Riccardo Andolcetti[1]
Lacan nel suo intervento Sull’esperienza delle passe afferma che “non c’è formazione analitica” [2]. L’analisi ha a che fare con l’esperienza, ma tale esperienza non è didattica, o meglio non garantisce nulla di sicuro nella formazione dell’analista. Tale formazione annoda e intreccia più aspetti: il sapere logico e concettuale su Freud e Lacan, unito alla pratica del controllo sulla clinica, e l’analisi personale. Il tutto non senza la Scuola. L’aspetto teorico segue un andamento di progressione lineare dato dall’accumulo del sapere secondo il modello universitario. L’altro aspetto, che comporta rivolgersi a un analista, riguarda un avanzamento che non segue la linearità, ma progredisce a balzi, a rimaneggiamenti continui, con effetti ravvisabili in après-coup anche sul sapere teorico. Effetti di ritorno perché Lacan scrive e parla con una modalità che, come afferma Antonio Di Ciaccia, rende ogni: “suo testo isomorfo con l’inconscio […] che cosa comporta questo isomorfismo? Esso produce un’esperienza che è molto comune in chi legge Lacan e ha un’esperienza di analisi personale. Dopo non averci capito niente, nonostante averlo letto innumerevoli volte, il testo diventa chiaro, anzi lampante. Questo avviene non già in funzione delle ripetute letture, poiché è strettamente connesso con l’avanzamento della propria analisi. La cosa avviene in modo repentino, improvviso”[3]. Come dire che Lacan lo si può capire solo dopo che lo si è già capito in analisi.
Allo scarto esistente, tra l’avanzamento teorico e l’esperienza nella propria analisi, se ne affianca un altro che riguarda la posizione del desiderio dell’analista. Lacan articola questi divari con la soluzione da reperire all’interno della frase: l’analista si autorizza da sé.
In un primo tempo il reale del godimento, che fa soffrire l’essere umano, ha un’unica via per dirsi: il sintomo. Anche quando l’analizzante non sa ancora decifrarlo, anche quando non sa ancora che il sintomo ha un senso. Grazie a Freud, con la scoperta dell’inconscio, il sintomo ha potuto dispiegarsi. Attraverso la logica dell’inconscio si è creato un ponte – fatto di sogni, lapsus e atti mancati – tra il reale in gioco e la parola. Tutto ciò attraverso l’interpretazione psicoanalitica, che avviene in un secondo momento rispetto all’interpretazione dell’inconscio come ripetizione e fa “passare l’interpretazione dallo stato selvaggio, in cui essa dimostra di essere nell’inconscio, allo stato ragionato”[4], passaggio da malato del proprio sintomo ad ‘ammalato’ dell’inconscio. L’operatore è il desiderio dell’analista che opera nello scarto tra le due interpretazioni. La domanda dell’analizzante di non voler più soffrire, cede quindi il passo a un volerne sapere sul proprio inconscio.
Ma che cosa spinge ad andare oltre, fino in fondo, fino all’inconsistenza dell’Altro, fino al cogliere, in tutta la sua portata, l’assenza di questa garanzia? Fino a cogliersi oggetto scarto, oggetto a? Lacan stesso si domanda: “Che cosa fa sì che dopo essere stato analizzante uno diventa psicoanalista?”[5].
Se non è la domanda di non soffrire o il gusto della decifrazione? “Perché – dice Lacan – qualcuno si prende quel folle rischio di diventare quello che è l’oggetto a ?”[6].
Si può reperire un desiderio di trasmissione che ha a che fare con l’orientamento della Scuola.
Un sapere sul proprio essere, quello dell’analisi portata fino in fondo, del quale in realtà nella propria vita, a un certo punto, non si sa che farsene in quanto gli effetti terapeutici secondari hanno permesso un posizionamento nel proprio desiderio. Che farsene se non passarne qualcosa nella trasmissione, farsi da supporto di un discorso anche se impossibile da trasmettere?
“La passe consente a qualcuno che pensa di poter essere analista, a qualcuno che vi si autorizzi da sé o che stia per farlo, di comunicare che cosa lo abbia spinto a decidersi e a impegnarsi in un discorso di cui non è affatto facile – io credo – farsi il supporto”[7] afferma Lacan.
