Aurora Mastroleo
L’improvvisa ordinanza ministeriale di domenica 23 febbraio ha attraversato e orientato l’incontro del nostro Cartello, previsto per il successivo lunedì mattina. In particolare lo stallo delle linee ferroviarie e la chiusura di tutte le scuole hanno causato qualche difficoltà organizzativa al nostro appuntamento ma il tema scelto, e cioè la paura, è risultato quanto mai adatto alla contingenza sociale di quella mattina.
Già da qualche tempo piovevano dal sociale significanti destinati a “far da padrone”: contagio, focolaio, quarantena; ma dal 23 Febbraio a Milano questi si sono articolati a nuovi imperativi sociali, quali: disinfettare, isolare, azzerare le folle, denunciare i casi, producendo così effetti nuovi. Infatti in quella domenica di fine Febbraio la Regione Lombardia, la Provincia di Milano e la nostra Città hanno sollevato una cortina difensiva in un assetto mai conosciuto in questo Secolo, avvertendo: la minaccia è alle porte di Milano… forse potrebbe essere già in casa nostra.
Lacan nel Seminario X interroga la differenza tra angoscia e paura sottolineando la funzione dell’oggetto. La contingenza del nostro incontro ci porta a constatare che l’oggetto della paura, l’oggetto opaco battezzato Covid-19, poteva forse circolare anche tra noi e le Istituzioni stavano rispondendo a ciò con una nuova costruzione di sapere e di potere: Zona Rossa, che prevede una serie di disposizioni precauzionali, in primis l’isolamento dei Comuni maggiormente contagiati. Tali disposizioni cristallizzano un sapere utile a fornire una nuova distribuzione dello spazio, suddividendo aree da evitare e da attraversare e indicando quali “precauzioni” adottare in base a dove ci si trova. Zona Rossa in effetti offre un servizio straordinario alla collettività perché, come la fobia per il piccolo Hans, consente di localizzare, circoscrivere la minaccia. Zona Rossa, difendendoci dall’incontro con il Covid-19, ci difende dall’angoscia. E’ quanto scrive Lacan nel Seminario IV ed è quello che sperimentiamo con l’Ordinanza Zona Rossa e proviamo a mettere in parola grazie al Cartel.
La via fobica risulta assai confortevole anche nella clinica: evitare l’incontro tra corpi, anche solo la vicinanza, privilegiare il canale virtuale. Una sola perplessità. Nel Seminario V, Lacan scrive: “Vi rendete conto che per il fobico i momenti di angoscia si producono quando percepisce di aver perso la sua paura, quando cominciate a togliergli un po’ della sua fobia. E’ proprio in quel momento che egli dice – Oddio! Non va. Non so più in quali posti mi devo fermare. Perdendo la mia paura, ho perso la mia sicurezza”.1 Dunque l’angoscia, cioè quel resto che emerge e si avvicina al soggetto quando la difesa fobica vacilla – come quella elevata attraverso Zona Rossa – sarà trattabile nell’incontro virtuale?
La via alternativa alla fobia è il diniego: accomodarsi nel negazionismo che porta a esprimere dissenso per le misure cautelative, ritenere inverosimile o irrealistico che un Virus possa mettere a repentaglio i sistemi di sapere e i dispositivi sociali del Ventunesimo secolo. Insomma: “ma va là!”
Inizialmente gli stessi scienziati sembravano oscillare nelle loro dichiarazioni tra diniego e difese fobiche. Anche noi grazie al dispositivo del Cartel dibattiamo, parliamo. Si tratta di scegliere: come prendersi cura oggi della nostra condizione di essere umano fragile? La terza via, quella che risulta forse più impervia, porta ad attraversare la paura, prima di tutto la paura di non sapere – non sapere bene cosa fare – e a fare i conti con l’angoscia, cioè provare a dire qualcosa, ciascuno il proprio discorso.
C’è un’altra novità in questo inedito lunedì mattina: i pazienti chiamano o scrivono per domandare cosa devono fare con gli appuntamenti presi per le sedute. Sono confusi, alcuni domandano: “Avete ricevuto “disposizioni”? Finito il nostro incontro di Cartel è nuovamente la strada impervia della psicoanalisi ad orientare la mia risposta, e cioè mi dispongo all’ascolto: provare ad interrogare uno per uno, cosa fa paura a ciascuno.
Nei giorni successivi con sorpresa constato che interrogare il soggetto mirando all’oggetto, affaccia su nuove questioni. In effetti ciascuno ha la propria paura e articola i significanti del discorso sociale con le proprie questioni soggettive particolari e con le molteplici paure infantili.
Un paziente dirà: “ho paura di subire una brutta influenza”. La brutta influenza che teme è quella proveniente dalla madre che gli telefona in apprensione più volte al giorno. Lo ha sempre voluto mettere “sotto una campana di vetro”. Un lapsus segnala che la campana di cui parla non è di vetro, ma di-vieto. Il divieto di rivelare il segreto di famiglia, il divieto di parlare.
Un’altra paziente, originaria del Sud, ha preferito rinunciare al viaggio di rientro nella sua casa natale perché teme di non essere ben accolta e rimanere intrappolata in quarantena precauzionale. Questa condizione le pesa, le causa una costrizione sul petto come quella che descrivono dei sintomi della polmonite. Per lei il peso è non sentirsi ben voluta e “lasciata sola”. Così si sentiva quando era bambina, figlia unica, sola con la propria madre in attesa che il padre arrivasse. Questa sua sofferenza non è mai stata espressa, sua madre non l’avrebbe capita, perché lei “sta bene da sola”.
Mi trovo a concludere questa breve riflessione all’indomani della dichiarazione di Pandemia da parte dell’Oms. Oggi la costruzione fobica cristallizzata in queste settimane vacilla. Le diverse disposizioni in materie di Covid-19, si sono rivelate scarsamente efficaci e il Governo emana l’Ordinanza di chiusura – Io resto a casa – che estende la Zona Rossa ai confini nazionali. Da oggi sarà l’infettivologia a orientare la politica internazionale e nazionale? Forse sì, tuttavia qualcosa sfugge. Ciò che sfugge alla misura difensiva promossa emerge oggi nelle parole dei Medici Italiani, poco attrezzati dallo Stato e duramente messi al lavoro. Una paziente medico domanda di aumentare le sedute, dice “vediamoci di più”, l’incontro in studio è per lei “un incoraggiamento”.
Freud, che anche lui era un medico in un’epoca storica in cui le gravi minacce erano le guerre e non si chiamavano globali ma mondiali, nel 1927 scriveva:
“Possiamo ribadire all’infinito che l’intelletto umano è senza forza a paragone della vita pulsionale, e in ciò avere ragione. Eppure in questa debolezza c’è qualcosa di particolare: la voce dell’intelletto è fioca, ma non ha pace finché non ottiene udienza. Più e più volte pervicacemente respinta, riesce alla fin fine a farsi ascoltare. Questo è uno dei pochi punti che consentono un certo ottimismo per l’avvenire dell’umanità”
S. Freud, L’avvenire di un’illusione, in Opere, Vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino, pag. 482.
Ascoltare la voce, la componente pulsionale della voce, questo può restituire un certo ottimismo?