Gil Caroz1
“Nessun progresso è da attendere (da un cartello)”, dice Lacan, “se non una messa a cielo aperto periodica dei risultati e delle crisi del lavoro.”2 Ciò significa che i risultati di un cartello non hanno niente di un sapere morto senza soggetto, che si iscrive nell’accumulo accademico. In effetti, una crisi ha un rapporto fondamentale con il sapere. Se essa testimonia di un’impotenza del simbolico a temperare un reale, essa ricorda “periodicamente alla specie umana la sua precarietà, la sua fondamentale debilità”.3 Questa comparsa di un buco nel sapere già costituito convoca necessariamente il soggetto. Spinto a nuove elaborazioni, il cartellizzante supera se stesso e guadagna terreno sul suo “non volerne sapere”. Così, la struttura nucleare della Scuola che è il cartello porta in seno il trauma iniziale che ha condotto alla sua creazione a partire da una crisi soggettiva, quella della scomunica di Lacan dall’IPA. Da allora, la Scuola “progredisce” di crisi in crisi, assumendo così l’indicazione di Jacques-Alain Miller secondo cui lo psicoanalista è “amico della crisi”.4 Giacché, se la crisi può essere fonte di lacrime e dolore, essa è anche un passaggio obbligato verso ogni elaborazione nuova, che sia a livello istituzionale, politico, teorico o soggettivo.
Un orientamento verso il reale in quanto è senza legge non può fare a meno di una messa in crisi “periodica” della verità, che faccia emergere questo reale. La serie delle “crisi di lavoro” in seno al cartello permettono allo psicoanalista in divenire di esercitarsi a mantenersi all’erta, pronto ad afferrare la palla al balzo quando appare la causa come quello che non quadra, fuori programma. In questo il cartello, che cammina mano nella mano con la passe, partecipa alla formazione dello psicoanalista. Se la fine analisi, momento di atto, implica una crisi, questa è già lì sin dall’inizio, nel momento di urgenza che spinge il soggetto verso l’incontro con uno psicoanalista per dire quello che non ha mai detto prima. “Nulla di creato che non appaia nell’urgenza, nulla nell’urgenza che non generi il proprio superamento nella parola”.5
Questa formazione alla crisi è una necessità giacché essa risponde a una serie di fenomeni clinici. Lo scatenamento, lo scompenso e lo scollegamento sono tre modi di crisi, se si considera che implicano una vacillazione del simbolico, il sorgere di un reale e, in seguito, il ripristino di una nuova forma di simbolico. D’altro canto, lo strappo del velo del fantasma è un momento di crisi che può condurre il soggetto dallo psicoanalista. Ma, non appena il soggetto entrerà in analisi, l’analista prenderà la crisi a suo carico, a seconda del caso e a seconda delle diverse congiunture della cura. In alcuni momenti, si applicherà ad attenuare le crisi nella misura del possibile. In altri momenti, si adoprerà a provocarla, con l’interpretazione, in particolare quella che disturba o che smonta la difesa, dosando al contempo l’angoscia per non superare la soglia dell’insopportabile. Durante le nostre discussioni e le nostre ricerche cliniche abbiamo tutta una terminologia per designare questi momenti crocevia in una cura: rettifica soggettiva, attraversamento del fantasma, destituzione soggettiva, caduta delle identificazioni, degli ideali, di una posizione fallica, del soggetto supposto sapere….
Se il cartello è scandito da momenti di crisi periodici è perché la crisi si presenta come una dialettica tra routine ed eventi che fanno taglio nella linea del tempo. D’altro canto, secondo Deleuze, è “il tempo che mette in crisi la verità”.6 Eppure, pensato in questo modo, il tempo in questione è quello dell’Edipo. Dopo l’Edipo il semplice modello dialettico tra routine ed evento non ci basta più per leggere i fenomeni di crisi. All’epoca dell’ipermodernità, la precipitazione degli eventi non si limita a una semplice accelerazione su una linea del tempo. Le tecnologie di punta producono una sorta di contrazione del tempo e dello spazio. La durata è ridotta all’immediatezza. Non appena un evento appare, il prossimo è già alle porte. Il modello routine-crisi-routine è sostituito dalla serie crisi-crisi-crisi… che tende all’infinito. Il passaggio tra l’istante di vedere e il momento di concludere è spesso immediato, schiacciando il tempo per comprendere.
Così il cartello, come l’analisi, forma il soggetto all’incontro con il cittadino del nostro tempo, continuamente provocato da informazioni catastrofiche e da oggetti-scarto iper-seducenti che stuzzicano le sue pulsioni perverse polimorfe. Angosce ed eccessi di consumo si mescolano. Questa corsa permanente del soggetto, da una crisi all’altra, da una contingenza all’altra, lo mette nella posizione di un topo in un labirinto, più oggetto immerso nel reale che soggetto, in una corsa folle tra una scossa elettrica e una ricompensa. Laddove, tempo addietro, il discorso del padrone ordinava un “nuota o affoga”, il discorso capitalista è più esigente e impone un “corri o crepa”. Il rovescio di questo movimento di accelerazione infinita è la fragilizzazione del legame sociale e la rottamazione di tutti quelli che faticano a seguire questo ritmo infernale. Così, al di là delle strutture psichiche, questa duplicità del soggetto che corre e di quello che “crepa” riecheggia il binario clinico della mania e della malinconia. La mania in quanto fuga in avanti che si paga in accelerazione del significante non zavorrato dall’oggetto. La malinconia, nei soggetti che, non potendone più di questa corsa, abbandonano tutto e si mettono a incarnare l’oggetto caduto dell’Altro.
Questi destini testimoniano la caduta del soggetto nel buco del sapere che fa crisi. Al contrario, se il cartello provoca delle crisi, è anche un dispositivo che spinge a fare di questi momenti di risveglio un’occasione di estrazione e di elaborazione di un sapere nuovo. L’atto spunta allora all’orizzonte.
Traduzione: Adele Succetti
↲1 | Testo pubblicato in cartello n. 20, maggio 2018, “Politique du cartel, par le Directoire de l’ECF” |
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↲2 | https://cartello.slp-cf.it/uncategorized/decolage/ |
↲3 | Jacques-Alain Miller, «La crise financière vue par Jacques-Alain Miller», Marianne, 10 octobre 2008. |
↲4 | Ibidem. |
↲5 | J. Lacan, “Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi”, Scritti, Einaudi, Torino, 2002, p. 234. |
↲6 | Jacques-Alain Miller, «Introduction à l’érotique du temps », La Cause freudienne, n. 56. |