Andrea Lorenzo Michelozzi
Di fronte alla psicosi Éric Laurent ci propone un modo di lavorare che tenga conto, in primis, di costituire il luogo dell’Altro: “il discorso analitico trasporta con esso il luogo dell’Altro, l’istalla e gli dà la sua funzione. Attraverso l’istallazione del luogo dell’Altro, noi autorizziamo il luogo che può permettere la traduzione”[1].
Leonardo, 17 anni, è ospite di una Comunità Terapeutica per adolescenti con problemi psichiatrici da un anno e mezzo. Leonardo ha deciso di entrare in CT consapevole dei suoi disagi e angosce, manifesta problemi di ritiro sociale, comportamenti bizzarri a scuola ed a casa, forme di pensiero ossessivo che gli si impongono nei momenti di maggiore stress (quando deve affrontare un nuovo compito, quando rientra a scuola, quando deve uscire con gli amici, nei momenti in cui è chiamato a sviluppare delle nuove autonomie).
In Comunità si lavora per dare una certa regolarità simbolica che ha prodotto gradualmente una pacificazione. Non sempre però questo lavoro di traduzione è stato possibile, ci è voluto molto tatto anzi, in diverse occasioni, il lavoro ha cercato di evitare il cortocircuito del passaggio all’atto spostando l’attenzione altrove, cercando di pluralizzare gli interventi e offrendo dunque varie attività (atelier teatrale, lettura di libri, attività sportiva, ordinamento dell’ambiente e degli spazi della comunità).
Leonardo ha iniziato un percorso di sostegno psicologico all’interno della stessa struttura. Un giorno in seduta dice: “Mi arrivano i pensieri che dicono: Alice (una ragazza ospite della comunità) mi odia perché non vuole parlare con me, mi dicono non ce la fai a leggere il libro, mi dicono di tornare a casa… non faccio niente, li accetto e basta, poi mi innervosisco un po’ ma mi passa”.
In un primo tempo, si sottolinea in colloquio quanto Leonardo ha detto, si cerca di dare un peso a quello che dice, provando a dare uno spazio di costruzione all’irrompere dei suoi pensieri intrusivi. Nonostante questi interventi, il giorno seguente alla seduta Leonardo cerca di colpire Alice. Gli operatori riferiscono che Leonardo, prima dell’evento, si era rabbuiato, aveva cambiato espressione e, come in altre occasioni, cercava Alice con lo sguardo, la guardava in maniera fissa mentre lei cercava di sottrarsi.
“Sappiamo che la nominazione, il dare un nome, può consistere nel colpire l’altro (…)”. Laurent prosegue su questo punto che, nel caso clinico specifico, ci riguarda da vicino: “Anche il passaggio all’atto etero-aggressivo o auto-aggressivo è un modo di dare un nome”[2]. Se uno dei modi fondamentali di nominazione è il passaggio all’atto, il “farsi un nome” attraverso il passaggio all’atto (“io sono colui che ha colpito l’Altro”)[3], se il cortocircuito è sempre presente all’orizzonte, come operare su di esso?
Secondo tempo. Alla luce di questo episodio mi viene in aiuto il testo di Éric Laurent, riguarda il lavoro di traduzione che consiste nel mirare ad ottenere una stabilizzazione, un’omeostasi, una punteggiatura. Dice Laurent: “Si tratta di stabilizzare, di mirare a che s’introduca la possibilità di un taglio, che la lingua non sia più compatta, olofrastica. Che non ci sia semplicemente una sola frequenza di significanti S1, S2, Sn… senza le virgole. Si tratta di ottenere la possibilità di virgole. Dunque queste virgole le facciamo nella seduta. Miriamo al sinthomo (…) Mirare al sinthomo è sottolineare, ritornare su dei significanti, isolarli, separarli dalla catena, dargli tutto il loro posto, sganciarli dalla catena significante”[4]. Poi, più avanti, dice: “La punteggiatura consiste nell’ottenere qualcosa come una pacificazione (…)”. E poi precisa: “Miriamo all’orizzonte l’effetto di silenzio, di pausa, di stabilizzazione”[5]. Quindi, prendendo spunto da questo prezioso testo, mi domando se all’occasione, per posizioni soggettive come Leonardo, la seduta possa essere un momento di pausa, di silenzio, del non pensare a niente. É un apprendimento in atto, un insegnamento, come del resto è stato il percorso con Leonardo.
[1] E. Laurent, “Interpretare le psicosi nella quotidianità”, in La Psicoanalisi n.46, 2009, p. 142.
[2] Ivi, p. 143.
[3] Cfr. E. Laurent, “I trattamenti psicoanalitici delle psicosi”, in La Psicoanalisi n. 46, 2009, p. 201.
[4] E. Laurent, “Interpretare le psicosi nella quotidianità”, op. cit., p.142
[5] Ivi, p. 143.