Silvia Bernardini
Il mio vorrebbe essere un tentativo di mettere in parallelo un tipo particolare di letteratura per l’infanzia, che definirei poetica, con alcune riflessioni a proposito della poesia e dell‘“interpretazione oracolare“ così come la definisce Jacques-Alain Miller nel suo corso Un effort de poésie[1].
Mi sono avvalsa di alcuni sprazzi di luce trovati nel suddetto corso di J.-A. Miller, altri trovati nel divertentissimo libro di Giuseppe Pontremoli Elogio delle azioni spregevoli[2] e, non da ultimo, nei numerosi e rumorosi momenti di lettura con bambini piccolissimi (da 6 mesi a 3 anni) al Nido dove lavoro come educatrice.
Si tratta di un lavoro preliminare, stimolato dalle questioni e dalle risonanze evocate in me da questi diversi momenti di lavoro. L’intento è quello di approfondirli in un lavoro futuro.
Accostando la seduta analitica ad uno sforzo di poesia, J.A. Miller si chiede che cosa significhi poesia: “La poesia non è questione di talento. Quando avviene, sotto la forma di seduta analitica, poesia significa che non mi preoccupo per l’esattezza, la coerenza di ciò che dico con ciò che gli altri credono, e neanche di quello che posso trasmettere”[3].
É a questo punto che J.-A. Miller introduce il concetto di interpretazione oracolare, affermando che essa non consiste nei contenuti o negli enunciati, ma che piuttosto è un modo di dire che si caratterizza per la sua gratuità, la sua essenza ludica. Si pensi ai possibili giochi della lingua, sul modello del Witz.[4]
Come rianimare allora il fuoco della lingua poetica, si chiede J.-A. Miller, laddove il culto dell’utilità diretta ne ha causato l’estinzione rendendo la psicoanalisi, alla stregua della psicoterapia, una mera prosa che offre spiegazioni?[5]
Questa piccola differenza tra prosa e poesia, utilità diretta e indiretta, culto della spiegazione e non-sense, mi hanno portato a pensare a tutta una fetta di letteratura per l’infanzia in cui si mette da parte il senso, il ragionevole, l’utile, il morale, il didattico a favore invece di una dimensione in cui prevale appunto lo spregevole[6], così come lo definisce provocatoriamente Giuseppe Pontremoli.
A titolo esemplificativo riporto due straordinari libri per l‘infanzia.
Penso a Mammalingua[7] di Bruno Tognolini, una raccolta di filastrocche che, grazie alla loro forte musicalità aggancia l’interesse dei bambini, anche neonati.
Quando lo si legge, si vede che ciò che conta non è il senso o la trama, ma la nostra voce, che diventa musica, pura sonorità. Piuttosto, spesso è il corpo dei bambini ad essere fortemente implicato: c’è chi si dondola, chi si arrampica sui materassi, chi si muove per la stanza apparentemente disinteressato ma pronto a tornare anche solo un attimo per anticipare le parole delle filastrocche.
Secondo esempio. In Tutto cambia[8] di Anthony Browne si racconta la storia di Joseph Kaye, un bambino il cui padre gli annuncia, prima di andare a prendere la madre, che “tutto sta per cambiare”. Joseph si trova a vagare da solo per le stanze di casa notando tantissimi nuovi particolari surreali e a tratti inquietanti: il bollitore che diventa un gatto, le pantofole con le ali, il pallone che diventa un uovo gigante che si schiude… il tutto in una escalation di immagini surreali fino ad arrivare al gran finale. La porta di casa si apre ed il padre e la madre che entrano con un neonato in braccio annunciando: “Ciao amore, questa è tua sorella!”.
Ciò che trovo sorprendente in questo albo è la posizione dell’autore: non si tratta di un testo a sfondo pedagogico, che “insegna” ai bambini ad accettare il fratellino, a dipingerne l’arrivo come un lietissimo evento. Piuttosto, troviamo immagini bizzarre e fuori dal senso comune. Non troviamo frasi moralistiche. In questo libro gli unici dialoghi sono le parole del padre di Joseph all’inizio e quelle della madre alla fine della storia. Nel mezzo a queste due frasi c’è il peregrinare di Joseph per le stanze della casa, alle prese con la trasformazione della sua quotidianità.
Si tratta, in fondo, di una lettura eretica, o, come la definisce Pontremoli “spregevole”. Una lettura cioè che, invece di offrire spiegazioni, si serve del non-senso e del bizzarro per aprire a questioni ed interrogativi.
Sorprendente è la reazione dei bambini alla lettura di questo libro: il divertimento che mostrano nello scovare tra le pagine gli animali nascosti. Ciò che sembra colpirli non è tanto la veridicità dei fatti narrati, la trama o la coerenza del finale, piuttosto essi sembrano affascinati dai dettagli animaleschi e inaspettati sparsi per le stanze della casa.
Questi due piccoli esempi di letteratura per l’infanzia sono a mio avviso esemplificativi, seppur nella loro diversità, di questa dimensione poetica evocata da J.-A. Miller a proposito dell’interpretazione: invece di preoccuparci per l’esattezza e la coerenza degli enunciati, invece di offrire risposte preconfezionate, provare a “rianimare il fuoco della lingua poetica” privilegiando gli aspetti ludici e del non senso.
Concludo con le parole di Pontremoli: “I bambini, giocando usano filastrocche. I bambini, formulando domande sono ripetitivi e riecheggianti come filastrocche. Ridono alle filastrocche e affrontano spesso le paure con le filastrocche che sono gratuite, improduttive, insensate. Sono insensate eppure servono”[9].
[1] Non tradotto in italiano. Trad. nostra.
[2] G. Pontremoli, Elogio delle azioni spregevoli, L’ancora del mediterraneo, 2004, Napoli.
[3] J.-A. Miller, Un effort de poésie, cours de l’orientation lacanienne, inédit.
[4] Ivi, p. 11.
[5] Ivi, p. 12.
[6]Giuseppe Pontremoli, che è un maestro elementare, definisce provocatoriamente spregevoli tutte quelle storie che, invece di insegnare qualcosa ai bambini, parlano loro in un altro registro (quello del giocoso, dell‘irriverente, del fuori senso). Secondo l’autore, gli argomenti sono un elemento secondario. A dare valore ad un’opera non serve il fatto che essa sia ispirata da ottimi intendimenti, da sentimenti nobili, da riferimenti alla cosiddetta realtà, dalla correttezza politica. C’è invece bisogno di racconto, invenzione, ricerca, scoperta, apertura. Non c’è bisogno di storie che forniscano risposte, ma di storie che suscitino nuove domande.
[7] B. Tognolini, Mammalingua, Il Castoro, edizioni Tuttestorie, 2008.
[8] A. Browne, Tutto cambia, Orecchio Acerbo, 2019.
[9] G. Pontremoli, Elogio delle azioni spregevoli, op. cit., p. 51.