Caroline Leduc1
L’ingresso in cartello è spesso il primo passo verso la Scuola e la formazione analitica, o verso la cura. Uscendo allo scoperto dopo aver assistito ad alcune conferenze o a dei seminari in posizione passiva, l’aspirante si impegna in un’esperienza in cui il suo desiderio di sapere è convocato. Se può attendersi dal più-uno che gli fornisca risposte alle sue domande come un maestro classico, capita, quando il cartello funziona, che venga messo in crisi. Sono piuttosto dei pezzi di sapere che emergono, sparsi, talvolta contradditori, mai conclusivi. Un sapere un po’ deludente, insomma, ma che non produce nessun disincanto poiché palpita di desiderio. È un sapere che tiene col fiato sospeso: lì c’è qualcosa di supplementare da sapere.
Il ruolo del più-uno è cruciale nell’operazione, ma prende una piega inaspettata. Non si tratta di fare l’insegnante, sottolinea Jacques-Alain Miller: “quando un cartello termina con un risultato del tipo “qualcosa che non si può dire” (…) questo mi pare il segno che c’è stato del padrone in partenza, di cui non ci si è liberati. Non trovo affatto, in questa impotenza, la prova che si avrebbe, in questo caso, un cartello eccellente”.2 Non si tratta neppure di fare l’analista. Il più-uno è condotto a trattenersi dal mettere in funzione il supposto sapere, ovviamente presente, come farebbe nella cura: “Se il cartello ha ritenuto di cooptare un analista e quest’ultimo si limita a questo, il che in un cartello significa cazzeggiare, il risultato è noto: i partecipanti perdono tempo. É la struttura del discorso analitico, ma trasposto al cartello, con, come unico risultato, la denuncia di alcuni significanti-padroni – il che mi sembra comunque un po’ poco.”3
Così Lacan aggiungeva la necessità del carattere “qualunque” del più-uno, anche se si tratta di qualcuno.4 In altri termini, il più-uno, che lavora come gli altri il suo tema di cartello, vi è invitato come soggetto mancante sapere. É scelto dai tre o quattro altri, il che lo mette in posizione di leader del gruppo, ma un “leader povero”, “investito debolmente”.5 In questa debolezza, in questo incavo, abita il transfert verso la Scuola che vettorizza la messa al lavoro comune.
Jacques-Alain Miller sostiene così, in modo sorprendente se ci si pensa, che il discorso adeguato al lavoro in cartello è quello dell’isterica, di cui ricorda l’affinità con il discorso della scienza. Si tratta nondimeno di produrre un sapere, e il discorso isterico è esperto in questo, a condizione di ingannare l’obiettivo di ridurre il padrone all’impotenza. Per questo motivo, il più-uno non fa il padrone, e proprio per questo Jacques-Alain Miller indica che si tratta che i membri del cartello “lavorino a partire dalle loro insegne e non dalla loro mancanza-ad-essere.”6 A partire dalle loro insegne, vale a dire da un sostegno già sintomatico.
In questa ottica, non ci si accorge a sufficienza della sovversione contenuta nell’atto di Lacan di fare del cartello “l’organo di base”7 della Scuola: vi lavorano dei non membri con il supporto di un discorso isterico ben maneggiato, sgonfiato. Benché Jacques-Alain Miller si sia chiesto, a un certo punto, se si dovesse distinguere i cartelli della Scuola (ECF) da quelli delle ACF,8 nulla fu fatto per fare esistere questa distinzione che avrebbe potuto abolire questo scandalo misconosciuto del cartello. Al contrario, lo chiarisce meglio: “per il fatto che il cartello è contemporaneo alla creazione della Scuola, possiamo supporre che esso sia congruente con il concetto della Scuola”. É una Scuola, pertanto, che acconsente ad essere decompletata da quello che non è lei, lavorata dalle questioni che agitano coloro che la vogliono e che potrebbero celare il suo divenire.
“Il pro-cartello è anti-autoritario”,9 indica ancora Jacques-Alain Miller, giacché scorge quello che anima la Scuola dall’altro lato del consiglio direttivo, definito come “comitati di gestione”, “che mescolano innumerevoli questioni, a cui si sottopone il proprio lavoro, e che rispondono con un sì o con un no.”10 – e che tentiamo di non essere solo quello. All’altro lato, c’è il lavoro spesso oscuro e umile, ma cruciale, del cartello. “Nessun progresso è da attendere, se non una messa a cielo aperto periodica dei risultati e delle crisi del lavoro.”11 Eppure cruciale, poichè intrinsicamente articolato a un fallimento.
Così, il dispositivo del cartello lavora la Scuola tramite il fallimento e la conduce a cambiare non proferendo in modo spettacolare una nuova dottrina o le decisioni politiche delle sue istanze, ma perché fa camminare “nelle profondità del gusto”12 e nel suo legame sociale la soggettività delle future generazioni di analisti.
Traduzione: Adele Succetti
↲1 | Articolo pubblicato in Cartello n°20 – Politique du cartel, par le Directoire de l’ECF, maggio 2018. |
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↲2 | J.-A. Miller, “Cinque variazioni sul tema dell’elaborazione provocata”, https://cartello.slp-cf.it/newsletter/newsletter-1/cinque-variazioni-sul-tema-della-elaborazione-provocata/ |
↲3 | Ibidem. |
↲4 | J. Lacan, “D’écolage”, https://cartello.slp-cf.it/uncategorized/decolage/ |
↲5 | J.-A. Miller, “Il cartello nel mondo”, https://cartello.slp-cf.it/cartelli/testi-fondamentali/il-cartello-nel-mondo/ |
↲6 | J.-A. Miller, “Cinque variazioni sul tema dell’elaborazione provocata”, op. cit. |
↲7 | Ibidem. |
↲8 | J.-A. Miller, “Il cartello nel mondo”, op. cit. |
↲9 | Ibidem. |
↲10 | J.-A. Miller “La Scuola a rovescio”, in https://cartello.slp-cf.it/cartelli/testi-fondamentali/la-scuola-a-rovescio/ |
↲11 | J. Lacan, “D’écolage”, op. cit. |
↲12 | J. Lacan, “Kant con Sade”, Scritti, Einaudi, Torino, 2002, p. 764. |