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Desiderio di lavorare?

Pubblicato il 8 Aprile 2022

Omar Battisti[1]

 se esiste un desiderio di lavorare […]

l’incontro tra Penia e Poros, si produrrà.
Judith Miller

Sono partito dal testo di Judith Miller trovato in una ricerca online sulla funzione della biblioteca e quindi del testo nella trasmissione della psicoanalisi. In quel brevissimo testo di Judith Senza locali ma con biblioteca[2] trovo con sorpresa questo passaggio riportato in esergo. Metto l’accento sulla prima frase: se esiste un desiderio di lavorare.

Risuona qualcosa che tocca una fatica incontrata nel lavoro, anche sul lettino: desiderio e lavoro sono due parole che non sono solitamente legate. Nel regno del marketing, aspirato dalla logica del premio e punizione che pretende di ridurre ogni manifestazione sintomatica ad un bisogno da soddisfare col proprio gadget, il lavoro non è nient’altro che un mezzo di sopravvivenza. Il lavoratore “diventa lui stesso un oggetto senza valore d’uso”[3]. Quando il lavoro non è altro che questo, non c’è tecnica che tenga per zittire quei sintomi che faticano a diventare luogo dove un desiderio possa dire la sua. Da qui la conseguenza dell’impero capitalista: il burn out[4]. Più si rincara la dose più il sintomo si fa cruento e crudele, più il desiderio è asfissiato. Desiderio inconscio, ben inteso. Non certo ciò che si vuole. Del resto per Lacan l’inconscio è il “lavoratore ideale”[5]. Anche se Jacques-Alain Miller ci rammenta come “nel discorso dell’inconscio, il soggetto è nel posto della pigrizia. […] [e] […] L’intervento dello psicoanalista consiste nel far uscire il soggetto (S/) dalla sua pigrizia, nel fargli abbandonare la pigrizia con la quale vive tutto ciò che gli accade nella vita”[6]. Su questa strada incontro il passaggio di Judith Miller: il desiderio di lavorare non è dato, non si può dire che lo si abbia, ma si può constatarne l’azione solo in corso d’opera. Marie-Hélène Brousse infatti sostiene che “non sono sicura che esista un «desiderio di lavoro» come tale”[7]. Da cui l’importanza del se che anticipa l’espressione desiderio di lavorare.

Lacan ha fatto dei lavoratori decisi[8] uno dei cardini della sua Scuola. Forse l’accento va messo non tanto sul lavoratore ma sul deciso. Bassols in un testo[9] ricorda come nel corpo parlante il parlante non è da prendere come aggettivo di un corpo già dato ma come al gerundio, un corpo che è parlando. Allo stesso modo direi che deciso non è un aggettivo che qualifica il lavoratore, quanto un participio passato del verbo decidere. È deciso. Deriva da qualcosa di cui è l’effetto. Cosa? Una causa che non è messa in conto ad un Altro da cui aspettarsi una qualsiasi cosa, ma dall’incontro contingente con la caduta e delle identificazioni e di quell’oggetto che ottura nel fantasma la non esistenza dell’Altro. Poros e Penia, opportunità e miseria. Questa caduta è un effetto rilevabile solo dal seguito dell’opera. “Se cade veramente, allora il desiderio di sapere si trova liberato, causato, trasmesso”[10], un sapere “che si ottiene attraverso il lavoro”.

Proverò a precisare il tempo di quel deciso. Nel Seminario XX Lacan parla della rivoluzione come un infinito girare in tondo, che può essere sovvertito come ha fatto Keplero per “aver sostituito al gira un cade”[11]. Laddove inizio e fine coincidono nell’orbita circolare, in quella ellittica si pone un taglio come spinta che fa cadere fuori dal circuito qualcosa che altrimenti si reitera senza sosta.  Il film È già ieri[12] mostra benissimo questa reiterazione e come qualcosa possa interromperla. Può ac-cadere che il circuito abbia un arresto. Qualcosa precipita in un’urgenza di soddisfazione che chiama in causa il tempo logico e la funzione della fretta. Funzione che Lacan riprende proprio in questa seduta di seminario dicendo che “è già resa tetica dalla a minuscola”[13]. “Tetizzare viene da thitenaï, porre. La a minuscola ‘pone’ la fretta, ovvero la fonda”[14]. In musica il ritmo tetico è quello in cui la prima nota della composizione cade in battere, in contemporanea al colpo che scandisce l’accento forte del ritmo. La funzione della fretta così non incontra qui il suo statuto di oggetto? Il tempo logico non si scontra qui con il reale del tempo? Qualcosa risuona con quel tempo che Davide Pegoraro chiama “una promessa non per domani”[15]. Se il tempo logico attiene ad un soggetto di pura logica, il reale del tempo entra in causa quando non si tratta solo di significanti ma quando il corpo pulsionale entra in scena con la sua urgenza di soddisfazione. Allora, dei lavoratori decisi, ma quando? Non si tratta di un soggetto che decide, ma della fretta in atto quando la promessa di un “futuro radioso”[16], alla base di ogni rivoluzione, viene sovvertita dall’ac-cadere di un evento imprevedibile e incalcolabile che “esce dal cerchio del possibile”[17]. Così la fissità del circuito pulsionale può diventare non necessaria: oltre alla fissazione si apre un campo non tutto determinato dalla matrice fantasmatica di godimento, dove far giocare l’incontro con l’incalcolabile.

