Cartelli della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano
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Una nuova tessitura della lingua

Pubblicato il 27 Aprile 2022

Veronica Rinaldo[1]

Lo scritto che leggerò è l’effetto della messa al lavoro del cartello “L’interpretazione tra evento e poesia”, una circolazione lampo sul tema ha prodotto un effetto di apertura, cenno di scrittura, questioni che, più che risolversi, emergono con nuove intonazioni da lavorare.

La clinica dell’epoca contemporanea ci mette al lavoro sulla questione del godimento. Ci troviamo direttamente nel campo del godimento che è il campo della psicoanalisi lacaniana, come ci indica Lacan nel Seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi,[2] nel campo dell’Altro che non esiste e che ha un corpo.[3]

Che cos’è il godimento? È il punto nodale più tenace della sofferenza, è quello strano/estraneo eppure così intimo miscuglio tra il dispiacere e un’altra soddisfazione, che il soggetto, pur senza saperlo, conosce così bene da lasciarsi trascinare. Il godimento è, ci dice J. Lacan, come la botte delle Danaidi, entrati nella quale non si sa più dove si va a finire. Si comincia con il solletico e si finisce arsi vivi dalla benzina. [4]

Nel mito, le Danaidi, per aver ucciso i loro mariti sotto giuramento a Danao, furono condannate da Zeus nell’Ade a riempire d’acqua una botte dal fondo bucato.

Nella contemporaneità lo troviamo spesso sotto la forma dell’eccesso che disorienta, devasta, colpisce il corpo. È, per il soggetto, il senza bussola che prende forme sintomatiche in cui il rapporto con l’Altro del significante, della parola, è raggirato, indebolito mentre è in atto il rapporto con l’Altro in quanto corpo. Il corpo fa una presa d’atto, ci dice J. Alain Miller, ed in questo c’è qualcosa di traumatico.[5]

Disturbi alimentari, dipendenze da sostanze, attacchi di panico, gravi disturbi ossessivo-compulsivi, fenomeni psicosomatici.

Che ne è di questo nella clinica, nella direzione della cura di ciascun soggetto, al di là delle nominazioni sociali? Come contrastare, intaccare la spinta infernale del godimento, per lasciare lo spazio affinché il soggetto, in modo singolare, ne costituisca un nuovo rapporto, più vitale meno mortifero?

Riporto una testimonianza che fa risonanza.

Suzanne Hommel in una seduta dice a Lacan: «”Mi sveglio tutte le mattine alle 5. É l’ora in cui la Gestapo cerca gli ebrei nelle loro case…”. Lacan si alza, si precipita su di me e mi accarezza la guancia sinistra. E conclude la seduta. In un primo tempo ero sbalordita, turbata. In un secondo tempo ho decomposto la parola: geste-à-peau. In un terzo tempo, a posteriori, ho potuto misurare che cosa questo atto di interpretazione avesse trasformato in me: “Il trauma si presenta come il rovescio di un atto”. La parola tedesca Gestapo, attraverso un gesto sul corpo, è passata alla lingua francese geste-à-peau».[6]

Questa testimonianza clinica ci conduce alla via indicata da Lacan: Come reagire al trauma? domanda. Attraverso la tessitura della lingua. [7] Suzanne Hommel aveva scelto di parlare la lingua francese per distanziarsi dalla lingua tedesca, la lingua del reale del trauma.

Mi sembra che l’atto di Lacan metta in gioco il rapporto tra la lingua del trauma e una nuova tessitura attraverso la lingua francese scelta da S. Hommel, attraverso l’utilizzo dell’omofonia gestapo/geste-à-peau. È un atto che scompone e al contempo tesse qualcos’altro, direi che forse possiamo parlare di un nuovo annodamento.

Toccare il corpo, attraverso l’equivoco, ha frenato l’invasione dell’orrore che affliggeva la sua paziente ogni mattina, da quando i nazisti erano venuti a cercare la sua famiglia. Il suo vissuto non era decifrato né decifrabile, non aveva senso, e l’equivoco ha toccato il corpo proprio lì dove vi era quel marchio di sofferenza nella carne, producendo un effetto di scollamento grazie al quale Suzanne ha potuto dire, facendo dell’atto dell’analista il suo “punto a nuovo” nella tessitura della lingua.

Perché l’inconscio è a fior di pelle. La questione si pone: da quale lato può operare la psicoanalisi lì dove si tratta di un cartiglio, un geroglifico, un sigillo traumatico per il soggetto?

Ha un posto l’interpretazione?

Ciò che trovo rilevante nella testimonianza della Hommel è che l’atto di Lacan si poggia sulla coincidenza tra la carezza sulla pelle e l’equivoco delle lingue in gioco, la lingua del trauma e una lingua altra.

Una clinica più dell’atto che dell’interpretazione: messa un po’ a lato l’interpretazione nel senso stretto dell’articolazione di un discorso, di una significazione che emerge, di una rilettura punteggiata sintatticamente della storia soggettiva; un atto è piuttosto un evento, che nella temporalità dell’istante, crea.

Evento di corpo-evento del dire.

La temporalità dell’atto è forse in forma rovesciata la temporalità del trauma?

Nell’atto analitico è produzione improvvisa, fulminea, che fa vuoto, rottura. Il lampo della vacuità dell’insegnamento buddista e zen e il lampo che, nell’orizzonte dell’analisi, permette di discernere le cose nella sua singolarità, ci dice É. Laurent nel testo “L’interpretazione dalla verità all’evento”.[8]

Nella centratura sulla singolarità, alla vacuità cui mira l’atto analitico si annoda una nuova tessitura della lingua del soggetto, ma si tratta di una scommessa! Se vi siano state effettivamente “delle modificazioni del soggetto rispetto al godimento”[9] [7] è, da verificare, ogni volta, in après-coup (a posteriori).

[1] Partecipante SLPcf.

[2] J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi. Einaudi, Torino, 2001, pp. 81-82.

[3] Ivi, p.77.

[4] Ivi, p.85.

[5] J.-A. Miller, “Riflessioni sul fenomeno psicosomatico”, in La Psicoanalisi, n°2, Astrolabio, Roma, 1987, pp. 63-71.

[6] S. Hommel, “Una storia di famiglia al tempo del nazismo”, in M.-H. Brousse (a cura di), A.A. VV, Guerre senza limite. Psicoanalisi, Trauma, Legame sociale, Rosemberg & Sellier, Torino, 2017, p.78.

[7] Ivi, p.77.

[8] É. Laurent, “L’interpretazione dalla verità all’evento”, in Rete Lacan 40 – 10 febbraio 2022: https://www.slp-cf.it/rete-lacan-40-10-febbraio-2022/

[9] A. Di Ciaccia, “Qualche nota sull’interpretazione”, in La Psicoanalisi, n°19, Astrolabio, Roma, 1996, p. 132.

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