Gian Francesco Arzente – Partecipare ad un cartello
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Omar Battisti – Attraversato dalla lingua dell’Altro
Nel suo testo di apertura dei lavori Ilde Kantzas ricorda l’importanza che il cartello resista in questo momento di sfilacciamento delle reti sociali. Reti sociali. Ormai è sinonimo dei social e degli algoritmi che dominano le interazioni tra profili. Non si tratta di scambi, ma del risultato di un algoritmo che ti fa vedere solo quello che hai già visto. Un algoritmo davvero potente. Al punto che mi ha suscitato una certa inquietante estraneità quando, ascoltando della musica su YouTube, questo algoritmo ha saputo riprodurre con esattezza una serie di canzoni che amo particolarmente. Le mie preferenza così prevedibili che un algoritmo è in grado di calcolarle molto precisamente, non certo per il mio piacere ma per farmi ascoltare le pubblicità che sono inserite tra una canzone e l’altra.
Tutt’altro effetto è stato prodotto dalla estraneità che ho incontrato nel lavoro di cartello per Scilicet. Un incontro in cui il caso è stato predominante. Non conoscevo nessuno degli altri cartellizzanti, tanto meno il più uno. Più uno che permesso a questa estraneità di essere per me accompagnata subito da una grande confidenza. Ogni incontro è stato un momento di lavoro davvero gioviale ed entusiasmante. L’incontro con una estraneità confidenziale: nessuna riservatezza o sospetto ma una viva curiosità di scoprire cosa sarei riuscito a dire e quello che avevano da dire questi estranei e confidenti compagni di viaggio. Tanto più che la lingua non era quella che parlo: portoghese, spagnolo ed inglese. Non parlare la stessa lingua è stata un’esperienza affascinante: per acconsentire a non padroneggiare un sapere ma ridurre all’osso il punto che si trattava per me di mettere in luce. Mi è spesso capitato di iniziare una frase in inglese, continuarla in spagnolo e finirla in francese o italiano, con quelle poche parole che avevo a disposizione.
Il primo incontro di cartello ha avuto un effetto imprevedibile e incalcolabile: un sogno che mi ha dato una chiave per la stesura del testo che stavo scrivendo, arrivando ad un punto che non avevo potute né immaginare né pensare prima di questo scambio tra le lingue.
Il cartello è quel dispositivo in cui la propria lingua è attraversata dalla lingua dell’Altro, provocando degli echi che aprono all’inatteso, disturbando l’illusione di sapere.
Ritroviamoci, a Rimini, ciascuno a parlare la propria lingua, ma con l’Altro.
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