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Oggetto sguardo e passaggio all’atto nella contemporaneità

Pubblicato il 9 Novembre 2022

Veronica Rinaldo

“Agire è strappare all’angoscia la sua certezza. Agire è realizzare un trasferimento di angoscia” (J. Lacan)

Filmare, fotografare, pubblicare. Rendere seriale l’evento.
Moltiplicarlo in prodotti consumabili per l’Altro del capitalismo, che ingoia e scarta per i successivi.
«Una produzione estensiva, insaziabile, della mancanza-a-godere» [1] così, in Radiofonia, Lacan definisce la produzione capitalistica.
Rendere. Produrre. Scartare. E così all’infinito.
Scelgo l’oggetto sguardo come punto di intersezione, per interrogare la serialità di certi “incidenti” in  cui sono protagonisti i giovani e lo smartphone. Incidenti o forse per meglio dire effetti di un’incidenza del discorso.
I giovani cadono come oggetti della produzione del discorso capital-show.
Cadono nei burroni, da una macchina in corsa, dai pali della corrente elettrica, nell’istante in cui sono presi dall’occhio dello smartphone nel “guardatemi godere”. Dal “guardateli godere” con cui Lacan anticipava un Altro che gode della scena seppur in un’epoca ancora suscettibile alla vergogna, si passa a quello che formulerei come un “guardatemi godere”.
Nel social- show capitalista lo sguardo dell’Altro è al posto dell’oggetto (a) più-di -godere in posizione di agente che sale allo zenith. Il campo scopico è “quel campo in cui non percepiamo, [..] non sperimentiamo la perdita dell’oggetto oggetto (a). É il campo che può permettere l’oblio della castrazione ed è anche un campo angosciante e pacificante” [2]. Cioè si presta bene a occupare una certa posizione dominante nell’epoca attuale.
Nessuna vergogna sorge quando si scopre che si è guardati guardare, ci si mette piuttosto al servizio dell’Altro show. Non c’è parola che fungendo da mediazione marchi il limite. Non c’è scena che faccia da velo. È un fuori-legame. In questo “guardatemi godere” l’individuo contemporaneo senza appigli a un significante di riferimento che valga, con il biglietto da visita strappato, cade identificato all’oggetto sguardo dell’Altro capitalista, incollato al suo surrogato- smartphone. Lo smartphone come la scatoletta di sardine luccicante in mezzo al mare, di cui racconta Lacan nel Seminario XI per indicare l’evanescenza del soggetto nel divenire oggetto dello sguardo, macchia.
Il rimando al caso della giovane omosessuale è inevitabile, Sidonia incarna l’oggetto (a) e non disponendo di una mediazione simbolica nell’incontro con lo sguardo infuriato e disprezzante del padre, si lascia cadere in un passaggio all’atto, identificata a quello stesso oggetto sguardo, nel momento in cui esso svanisce come significante dell’amore nel legame con l’Altro.
Ma quale articolazione tra lo sguardo dell’Altro contemporaneo e i passaggi all’atto?
Non è uno sguardo che evoca un significante che faccia legame, né mi sembra di rintracciare in questi eventi-incidenti ciò che É. Laurent scrive come “un modo spiacevole di nominazione, il «farsi un nome» attraverso il passaggio all’atto: «io sono colui che ha colpito l’Altro» ” [3]. Lo sguardo dell’Altro contemporaneo, nel discorso capital-show, ingoia piuttosto i passaggi all’atto dei singoli nell’anonimato oggettuale della produzione quotidiana.
Ma come leggere la serialità di certi passaggi all’atto nel tempo attuale? In “Dal patriottismo all’abuso”, Bénédicte Jullien pone gli abusi in tempi di guerra come atti compiuti in serie, collocandoli esattamente al contrario rispetto all’oltrepassamento significante che ritroviamo
invece nell’atto. Cioè che è “il godimento prodotto dall’ideale svuotato del senso comune che è al posto di comando, il godimento del significante da solo, alleato con l’identificazione immaginaria, quella che ci dà per la prima volta un’idea della morte attraverso la morte di qualcuno che ci è vicino” [4].
Se in tempo di guerra è il corpo dell’altro a essere ucciso, nel tempo ordinario è anche il corpo proprio ad essere destinatario di un godimento distruttivo, e fin qui niente di nuovo; nell’epoca attuale lo troviamo però anche in una versione contagiosa, il corpo proprio come quello del simile: atti di autodistruttività in serie. Lo rintracciamo non solo in incidenti che si ripetono con le medesime coordinate, ma anche in alcune forme del deep-web, come i siti pro-anoressia, che sono, a tutti gli effetti, segregazioni di individui attorno a un godimento elevato a comando.
Nella contemporaneità la definizione di Lacan «il corpo è l’Altro» va nella direzione di un corpo scombussolato dall’eccesso del godimento, che raggira l’Altro del significante, del desiderio. Si tratta di un Altro che è il corpo proprio, il corpo fa una presa d’atto dell’imprimatur di godimento dell’Altro. Lacan specificava, a proposito della psicosomatica, che “si lascia andare a scrivere qualcosa che è dell’ordine del numero, che non è da leggere” [5].
Quale Altro formulare? Nel seminario XXIV Lacan sostituisce il termine barrato a rotto, un Altro rotto o infranto per indicare la questione dal lato dell’esistenza, del «c’è dell’Uno, e nient’Altro», dopo il fallimento del Nome-del- Padre.
È una formulazione che interroga la posizione dello psicoanalista, ai giorni nostri, cioè che: “occorre intendere che è infranto l’analista con il suo ancoraggio nella supposizione” [6].
Presa d’atto, passaggio all’atto, non è da leggere (pas à lire), sono le questioni complesse che pone la clinica contemporanea, che implicano spesso un lavoro sul passaggio dal godimento al sintomo: “in modo che l’Altro non si riduca unicamente al corpo proprio ed emerga una domanda a proposito del desiderio” [7].
E lo sguardo?
“Non c’è differenza fra la televisione e il pubblico davanti al quale parlo [..] In entrambi i casi uno sguardo: a cui non mi rivolgo né in un caso né nell’altro, ma in nome del quale parlo. Non si creda tuttavia che io parli alla cieca. Parlo a coloro che se ne intendono, ai non-idioti, a dei presunti analisti” (J. Lacan) [8].

Bibliografia:
[1] J. Lacan, “Radiofonia”, Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p.431.
[2] J.-A.Miller, “Les prisons de la jouissance”, in La Cause freudienne, n. 69, L’École de la Cause freudienne , Paris 2008/2, pp. 113-123, (trad. mia).
[3] É. Laurent, “I trattamenti psicoanalitici delle psicosi”, in La Psicoanalisi, n.46, Astrolabio, Roma 2009, p. 201.
[4] B. Jullien, “Dal patriottismo all’abuso”, in AA.VV, M.- H. Brousse (a cura di), Guerre senza limite, Psicoanalisi, trauma, legame sociale, Rosenberg & Sellier, Torino 2017, p.201.
[5] J.-A. Miller, “Riflessioni sul fenomeno psicosomatico”, in La Psicoanalisi, n.2., Astrolabio, Roma 1987, pp. 69-71.
[6] É. Laurent, “Il trattamento psicoanalitico della psicosi”, in J.-A. Miller (a cura di), Conversazione clinica, Quodlibet, Macerata 2021, p.39.
[7] J.-A. Miller, “Riflessioni sul fenomeno psicosomatico”, op.cit., p.71.
[8] J. Lacan, “Televisione”, Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 505

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