella serie. Il performativo, così come il «più uno» implica la solitudine”[2] .
La solitudine è anche il risultato del passaggio attraverso l’analisi, della ripulitura attraverso il crogiolo dell’analisi e del transfert che la muove. “Amor mi mosse che mi fa parlare”.
“Ogni analisi è una nuova storia d’amore
c’è incontro
il tuo genio in cambio della mia bellezza
il vero amore conosce un’esigenza di verità
trovare, non si sa che cosa”[3]…
Il passaggio attraverso l’analisi, attraverso il lavoro dell’analisi, esita nell’“invenzione clinica che si chiama passe. Credo che si possa dire che in essa Lacan cercò un modo di rispondere al grande Altro barrato; l’accesso a questa modalità, la passe, è condizionato dall’amore, cioè dall’entrata in analisi”[4].
Dopo il momento di verità che si gioca nell’analisi, nel passaggio dalla lamentazione sul sintomo alla rivelazione, “un lavoro resta da fare sulla rivelazione stessa, come in amore; altrimenti il soggetto cade in una melanconia persistente.”[5]
“L’io non è un essere, è un supposto a ciò che parla. Ciò che parla ha a che fare solo con la solitudine, sul punto di quel rapporto che posso definire solo dicendo – come ho fatto – che non può scriversi. Quanto a questa solitudine, di rottura del sapere, non soltanto può scriversi, ma è anzi quel che si scrive per eccellenza, poiché essa è ciò che di una rottura dell’essere lascia traccia.”[6]
“Nella prima parte dell’Atto di fondazione, un significante, infatti, spicca tra gli altri, il significante “lavoro”. Sia chiaro che non si entra nella Scuola per riposarsi, ma per lavorare”.[7]
E d’altra parte, il lavoro, il richiamo forte al lavoro ritorna anche nel cartel, che si costituisce come cellula operativa di ingresso nella Scuola e come minima unità di discorso analitico, unità senza la quale non può esistere né passaggio né trasmissione di qualcosa che sia intorno al discorso analitico.
Esiste amore nel dopo analisi?
La rivelazione centrale dell’analisi è quella della non esistenza del rapporto sessuale, la tesi “che si enuncia così: non c’è rapporto sessuale. A prima vista appare un po’ strampalato, un po’ strambo. Basterebbe una bella scopata per dimostrarmi il contrario. […] Non è affatto questo. Si può parlare seriamente di rapporto solo, non unicamente, quando un discorso stabilisce il rapporto, ma quando si enuncia il rapporto. […] Occorre non solo pensarlo ma anche scriverlo. Se non siete in grado di scriverlo, non c’è rapporto.”[8] Questa rivelazione rilancia la solitudine e una comunità costituita da singolarità che si riconoscono in un discorso comune.
Chi è passato, chi continua a passare attraverso il lavoro di un’analisi entra nel lavoro di Scuola attraverso un lavoro di cartel; in breve, ecco il motivo per cui ci troviamo a scrivere, qui ed ora, a dare testimonianza che il nostro cartel ha prodotto degli effetti: perché se ne può scrivere qualcosa. Si può fare rapporto del lavoro di cartel. Si può fare lavoro di Scuola senza colla, rapidamente, in modo fulmineo, come un colpo di fulmine, sperimentando la Tyche dell’incontro con qualcuno che porta come me la sua singolarità di analista. Il rapporto amoroso del dopo analisi di cui si potrebbe scrivere è questo: la costituzione di Scuola.
In questo senso, si verifica e si mette alla prova il lavoro del cartel: se ha lasciato una traccia scritta, c’è stato: è lavoro d’amore, “ha qualcosa del pipistrello, bisogna portarlo alla luce. Il solo fastidio è che quando lo si porta alla luce, non ne resta nulla. […] Non può esistere che nascosto, dato che è questo che permette di vederlo.”[9]
Il cartel, quello che succede nel cartel non può essere subito capito e detto, ha bisogno di sedimentarsi per essere colto come après coup, e solo c’è stato transfert può essere scritto qualcosa di conclusivo.
