Laurent Dupont1
Cosa distingue la produzione del cartello con il suo effetto di senso, dagli altri momenti di insegnamento? Perché Lacan lo mette al centro della sua Scuola?
Nei convegni, nelle giornate di studio, nei seminari, negli insegnamenti, c’è un effetto di massa. Effetto necessario, inevitabile, indirizzato al maggior numero che sostiene la psicoanalisi, la fa conoscere, risuonare, la diffonde, ma comunque effetto di massa. Se l’Uno se ne stacca, è nell’urna del proprio comprendonio personale, una parola, una frase, un momento viene a colpire il corpo, produce un effetto di senso. E se ne va via felice.
Il cartello si distingue profondamente per il fatto che sollecita “quanti verranno in questa Scuola si impegneranno a svolgere un lavoro sottoposto a un controllo interno ed esterno. In cambio viene loro garantito che non sarà tralasciato nulla affinché tutto ciò che faranno di valido abbia la risonanza che merita, e nel posto che converrà.”2 La specificità, quindi, è molteplice, all’effetto si sostituisce il lavoro, il compito, non senza effetto, ma soprattutto sostenendo la posta di ognuno. “L’esigenza etica, epistemologica, aletica, prassiologica, che Lacan fa intendere, si deve compiere attraverso un lavoro, il lavoro della Scuola, e tale lavoro passa attraverso il cartello – non attraverso il seminario, la conferenza, il corso.”3
Un’altra differenza rinvia al tempo, rispetto al seminario, alla conferenza, al corso, il cartello si realizza in un tempo lungo, un lavoro di due anni, anche se esistono cartelli folgoranti, ma è qualcos’altro. Il gruppo è ristretto: 4 persone al massimo, più una.
Cosa fa sì che 4 persone sia veramente diverso rispetto a 100 in una conferenza o più di 3.000 alle Giornate dell’École de la Cause Freudienne? Niente, assolutamente niente se i cartellizzanti sono nella posizione di ricevere dal Più-Uno l’insegnamento che si attendono dal Cartello. Sono allora in mezzo a tre altri presi nella massa, come in qualsiasi seminario.
Allora, dov’è la specificità? “Il più-uno del cartello, che è il leader funzionale di un gruppo minimo, non satura la domanda di carisma. Il più-uno è un leader, ma è un leader modesto, un leader povero. L’agalma che lo sostiene non è densa. Egli è investito debolmente.”4 Si chiede all’oratore di un seminario, di una conferenza, di un corso, in una giornata di studio … che ci metta il suo corpo, il suo godimento. C’è qualcosa di un più, un più di godere che si deve sentire, che si deve intendere per produrre un effetto sul pubblico. Per il Cartello, niente di tutto questo, il Più-Uno deve essere investito debolmente, produce un meno, una mancanza, una certa funzione del desiderio.
Ma, per questo, a cosa serve un Cartello, se non si tratta di ricevere il sapere dell’Altro Più-Uno, di esserne nutrito? Una lettura attenta dell’Atto di fondazione non dovrebbe lasciare alcun dubbio, è “un lavoro che «nel campo aperto da Freud restauri il vomere affilato della verità – che riconduca la prassi originale da lui istituita (…) a quel che al mondo le spetta – che con una critica assidua vi denunci le deviazioni e i compromessi…» (…) passa attraverso il cartello.”5 E Lacan aggiungeva: “Nessun progresso è da attendere, se non una messa a cielo aperto periodica dei risultati e delle crisi di lavoro”.6 Non è il progresso che deve essere atteso ma i risultati e delle crisi di lavoro. Così, la produzione del Cartello non è un sapere chiuso che girerebbe su di sé come una striscia di Moebius, è più modesto: dei risultati, delle crisi. In questo senso, il Cartello si avvicina alla passe, in quanto è a fondamento del lavoro della Scuola, come si dice anche analista della Scuola. “La passe, come il cartello, dal punto di vista istituzionale, è una macchina anti-didatti. La Scuola, con il suo cartello e con la sua passe, è un organismo che mira a strappare la psicoanalisi ai didatti.”7 Il cartello rinvia a una produzione singolare, è un lavoro che non è in molti (à plusieurs), il numero vi si conta con l’Uno, ognuno col proprio argomento, anche il Più-Uno, ognuno con la propria ricerca. Il numero serve per fare contrappunto, rinvio di palla, ping pong, ma non è né comunione né condivisione. Soltanto da questo spazio dell’Uno al lavoro della propria questione si possono reperire e si possono denunciare le deviazioni e i compromessi.8 Quindi è al rovescio del Più-Uno che il cartellizzante si impegna: ci mette il suo corpo per saperne qualcosa della sua questione, pratica passibile di tenerlo lontano da ciò che l’effetto di massa, nella sua sottomissione di fatto al discorso del padrone, lo espone alla deviazione e ai compromessi.
Il cartello resta un’esperienza, un’esperienza di corpo, ogni Uno ci va con la propria posta e ne esce sempre qualcosa la cui eco può farsi sentire molti anni dopo. Per il mio primo cartello avevo scelto come tema una frase del Seminario XI: “La rottura, la fessura, il tratto dell’apertura fa sorgere l’assenza – così come il grido non si profila su un fondo di silenzio ma, al contrario, lo fa sorgere come silenzio”.9
Molti anni dopo, mentre termino il mio lavoro di analista della Scuola, testimonio della parola come effrazione del silenzio, reinterpretando nell’après-coup, questa questione iniziale.
↲1 | Disponibile sul sito http://ecf-cartello.fr/2018/05/13/unplusun/ |
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↲2 | J. Lacan, “Atto di fondazione dell’Ecole freudienne de Paris”, 21 giugno 1964. Jacques Lacan vi presenta per la prima volta i principi del cartello. |
↲3 | J.-A. Miller, “Il cartello nel mondo”, disponibile su https://cartello.slp-cf.it/cartelli/testi-fondamentali/il-cartello-nel-mondo/ |
↲4 | Ibidem. |
↲5 | Ibidem. |
↲6 | J. Lacan, “D’écolage”, disponibile su https://cartello.slp-cf.it/sezione/cartelli/testi-fondamentali/ |
↲7 | J.-A. Miller, “Il cartello nel mondo”, disponibile su https://cartello.slp-cf.it/cartelli/testi-fondamentali/il-cartello-nel-mondo/ |
↲8 | J.-A. Miller, “La Scuola a rovescio”, disponibile su https://cartello.slp-cf.it/cartelli/testi-fondamentali/la-scuola-a-rovescio/ |
↲9 | J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, p. 27. |