Susana Liberatore[1]
Come un colpo di fulmine, appena ricevuto l’invito per il cartello-lampo, mi sono venuti in mente due spunti. Il primo, un ricordo lontano di quando frequentavo l’università in Argentina per l’insegnamento della psicologia: un mio professore di didattica che dalla sua cattedra ci diceva che il docente è un artista senza un mestiere definito, il secondo, una citazione di Freud che lessi in quegli anni: “Tanto quel che sai di meglio non puoi dirlo ai tuoi alunni”. Entrambi gli spunti sono da allora rimasti per me molto suggestivi. Questa è stata l’occasione di riprenderli e di mettermi al lavoro.
Cominciamo da Freud. Nel 1930, il padre della psicoanalisi scrisse “Discorso nella casa natale di Goethe a Francoforte[2]” per il conferimento del prestigiosissimo premio Goethe. Dichiarando che quel riconoscimento aveva segnato la vetta più alta della sua vita, Freud finisce il suo testo con questa citazione che riprende dall’opera di Goethe “Faust[3]”: “Tanto quel che sai di meglio non puoi dirlo ai tuoi alunni”. Quasi a testimoniare tanto la sua ammirazione per lo scrittore, quanto l’impossibilità di scoprire l’intreccio tra le disposizioni pulsionali, il vissuto e l’opera dell’artista per l’avanzamento della ricerca psicoanalitica.
In realtà, nel corso della sua opera, Freud ha utilizzato diverse volte la stessa citazione, e ciò ci fa intuire che essa fosse una delle citazioni di Goethe prediletta da Freud. La troviamo per esempio due volte nel suo celebre testo: “L’interpretazione dei sogni” quando parla della dissimulazione come deformazione per effetto della rimozione e dell’interpretazione dei propri sogni al pubblico[4] e quando riflette sullo sforzo personale per presentare il proprio materiale onirico[5].
La tensione, ovvero l’impossibilità che risuona attraverso questa citazione, è quindi rintracciabile, come un filo rosso, in tutta la sua opera, come testimonia uno dei suoi ultimi lavori: «Analisi terminabile e interminabile». Ricordiamo che in esso, oltre a raccogliere l’esperienza e la profondità del suo pensiero, già ormai quasi alla fine della sua vita, egli suggerisce l’idea di una “impossibilità” relativa a tre ambiti professionali: curare, governare ed educare. Mestieri impossibili, appunto, perché non sono né padroneggiabili né circoscrivibili a una tecnica.
Ed è proprio riguardo a quest’impasse, a questo reale in gioco, che Lacan orienta la sua opera, ovvero il suo insegnamento. E, a proposito di quest’ultimo e riguardo alla trasmissione della psicoanalisi, egli distingue in modo netto, e a più riprese, l’insegnamento dal sapere. Già nel 1953 afferma: “Ciò che lo psicoanalista deve sapere: ignorare ciò che sa[6]”. Più avanti, nel Seminario X dirà: “[…] quello che l’analista sa, che cosa significa insegnarlo?”[7]. E nel 1970 addirittura asserisce: “[…] che qualcosa costituisca per voi un insegnamento […] non vuol dire che vi abbia insegnato qualcosa, che ne risulti un sapere[8]”, affermando più avanti che: “[…] l’insegnamento potrebbe essere fatto per fungere da barriera al sapere[9]”. Ma allora come si può insegnare ciò che non si sa?
Il maestro ignorante
Riguardo all’insegnamento e alla distinzione tra esso, il sapere e la comprensione, all’inizio del XIX secolo, Joseph Jacotot, filosofo e pedagogista, rivoluzionario francese esule in Belgio, inizia un’esperienza che possiamo chiamare “antipedagogica”. Costretto a insegnare all’università senza sapere nemmeno una parola in fiammingo, si trova davanti ai suoi allievi che non sanno, a loro volta, il francese. Questa situazione condusse Jacotot a improvvisare un nuovo metodo; propose agli allievi un’edizione bilingue di Telemaco di Fénelon. Jacotot lascia così i suoi allievi, senza spiegazioni, a tradurre, imparando così non solo le parole ma anche le regole grammaticali della lingua francese. Si tratta della sovversione dell’ordine della spiegazione, che Jacotot chiamerà principio d’abbrutimento[10], e del sapere del maestro, per dare posto alla capacità d’ogni allievo di imparare, di leggere e d’interpretare il mondo attraverso “ciò che tutti gli uomini apprendono meglio è ciò che nessun maestro può loro spiegare, la lingua materna[11]”.
