Carla Antonucci
Il tutto sembra essere nato a Torino, mi sono detta, almeno formalmente. Dovrò studiare un po’, farmi un’idea. Non ho dovuto fare una grande ricerca… il caso ha fatto sì che le cose per me questa volta fossero più semplici e lo devo al caro Sergio Caretto che mi ha chiesto di entrare a far parte della schiera di persone che stanno cercando di portare a termine il lavoro di Appunti Vintage. Al mio dire sì ha fatto seguito l’invio del numero 79 di Appunti. I miei occhi non potevano crederci… che fortuna! Un numero completamente dedicato alla raccolta di contributi consacrati alla lettura del Discorso di Torino di Jacques Alain Miller, e quali contributi ragazzi!
Ecco la Scuola Evento, Miller dirà “Se il figlio dell’Uomo è nato in una stalla, lo spirito della psicoanalisi può soffiare anche a Torino…”,1 un miracolo… gli psicoanalisti italiani riescono ad unirsi in una collettività, nasce la SLP. Sebbene dunque la psicoanalisi sia un’esperienza a due, essa è collettiva. In che modo però la SLP si differenzia dagli altri collettivi, visto che il collettivo poi incorre in quei problemi di cui Freud ci parla in Psicologia delle masse e analisi dell’io?
I collettivi ci dice Di Ciaccia nel suo contributo2 si equivalgono nella misura in cui tutti si poggiano, tramite l’identificazione, all’Ideale dell’io. Al contempo rispetto alla funzione di enunciazione attinente all’Ideale dell’io i collettivi si differenziano a seconda che l’enunciazione alimenti “l’alienazione soggettiva dell’ideale” o che l’enunciazione, tramite l’interpretazione, “rinvia ognuno dei membri della comunità alla propria solitudine, alla solitudine del suo rapporto con l’Ideale.” Il primo tipo di enunciazione è massificante, il secondo invece è demassificante. Nel primo caso avremo che ogni membro del collettivo equivale al proprio simile, si avrà una grande coesione a scapito della creazione. Nel secondo caso, l’Ideale rimane nella sua funzione, ma attraverso l’analisi, non è più lo stesso prima e dopo. Con l’analisi si intravede quella singolarità che è all’origine del rapporto che ognuno intrattiene con l’Ideale. Si tratta una singolarità che segna l’analista come eccezione. Lo segna come eccezione in un collettivo che è bifronte, un collettivo in cui tutti sono uguali per un verso mentre per l’altro ognuno è un’eccezione.
Sarà sempre Di Ciaccia nello stesso testo a sottolineare quanto Miller mettesse l’accento sulla necessità di render conto della passione che muove, uno per uno, i componenti della Scuola circa la Cosa analitica. Non basta essere presi dalla passione, bisogna saper dire qualcosa che anima, in modo logico, questa passione, saperla trasmettere. Non è forse questo il compito degli AE?
Certo però non possiamo essere tutti AE, dunque come introdurre la differenza assoluta in seno al collettivo che vuole essere luogo della trasmissione e della formazione degli psicoanalisti?
Senza alcun dubbio in Lacan troviamo associati, a più riprese, la logica del gruppo e la paralisi dell’invenzione di sapere nel campo della psicoanalisi. In effetti in RSI dirà: “Che cosa mi auguro? L’identificazione al gruppo. Perché è sicuro che gli esseri umani si identificano ad un gruppo. Quando non si identificano ad un gruppo, sono fottuti, sono da rinchiudere…”3
L’insieme degli psicoanalisti segue la logica della sessuazione femminile in cui l’insieme non è formato a partire da una qualità comune. Gli psicoanalisti sono un insieme di singolarità. La Scuola si riunisce intorno a una causa e ciascun membro ha un rapporto singolare con essa, come dirà Marco Focchi4, la Scuola non ha estranei, non ha un vero esterno, né un interno. Ma questo mi fa pensare immediatamente al cartello. Perché? Il cartello è un organo di base della Scuola. I partecipanti del cartello possono o meno essere membri della Scuola. Si situa al confine della Scuola: dentro e fuori contemporaneamente così come si situa al confine tra il lavoro in estensione e intensione. Potremmo dire che assicura questa dimensione del non tutto della Scuola. Inoltre il cartello, come gli AE, è a scadenza, ha una durata determinata. C’è il fattore tempo nel cartello da non sottovalutare, esso si sviluppa secondo una temporalità a termine, si tratta di un percorso, una “traversata” se mi concedete il termine. Si fonda anch’esso sul gruppo ma la produzione di fine cartello verte sull’uno per uno, sulla singolarità. Il fatto che si sappia in anticipo che il cartello non possa durare più di due anni, introduce a qualcosa della fretta nella produzione della elaborazione di un sapere e al contempo fa da ostacolo alla formazione dei fattori negativi tipici di un gruppo.
Inoltre è fondamentale la figura del Più-Uno… non si tratta del leader nel gruppo, si tratta di una funzione, una struttura propria a tutte le formazioni collettive. Se le identificazioni e la figura del leader nel gruppo servono a mascherare la dimensione irriducibile del reale, il Più-Uno serve a mostrare l’incompletezza del sapere e l’inconsistenza dell’unità del gruppo. La sua funzione di operatore logico permette, da una parte di annodare i membri del cartello tra di loro attraverso il transfert di lavoro, del quale può esserne l’agente, e dall’altra permette di sostenere l’identificazione dei cartellizzanti, non a un ideale, ad un leader del gruppo ma ad un punto del gruppo, quello che Lacan chiama “identificazione al punto centrale del nodo”5, un punto di mancanza nella struttura permettendo così di ridurre il godimento nel gruppo. Il cartello dunque diventa un luogo in cui si sperimenta una sorta di disciplina della mancanza di godimento del gruppo, una prova di logica collettiva, come Miller auspica nella sua Teoria di Torino, che apre un nuovo posto al sapere nella Scuola.