Matteo Bonazzi – Un legame con la Scuola (Parte 2)
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Trovi qui la bibliografia dedicata al Cartel
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Il cartello è trans-
Céline Menghi
Il Cartello è un’invenzione di Jacques Lacan che si pratica nel Campo freudiano a partire dalla seconda “epopea”: prima segnata dalla scissione del 1953, poi dalla scomunica di Lacan con, nel 1964, la creazione della Scuola. È l’epopea in cui si delinea la Scuola concepita diversamente da come, al tempo di Freud, si concepiva l’istituzione analitica, calcata sul modello dell’Esercito o della Chiesa.
Il Cartello, nel 1964, si presenta addirittura come unité-cartel, dato che Lacan chiedeva che si aderisse alla Scuola in “formazione cartello” e non a titolo individuale.
Il Cartello aggrega – “Forza! Riunitevi in molti, incollatevi gli uni agli altri per fare qualcosa e poi separatevi per fare altre cose. Si tratta di sottrarsi all’effetto di gruppo che denuncio. Non ci vuole molto. Una cassetta per le lettere. Un corriere, che faccia sapere ciò che si propone come tema di lavoro. Un congresso, o meglio un forum per gli scambi. Infine, la pubblicazione inevitabile”, così dirà Lacan nel seminario inedito, Dissolution del 1980. Aggregarsi, incollarsi, dunque, ma a una condizione: che degli uno per uno, poi, non facciano più colla. Di qui l’espressione che, grazie a Jacques-Alain Miller, dà il titolo alla lezione dell’11 marzo 1980, D’Écolage, dove Lacan, invitando i suoi a fare il lavoro del lutto da una Scuola per restare con lui in una Scuola votata alla Causa freudiana, gioca con la parola Scuola e colla – per non evocare anche il decollare degli aerei!
Il Cartello, dunque, non è un Gruppo, ma, insieme alla passe e a Scilicet, in un primo tempo, e insieme alla passe e al controllo, in un secondo tempo, come ci ricorda Miller in Politique lacanienne, è un modo di afferrare la questione del gruppo[1]. Il Cartello è democratico: al suo interno il più-uno, da “agente provocatore”, sgruppa vegliando a che permanga un vuoto.
Il Cartello trans-ita lungo il percorso che ha visto e vede i mutamenti della Scuola, attraversandola e continuando ad esserne un pilastro fondamentale. Il Cartello è trans-linguistico, trans-nazionale, trans-oceanico: non bada né al luogo né al fuso orario.
Il Cartello ha una struttura mobile: è aperto a chi lo desidera, indipendentemente dall’età, dalla provenienza, dal mestiere e dal sapere, a patto che chi vi partecipa sia interessato a un altro sapere: inedito. Di-verte, sorprende. Il tempo vi trascorre in modo entusiasmante, curioso e interessante, e può farsi occasione di socialità tra degli uni-tutti-soli.
Il Cartello è il primo dispositivo della Scuola di Lacan di cui ho fatto parte parecchi decenni orsono, quando ero alla ricerca di qualcosa che mi scollasse dal pantano in cui mi trovavo: il bagno immaginario in cui le tenaglie del contro transfert mi chiudevano, mi assordavano e dove regnava il sapere del fantasma che non fa de-collare…
Nel Cartello ho colto qualcosa di ciò che si chiama transfert di lavoro e ho incontrato per la prima volta il prezioso testo che è La direzione della cura, testo che guida il mio orientamento che, nel tempo si è corredato degli ultimi insegnamenti di Lacan e di Miller. Contemporaneamente iniziavo un controllo e la seconda analisi, questa volta con un analista lacaniano analizzatosi con Lacan: non più l’analista e il supervisore della SPI.
Il Cartello è prezioso nella mia formazione. Ho partecipato anche a un Cartello all’entrata e a due Cartelli della passe. L’ultimo Cartello, terminato da poco, come anche altri mi ha portato, e ha portato coloro che vi hanno partecipato, alla scrittura, ancora in corso.
La scrittura come prodotto del Cartello, dunque. Ma di che prodotto si tratta? Potremmo dire che si tratta di un prodotto particolare, diverso dal prodotto dell’economia capitalista, costituito di quei depositi che si formano nel corso del lavoro di Cartello. La natura di tali depositi non è prevedibile fin dall’inizio, benché, come vuole la sua struttura, al Cartello si dia un titolo e ciascuno dei partecipanti scelga un tema su cui lavorare, avendo pertanto una certa idea di dove suppone di approdare, o dove vorrebbe approdare, o che cosa vorrebbe raccogliere.
Non è prevedibile la natura di tali depositi, poiché, da un lato, proprio per via dell’incontro e dello scambio di materiali che ciascuno porta e offre al lavoro del Cartello, ciascuno viene trasceso dal titolo e dal tema stessi, e, dall’altro, al contempo li trascende. Questo trascendere si aggiunge al trans-linguistico/nazionale/oceanico/spazio/temporale/che trans-ita. Di nuovo, qualcosa del trans-
Dire trans- può sembrare equivoco. Oggi conduce d’amblé in un territorio scabroso, politicamente controverso, e soprattutto clinicamente delicato, nel quale, come analisti, cerchiamo di porci di traverso al discorso comune per puntare, invece, il desiderio inconscio del soggetto, come suggerisce Miller, tenendo conto di ciò che è fuori discorso: gli imbrogli della pulsione che inchioda il così detto trans- al reale di un godimento che il rapporto sessuale non satura, perché non c’è, perché c’è la castrazione che lui, il così detto trans-, pensa di aggirare.
Ma, per uscire dalla tonalità equivoca, perché il Cartello sarebbe trans-?
Non solo il valore d’uso del prefisso mi ispira: dal latino trans- e scandĕre, abbiamo salire, oltrepassare, montare al di sopra, andare oltre, al di là.
Ma anche le prime pagine del seminario di Lacan …o peggio [2], appunto dedicate al soggetto trans. Si tratta qui di puntare quel trans- per la logica che il prefisso promette, ossia quando, anziché negarla, come vuole il soggetto trans-, trans- fa da cartina di tornasole alla piccola differenza, quella piccola differenza che non dice né il godimento né la “verità” di chi siamo, ma che c’è e a partire da cui ciascuno si arrangia con il rapporto sessuale che non c’è, e con i modi di godere singolari. Trans-, non per aggirare negando, bensì per mettere un piede, per far trans-itare verso il femminile.
Il Cartello, allora, si fa luogo di un sapere nuovo e altro, dove il sapere comune, o supposto, viene soppiantato da pezzi di verità singolari, da saperi scavati nel tutto – i depositi – come resti, ciascuno secondo il proprio “tratto”. Sapevamo? Sì, un po’, o forse, credevamo, di sapere tutto!? ma nel Cartello, dove il vuoto e la destituzione di sapere acquisiscono uno spazio cruciale si può essere spiazzati, si può cambiare rotta, secondo una logica che fa trans-migrare, nel buon modo, in una terra sconosciuta, tra resti del linguaggio, lettere da scrivere.
NOTE
Lacan J., Séminaire de la Dissolution, “D’Écolage” (11 mars 1980), Ornicar? n° 20-21, éd. Lyse, Paris 1980,
[1] J.-A. Miller, Politique lacanienne. 1997-1998, Collection éditée par l’ECF, p. 47.
[2] J. Lacan, Il Seminario. …o peggio, Einaudi, Torino, 2020, pp. 5-17.
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