La psicoanalisi è intrasmissibile perché per trasmettersi dovrebbe essere un sapere universale, universitario, mentre l’analisi è un sapere singolare riservato a un’esperienza che si fa unicamente sotto transfert e nella stanza di analisi, in cui non c’è garante. Quello che si insegna a partire dall’universale non è materia per la psicoanalisi, “non è materia di insegnamento”[8] dice Lacan. La Scuola non ha insegnanti, come apprendiamo a partire dal suo dispositivo centrale di lavoro del Cartello. Ove il più uno non è un insegnante, ma è un almeno uno che muove il desiderio. Se nella Scuola ci fossero insegnanti, la trasmissione sarebbe una ripetizione del sapere mortificato dal ritorno dello stesso. Nella Scuola ciascuno non può che trasmettere unicamente dal punto in cui è arrivato nella propria analisi, e a partire da qui potrà forse esserci un effetto nell’uno-per-uno a cui si rivolge. Ogni volta vivificato dalla posizione di analizzante, ogni volta “confrontandosi con il suo impossibile, l’insegnamento si rinnova”[9]. Ecco che l’insegnamento sarà un possibile effetto in aprés-coup alla trasmissione, come lo si può dire di un’analisi, che è didattica solo a partire dal fondo. Il punto analizzante di trasmissione è un punto di sapere non pieno ma “di vuoto”, un punto di fallimento, quello che attiene al reale in gioco. Come ci ha insegnato Freud lasciandoci un’eredità di cinque casi clinici, miniere di insegnamento ma che ruotano ognuno attorno a un’impasse differente. Trasmissione, quella freudiana, che si articola con un impossibile da insegnare. L’invenzione di Lacan rispetto a questa impasse è che, se non è trasmissibile da un soggetto all’altro, la via d’uscita è che per ognuno occorre, che si autorizzi da sé o come dirà anni dopo ogni psicoanalista è “costretto a reinventare la psicoanalisi”[10]. Il rapporto di non completa articolazione tra il godimento e il significante, come circuito pulsionale, determina un approccio alla psicoanalisi a partire dalla dimensione radicale di non-garanzia. Reinventare e autorizzarsi, non senza l’Altro, non senza la Scuola, non senza l’analisi. Reinventare non senza la traversata del fantasma: “La vera esperienza della singolarità della posizione soggettiva, senza garanzia, passa per la traversata di quel fantasma per raggiungere la posizione di realizzazione dell’eccezione e della solitudine”[11]. Trovo che il reiventare possa essere la chiave che Lacan ci indica per quel salto tra la formazione e la trasmissione: ritrovarsi nella stessa posizione etica di Freud quando ha inventato la logica dell’inconscio, quando ha scoperto l’inconscio. L’inconscio esiste solo se lo si scopre ogni volta, anche solo attraverso il battito di un lapsus.
[1] Membro SLPcf, AMP
[2] J. Lacan, “Sull’esperienza della passe”, in: La Psicoanalisi n° 42, Astrolabio, Roma, 2007, p. 11.
[3] A. Di Ciaccia, “Il Lacan che Joysce”, in: La Psicoanalisi n° 55, Astrolabio, Roma, 2014, p. 102.
[4] J.-A. Miller, “Il rovescio dell’interpretazione”, in: La Psicoanalisi n° 19, Astrolabio, Roma, 1996, p. 122.
[5] J. Lacan, “Sulla trasmissione della psicoanalisi”, in: La Psicoanalisi n° 38, Astrolabio, Roma, 2005, p. 14.
[6] J. Lacan, “Sull’esperienza della passe”, in: La Psicoanalisi n° 42, Astrolabio, Roma, 2007, p. 11.
[7] Ivi, p. 13.
[8] J. Lacan, “Lacan pour Vincennes!”, in: La Psicoanalisi n° 62, Astrolabio, Roma, 2017, p. 9.
[9] Ivi, p. 9.
[10] J. Lacan, “Sulla trasmissione della psicoanalisi”, in: La Psicoanalisi n° 38, Astrolabio, Roma, 2005, p. 14.
[11] E. Laurent, “Del reale in una psicoanalisi”, Testi preparatori al IX Congresso dell’AMP, aprile 2014, Paris, www.wapol.org