Cartelli della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano
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Interpretazione limite e apertura, o “un calcio nel sedere che non lascia cadere”

Pubblicato il 27 Aprile 2022

Giacomo Gherardini

Il mio intento è lavorare su questioni che riguardano i colloqui con i genitori di bambini e adolescenti e sulla possibile interpretazione rispetto alla domanda «terapeutica» che ci viene posta. Di cosa si tratta nell’appello al sapere che i genitori indirizzano all’analista durante il primo incontro?

Nello svolgimento della funzione di psicologo all’interno di un Liceo è capitato che i genitori mi abbiano domandato di intervenire presso gli insegnanti per sostenere la causa dei loro figli. “Potrebbe spiegare all’insegnante la situazione di mio figlio?”. A Spazio Elle (Centro terapeutico per l’infanzia e l’adolescenza in cui lavoro con le colleghe Gaia Ragazzini e Annalisa Rotesi), una madre ha domandato dopo la seduta della bambina: “quali sono gli esercizi a casa che abbiamo da fare con A.?”

Come orientare la domanda indirizzataci? Come pensare una interpretazione che istituisca un limite, che crei una possibilità di apertura e interrogazione? Limite a cosa? Limite all’azione dell’analista che può rispondere solo orientato dal campo psicoanalitico. Ma anche limite al genitore perché il taglio della risposta possa permettere un’apertura e una metafora.

Vignetta: B. Seynhaeve – L’ammissione dei bambini in una istituzione specializzata, in Les feuillets du Courtil –[1]

Seynhaeve descrive la domanda che gli è indirizzata dai genitori di Damien, un adolescente di 16 anni. Il ragazzo è zitto e imbarazzato. Il tono dei genitori è di rimprovero. Ne hanno abbastanza della situazione. Il problema dei genitori: Damien è encopretico. Ha ripreso a sporcare le mutande anche a scuola. Non studia e disturba i compagni. Non può restare nella scuola. È la ragione della visita. Damien, osserva Seynhaeve, non parla, ma ascolta. “La domanda dei genitori si formula allora molto precisamente: essi si aspettano da noi che gli insegniamo a essere pulito. È a questo che rispondo loro immediatamente –davanti a Damien– che se si tratta di assumerci la responsabilità di educare loro figlio alla pulizia, si erano sbagliati di indirizzo. Ho aggiunto che se questo era ciò che cercavano, forse sarebbe stato meglio che loro cercassero altro”. Damien guarda l’analista. I genitori restano in silenzio, imbarazzati. Il padre dice: “ma allora cosa fare?” Al che Seynhaeve risponde “lo ignoro io stesso, ma forse varrebbe la pena di cercare di capirne qualcosa”. Finiscono per restare e l’analista riceverà Damien da solo.

“La coppia familiare” commenta Seynhaeve “è di fronte a una difficoltà su cui non ha padronanza. Il vuoto nel loro sapere non scuote la loro certezza. Si aspettano di trovare un maître meno carente di loro” che copra questo vuoto. Non c’è posto qui per una questione, ma un semplice buco nel sapere che bisogna colmare. Vengono a cercare un Ideale al quale loro figlio si identificherà una volta per tutte. Questo appello al sapere non instaura un soggetto supposto sapere. Non c’è posto qui per il transfert analitico e per una elaborazione significante. È la dimensione dell’Ideale. “Nel momento in cui si aspettano una risposta a questa domanda, a loro ritorna «noi non gli insegneremo ad essere pulito», che ha per effetto di lasciare vuoto questo buco. Questo intervento li sorprenderà”[2].

Elaborazione in cartello (S. Bernardini, L. Malvisi, V. Rinaldo, Più uno: R. Andolcetti)

Riprendiamo il corso di Miller “Uno sforzo di poesia”[3]: accostando la seduta analitica a uno sforzo di poesia, Miller differenzia la psicoterapia dalla psicoanalisi. In psicoanalisi “l’interpretazione non sono i contenuti, gli enunciati, ma è un modo di dire caratterizzato per la sua gratuità, la sua essenza ludica e che suppone d ricondurre il linguaggio – che è una regolazione – ai possibili giochi della lingua. Il modello è quello del Witz”[4]. La psicoterapia si fonda sull’utilità, per cui la possiamo mettere nella serie: Spiegazione – prosa. La psicoanalisi è utile solo in modo indiretto e dunque la potremmo collocare nella serie: poesia – interpretazione/non-sense.

Nella vignetta c’è un vuoto che si forma nel sapere. L’analista risponde al “allora che fare” dei genitori con “lo ignoro, ma che varrebbe la pena di cercarne di capire qualcosa”. “Lo ignoro” non è “non lo so”. Che cosa è questa risposta dell’analista? Un taglio? Ma che non lascia cadere.

Ci rammentiamo l’esempio fatto da Virginio Baio citando I Malavoglia[5]: un nonno riprende il nipote che aveva combinato una delle sue. Il nonno dà un calcio nel sedere al nipote e allo stesso tempo lo sostiene per un braccio perché non cada! Una metafora di una interpretazione: scuotere e tenere il paziente.

L’analista non si aliena alla domanda di utilità. Non risponde a quella che Lacan definisce come la domanda transitiva nel testo La direzione della cura[6]. La domanda transitiva avrebbe un oggetto “utile” che possa rispondere alla domanda del paziente.

Perché ci sia lavoro analitico possibile occorrono delle condizioni. Che l’analista sia, come minimo, nella posizione di grande Altro. E non nella posizione di altro «strumentale»[7]: cioè colui che risponde alla domanda di utilità/ domanda transitiva.

Ci interroghiamo sul “rischio” di questo taglio. Rischio che l’analista si assume in rapporto all’aver portato avanti la sua propria analisi.

[1] B. Seynhaeve, “L’admission des enfants dans une institution spécialisée”, Feuillets du Courtil, 09/1992, n. 5, pp. 40-45, reperibile su http://www.courtil.be/feuillets/PDF/Seynhaeve-f5.pdf, [traduzione nostra].

[2] Ibidem.

[3] J. –A. Miller, L’orientation lacanienne. Un effort de poésie, 2002-2003, Insegnamento pronunciato nell’ambito del Dipartimento di psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, Corso del 13/11/2002, inedito [traduzione nostra].

[4] Ibidem.

[5] Cfr. V. Baio in A. Marcelli E. De Angelis (a cura di), Genitori a scuola del desiderio, op. cit., p. 61.

[6] J. Lacan, “La direzione della cura e i principi del suo potere”, in Scritti, vol. 2, ed. Einaudi, Torino, 2002, in particolare pp. 612-14.

[7] Cfr. H. Mniestris, “Il suo papà non è là …”, in IRMA, La conversazione di Arcachon. Casi rari: gli inclassificabili della clinica, ed. Astrolabio, Roma, 1999, p. 62.

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