Virginie Leblanc1
Questo testo è un estratto dell’intervento di Virginie Leblanc a “Question d’École” dell’École de la Cause freudienne, il 1° febbraio 2020.
Per interrogarsi sull’attualità del cartello della nostra Scuola, si potrebbe reiterare l’esercizio dei Lumi e l’uso che essi fecero, all’epoca, dello sguardo dello straniero, il cui occhio erroneamente ingenuo produceva un sapere nuovo. In Montesquieu, per esempio, Usbek e Rica, appena sbarcati dalla loro Persia lontana, scoprivano la Francia e i suoi costumi, così stupefacenti mentre i borghesi parigini, sconvolti dalla differenza, rinviano loro il famoso interrogativo “Come si può essere persiani?”2
Chiunque si interessi da una certa distanza alla nostra esperienza del cartello ne sarà intrigato nello stesso modo. Il “cartello”, che sembrerebbe evocare più una pratica segreta che non la riunione di seri e decisi lavoratori del campo psi, che strana attività comunque! Nel XXI secolo, mentre il sapere universale si trova a portata di un clic e nella comodità della propria poltrona, spostarsi tardi la sera, per lavorare su un testo spesso estremamente difficile, presentarne la propria lettura, confrontarla con quella degli altri, ripartire contenti e/o a mani vuote, ritornare, rileggere…. “Come si può effettivamente essere cartellizzante?” […]
Nel cartello, come in tutti i luoghi in cui circola il sapere analitico, la trasmissione si fonda su una supposizione di sapere. È persino la caratteristica principale del sapere derivante dall’inconscio, che sia supposto, e non nel reale, come ricorda Jacques-Alain Miller nel suo corso. Questo “sembiante di sapere”3 è strutturale, per il fatto che, nel discorso analitico, l’S2 non è mai prodotto alla luce del sole. Strutturalmente, comporta quindi anche il rischio che possa scomparire, a forza di continuare a restare in tale stato di supposizione che potrebbe condurre, se non ci si fa attenzione, al fatto che non sia che un sapere premasticato o rimasticato, ivi compreso e soprattutto nelle società analitiche che ne sono le custodi.
Si coglie qui sino a che punto il cartello appare come una risposta estremamente solida a simili deviazioni o compromessi, per riprendere il termine di Lacan: giacchè colui che, al termine di un lavoro solitario, esce dall’autoerotismo della lettura per venire a incontrare tre o quattro altri e tentare di consegnare un pezzo di quello che ha colto del testo si obbliga innanzitutto a non restare più in un sapere supposto, ma espone e si espone al contempo.
Questo studente così particolare esamina in questo modo un oggetto di studio estremamente singolare per il fatto che lo concerne dapprima innanzitutto: giacché non può che provare, e provarlo corporalmente, quanto i concetti analitici che tritura sfuggano, poiché poggiano su un vuoto o meglio girano attorno a un buco, il buco “al cuore, al centro del reale”4 che frattura la bella unità del pensiero, sempre secondaria. […]
Concludiamo con Lacan: “che ciascuno ci metta del suo. Forza. Mettetevi in molti, incollatevi insieme il tempo che ci vuole per fare qualcosa, e poi dissolvetevi dopo per fare dell’altro”.5 Fino all’ultimo Lacan ha portato e rivendicato, per la sua Scuola, nella sua stessa parola, questo dispositivo così specifico per mantenere la psicoanalisi viva, e i suoi praticanti sulla breccia. Questa parola si fa sentire ancora oggi. Sta a noi continuare il compito facendone esistere e vibrare le risonanze.
Tradotto da Adele Succetti
↲1 | Articolo pubblicato in https://www.hebdo-blog.fr/le-cartel-en-corps/ |
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↲2 | Montesquieu, Lettere persiane (Lettres persanes) (1721): trad. it. di G. Alfieri Todaro-Faranda, Milano, Rizzoli, 1952 (nona ediz. con Introduzione e Note di Jean Starobinski, 2009). |
↲3 | J.- A. Miller, “Della natura dei sembianti”, ne La Psicoanalisi, n. 14, 1993, p. 112. |
↲4 | J. Lacan, “Il fenomeno lacaniano”, ne La Psicoanalisi, n. 24, 1998, p. 21. |
↲5 | J. Lacan, Le Séminaire, «Dissolution», leçon du 18 mars, 1980, Ornicar ?, nn. 20-21, été 1980, p. 18. |