Ispirandosi al testo di Jacotot “Insegnamento universale: lingua materna[12]”, che raccoglie l’inusitata esperienza, Jacques Rancière scrisse: “Il maestro ignorante”. L’esperienza di Jacotot dimostra, secondo Rancière, che per gli allievi “era possibile apprendere da soli e senza un maestro a spiegare […] grazie alla tensione del proprio desiderio o i vincoli della situazione[13]”. E che “gli allievi avevano appreso senza un maestro che spiegasse, e tuttavia non senza maestro[14]”. Questa constatazione porta Rancière a chiedersi: “Come ammettere che un ignorante possa essere per un altro ignorante causa di scienza?[15]” Giacché Jacotot aveva dimostrato che non era il sapere del maestro a istruire l’allievo, egli si mise ad insegnare due materie di cui non sapeva nulla: pittura e pianoforte, e a ripetere ai suoi allievi: “Devo insegnarvi che io non ho nulla da insegnarvi[16]”. Così egli si adoperava precisamente a sperimentare lo scarto tra il titolo e l’atto. Perché, secondo Rancière, il maestro è colui che orienta il ricercatore/allievo “sulla propria via, quella su cui egli è solo a cercare e non cessa mai di farlo[17]”. Per questo motivo Jacotot non smetteva mai di affermare: “si può insegnare ciò che s’ignora[18]”.
Per concludere
Lacan, già dalle prime righe del secondo capitolo del Seminario X, s’interroga sulla psicoanalisi, sul sapere, sulla trasmissione e in particolare sul suo insegnamento. Dedica quindi, diverse pagine a interrogarsi e riprende la questione dal punto di vista dell’insegnante. Egli afferma che ci sono 3 modi diversi d’affrontare la questione: la via del catalogo, il metodo dell’analogo e l’ultima, che è l’unica di rilievo secondo Lacan, che chiama la funzione della chiave. Dice: “La chiave è ciò che apre e che, per il fatto d’aprire, funziona. La chiave è la forma secondo la quale opera, oppure no, la funzione significante in quanto tale[19]”. Aggiungendo subito dopo: “[…] la dimensione della chiave è connaturale a qualsiasi insegnamento, analitico o meno[20]”.
Forse possiamo dire con Lacan che la chiave del maestro ignorante è proprio quella di prodursi “a livello del soggetto[21]”, trasmettendo un sapere vivo, giacché non è tanto la sua scienza ciò che insegna, bensì il rapporto con il proprio desiderio. In particolare, essa riguarda la trasmissione di un sapere prodotto da un atto, che non è né accumulabile né professionalizzante. E se la psicoanalisi è intrasmissibile, che “ogni psicoanalista reinventi il modo in cui la psicoanalisi possa durare[22] […] “In che modo dunque, comunicare il virus di questo sinthomo sotto forma di significante?[23]”.
[1] Partecipante alle Attività SLPcf _ Questioni di Scuola SLPcf , 20 febbraio 2022 Rimini
[2] Freud, S., Discorso nella casa natale di Goethe a Francoforte, Premio Goethe. O.S.F., OSF, vol. XI, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. pag. 12.
[3] Goethe: Faust. Parte I scena II
[4] Freud, S., (1899) “La deformazione nel sogno”, in “L’interpretazione dei sogni”. O.S.F., vol. III, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
[5] Freud, S., (1899) “L’elaborazione onirica. G. sogni assurdi. Le prestazioni intellettuali nel sogno, punto 7” in L’interpretazione dei sogni. O.S.F., vol. III, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
[6] Lacan, J., Varianti della cura-tipo in Scritti Vol. I. Fabbri Editori. Milano, 2007. Pag. 343.
[7] Lacan, Lacan, J., Seminario X L’angoscia. Einaudi, 2007. Pag. 19.
[8] Lacan, J., Allocuzione sull’insegnamento in Altri scritti. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2013. Pag. 293.
[9] Ivi, pag. 294.
[10] Rancière, J., Il maestro ignorante. Mimesis Edizioni, Milano 2020. Pag. 40.
[11] Ivi, pag, 38.
[12] Jacotot, J., Insegnamento universale: lingua materna. Eutimia, 2019.
[13] Rancière, J., Il maestro ignorante. Mimesis Edizioni, Milano 2020. Pag. 43.
[14] Ivi, pag. 44.
[15] Ivi, pag. 45.
[16] Ivi, pag. 45.
[17] Ivi, pag. 61.
[18] Ivi, pag. 145.
[19] Lacan, J., Seminario X L’angoscia. Einaudi, 2007. Pag. 24.
[20] Ibidem.
[21] Lacan, J., Allocuzione sull’insegnamento in Altri scritti. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2013. Pag. 293
[22] Lacan, J., Sulla trasmissione della psicoanalisi in La psicoanalisi n. 38. Luglio-Dicembre 2004. Astrolabio. Roma, 2005. Pag. 14.
[23] Ivi, pag. 16.