Passando alla questione del cartello, direi che è il dispositivo dove meglio si possono cogliere le peripezie del non-rapporto strutturale tra lavoro e desiderio. Judith Miller considera che se c’è desiderio di lavorare l’incontro tra Poros e Penia si produrrà. Nel testo in questione questo è già chiaro dal titolo: Senza locali ma con Biblioteca. Non si tratta di definire una causalità lineare tra A e B di modo che tutti vadano al passo, ma di interrogare cosa può far emergere un fare che sia orientato da un tale desiderio di lavorare.

Desiderio di lavorare, un’espressione non usuale per me, la cui sorpresa ho riportato in uno degli incontri di questo cartello. Nello stesso incontro il più uno ha raddoppiato la sorpresa grazie ad una semplice esclamazione che ricordo più o meno così: “Cos’altro se non il desiderio ci porta a incontrarci e a lavorare qui!”. Questa frase mi ha portato a mettere in questione il legame tra desiderio e superio. Ora che ne scrivo posso realizzare come qualcosa del superio fosse per me intervenuto nel lavoro di cartello. Allora: il cartello non è quel dispositivo della Scuola dove sperimentare e mettere in atto come desiderio e lavoro possono procedere insieme? Cosa che trovo sia affrontata da Lacan tra l’altro nel Seminario XVII. In diverse lezioni, ma una in particolare mi pare permetta di porre i contorni della questione: l’agente doppiogiochista “Pensa che ciò con cui è in contatto, ovvero tutto ciò che vale veramente, e che è dunque dell’ordine del godimento, non ha niente a che fare con le trame di questa rete”[18], le trame in cui è organizzato il “mercatino del padrone”[19]. Nel lavoro di Scuola si può allora rintracciare questo doppiogioco? Da una parte si lavora asserviti ad un Ideale, d’altro canto non è l’ordine del godimento ad agitare al lavoro?

Poros e Penia, due dimensioni messe in atto nel lavoro dei cartelli? Si dichiara in quali trame si muove la propria miseria che agita al lavoro; c’è un’opportunità data dallo stabilire a caso con chi portarlo avanti.

[1] Membro SLP, AMP

[2] J. Miller, Sin local, pero con biblioteca, in Colofón N° 7, Junio 1993, p. 42.

[3] M.-H. Brousse, Erotique du travail, in LCD n. 99, Navarin Editour, Paris 2018, p. 57 ; [trad. nostra]

[4] Cfr., Ibidem, p. 56.

[5] J. Lacan, Televisione, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 513.

[6] J.-A. Miller, Dal sapere inconscio alla causa freudiana II, in Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma 2012, pp. 146-147.

[7] Ivi.

[8] Cfr. J. Lacan, Atto di fondazione, in Altri scritti, op. cit., p. 233.

[9] M. Bassols, Corpo dell’immagine e corpo parlante, sul sito: https://www.congressoamp2016.com/pagina.php?area=8&pagina=38&lang=en&lang=es&lang=it

[10] J.-A. Miller, L’École, le transfert et le travail, in LCD, n. 99, op. cit., p. 151 ; [trad. nostra]

[11] Ivi.

[12] È già ieri, Colombia TriStar Italia, Italia Spagna Regno Unito, 2004.

[13] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, op. cit., p. 47.

[14] P. Monribot, La passe et le temps : hâte et précipitation, in La Cause freudienne, n. 45, Aprile 2000, p. 40 ; [trad. nostra]

[15] D. Pegoraro, Intervento a La pratica analitica, La presenza dell’analista, 14 giugno 2020. Evento online organizzato dalla Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del campo freudiano.

[16] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, op. cit., p. 47.

[17] J.-A. Miller, Introduzione all’erotica del tempo, in La psicoanalisi, n.37, Astrolabio, Roma 2005, p. 39.

[18] J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2001, p. 156.

[19] Ivi.

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