Uno, più Uno, più Uno…
“Non più amore che sia ripetizione o passione, ma un amore che sia una volontà […] Come si trasforma l’amore, una volta che sono note le sue condizioni? Ciò che si raggiunge nel corso di un’analisi [ma anche di un cartel coup de foudre, ndr] è che ciascun soggetto formula le proprie condizioni amorose, reperisce quello che unisce le sue diverse e uniche scelte amorose e tenta di situarle in riferimento […] al fantasma fondamentale.”[10]
Il nuovo amore si snoda in forma di Scuola, scuola costituita in una logica in cui la dispersione è scongiurata solo dalla tenuta, dall’annodamento reciproco in un lavoro comune: il cartel, appunto. “L’io non è un essere, è un supposto a ciò che parla. Ciò che parla ha a che fare solo con la solitudine, sul punto di quel rapporto che posso definire solo dicendo – come ho fatto – che non può scriversi. Quanto a questa solitudine, di rottura del sapere, non soltanto può scriversi, ma è anzi quel che si scrive per eccellenza, poiché essa è ciò che di una rottura dell’essere lascia traccia.”[11]
La costituzione degli analisti in una Scuola, il modo di costituirsi pare dunque logicamente potersi delineare come quello del nodo borromeo, un’”infilata di nodi ripiegati che ridiventano indipendenti non appena se ne taglia uno […] L’Uno genera la scienza. Non nel senso dell’uno della misura. Contrariamente a quanto si crede, non è ciò che si misura nella scienza a essere importante. […] La funzione dell’Uno in quanto è lì, possiamo supporre, solo per rappresentare la solitudine – il fatto che effettivamente l’Uno non si annoda con niente di ciò che sembra dell’Altro sessuale. Tutt’al contrario della catena, i cui Uni sono fatti tutti allo stesso modo, non essendo nient’altro che dell’Uno.”[12]
La logica che sostiene la Scuola degli analisti Uno non può essere la colla immaginaria, non può essere la ripetizione sintomatica, non può essere la passione del transfert dell’ingresso in analisi, ma la volontà del transfert di Scuola che si esplica nel cartel: il nuovo amore. Ed ecco perché nella Scuola si può scrivere: “è semplicemente nei nodi dell’Uno che trova supporto ciò che resta di ogni linguaggio quando si scrive”[13]: un insieme di soli con il transfert.
“Amor che move il Sole e l’altre stelle”
Se la conclusione scritta cui giunge il cartel, il lavoro di Scuola, ha degli effetti concreti sul resto del mondo, tracima il perimetro della Scuola, allora è un amore che tocca tanti altri e li attrae verso la Scuola, provocando un movimento verso la Scuola stessa. Allora c’è stato un transfert “assoluto”: “Amor che move il Sole e l’altre stelle”. Allora si manifesta la Scuola Una! “Appartiene alla mia felicità che altri capiscano quanto io ho compreso”, di Lacan, della psicoanalisi, della Scuola”[14]
[1] Membro SLPcf, AMP
[2] J.-A. Miller, “La Scuola e il suo psicoanalista”, Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma, p. 162.
[3] E. Lemoine Luccioni, Lavoro d’amore, pag. 45.
[4] J.-A. Miller, Logiche della Vita amorosa, Astrolabio, Roma, 1997, p. 17.
[5] E. Lemoine Luccioni, Lavoro d’amore, pag. 68.
[6] J. Lacan, Seminario XX, Ancora, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2011, p. 115.
[7] J.-A. Miller, “La Scuola e il suo psicoanalista”, Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma, p. 163.
[8] J. Lacan, Sapere, ignoranza, verità e godimento, in Io parlo ai muri, Astrolabio, Roma, p.112
[9] J.-A. Miller, Divini dettagli, Astrolabio, Roma, 2021, p.41
[10] J.-A. Miller, Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma, p. 190
[11] J. Lacan, Seminario XX, Ancora, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2011, p.115
[12] J. Lacan, Seminario XX, Einaudi, Torino, 2011, p. 122.
[13] J. Lacan, Seminario XX, Einaudi, Torino, 2011, p. 123.
[14] J.-A. Miller, “Discorso di Torino”, 2017, in sito slp-cf.it.