Mariangela Mazzoni
Enrico ha da sempre paura dei temporali: quando la pioggia cade con insistenza sul tetto ed il vento ulula forte vicino alle finestre non riesce a stare fermo, si agita tantissimo. A nulla valgono le parole rassicuranti della madre.
La madre mi chiama in questi giorni perché, con l’emergenza legata al coronavirus, non riesce più a tranquillizzarlo, la rottura degli equilibri giornalieri e l’impossibilità di vedere la maestra ed i suoi compagni di scuola, la proibizione ad uscire da casa, fanno credere a Enrico che il pericolo sia un po’ ovunque. Non può venire in colloquio, non può uscire di casa e di colpo quest’ultima sembra essere piena di cose che lo agitano e preoccupano.
In poco tempo la paura che prima era localizzata sugli eventi atmosferici è entrata in casa e così lui mi racconta nella nostra seconda videochiamata, che non apre più la porta dell’armadio della sua cameretta: Dietro si nasconde sicuramente un mostro. Penso che un movimento ulteriore rispetto alla prima telefonata, in cui si sentiva preda di una preoccupazione generale che gli impediva di stare tranquillo, alla seconda vi sia già stato.
Il Cartello sull’angoscia in cui posso confrontarmi su questi temi, mi viene in aiuto in questo tempo di difficoltà che accomuna tutti ma che è vissuto da ognuno in maniera diversa e più intima. Il tema scelto non poteva esser più attuale. La riflessione ed il dibattito che ne emerge apre a più letture per ognuno dei partecipanti.
Mi si offre una riflessione quindi anche a partire da alcuni elementi del racconto di Enrico e delle sue paure. Per la psicoanalisi la paura è una elaborazione del soggetto, un’elaborazione dell’angoscia, per così dire, che invece è qualcosa di più generalizzato e de-soggettivato. L’angoscia è un affetto, ve ne sono altri certamente sì, ma l’angoscia ha uno statuto speciale: è qualcosa di opaco, di difficile decifrazione e il soggetto, nello sperimentarla, vi si trova in balia. Lo “perturba” poiché ha in sé qualcosa che lo riguarda e che lo rende comunque estraneo a sé stesso.
Per Freud nel testo Inibizione Sintomo e Angoscia1, l’angoscia è un segnale di pericolo. In questo senso ha una funzione positiva, che verrà ripresa e rivisitata anche da Lacan già nel Seminario sulla relazione d’oggetto2, il IV. Ma Enrico per cosa deve attivarsi mi chiedo, cosa lo angoscia in questo tempo contingente a cui nessuno può sottrarsi e che a limite ci porterebbe a dire che il pericolo è fuori, e ci farebbe chiudere in casa?
Lacan rilegge paura e fobia come tentativi di protezione da parte del bambino dall’angoscia che cerca, con un movimento, di elaborarla e di circoscriverla. La possibilità di strutturare una paura e poi una fobia mostra come il piccolo Hans possa, in fondo, tentare di passare da una posizione di assoggettamento all’Altro ad una posizione di soggettivazione: Da piccoloa dunque a soggetto barrato.
Strutturando un sintomo che gli consenta di circoscrivere in tal modo l’angoscia, il bambino muove un passo, relegando ciò che non si può gestire in un piccolo cerchio preciso. L’essenza stessa del pericolo, l’angoscia, sembra sorgere nel campo dell’Altro come qualcosa di indecifrabile, di cui si fatica a dire, fin tanto che non si può “creare”.
La contingenza legata al pericolo reale di contagio del COVID-19 ha fatto sì che tutto il lavoro di localizzazione della fobia di Enrico crollasse, facendo cadere nuovamente il soggetto nell’angoscia. Questa volta però il pericolo non arriva dall’esterno, come sarebbe stato scontato credere, ma da un luogo prima sempre stato sicuro, la casa.
Questo sembra mettere in luce qualcosa dello statuto stesso dell’angoscia, che per Lacan nel Seminario X3 è qualcosa che sorge quando viene a mancare la mancanza, e che sarà oggetto di approfondimento in questo nostro Cartello.
Molti sono i bimbi che iniziano un percorso di terapia portati dai genitori, perché qualcosa di loro non risponde a quello che il sociale contemporaneo richiede o all’idea del bambino perfetto: Si va dalla scarso rendimento scolastico, alla fatica nelle relazioni con i compagno o con gli adulti di riferimento fino all‘ essere in qualche modo “iper” come nel caso di Enrico.
L’angoscia riemersa con forza e subito rimbrigliata in una paura “chiusa dietro la porta” sembra accennare a qualcosa d’altro che andrà elaborato e “riaperto” ancora.
Anche nel nostro cartello il lavoro ha di mira qualcosa che resta aperto: “…ho indicato che la funzione angosciante del desiderio dell’Altro è legata precisamente a questo: non so quale oggetto a io sia per tale desiderio”. Cit.4