Cartelli della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano
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Il cartello come indicatore della salute di una Scuola

Pubblicato il 7 Aprile 2020

Florencia Medici

“Dati, dati, dati”, sono questi gli elementi sui quali, ultimamente e non solo, si basano le decisioni per affrontare qualsiasi fenomeno: dall’ingegneria alla matematica, dalla sanità alla politica. Di solito i dati sono numeri (misure, cifre, quantità). Sappiamo però che nell’ambito psicoanalitico vale il “caso per caso”, quindi, noi con i dati non ci facciamo granché. Invece ogni tanto dovremmo prenderli in considerazione, magari non per mettere in campo delle strategie (oppure si, a volte) ma per farci interrogare da loro. Il mio interesse ricade oggi sul cartello, questo particolare dispositivo della Scuola di Lacan e sulla quantità di cartelli italiani come punto vitale di una Scuola che spesso è in “in riserva”.

La SLP è formata da circa 250 persone tra membri e partecipanti e da molti altri che non hanno, ancora, voluto inserire il loro nome proprio in questi elenchi ma che hanno un transfert con essa o con la psicoanalisi in generale. Il dato che ora mi colpisce è il numero di cartelli attualmente in corso: 31, solo 31! Tenendo conto che diversi cartelli sono formati da persone che non fanno parte della Scuola, altri cartelli non sono iscritti dall’anagrafe dei cartelli (voglio pensare che ce ne siano molti in questa situazione), dobbiamo però accettare il dato, ora sì, che sono pochi rispetto al numero di iscritti. Cosa vuol dire? Di cosa ci parla questo dato?

La prima spiegazione che mi viene in mente riguarda proprio la particolarità del dispositivo: la necessità, pensata molto bene da Lacan rispetto alla Scuola, di far parte di un cartello a partire da una mancanza. Occorre fare i conti con un meno di sapere per ingaggiarsi come cartellizzante, dunque, se non ci sono tanti cartelli, potrebbe essere dovuto al fatto che non ci manca il sapere? Ergo, noi sappiamo.

Siccome questa risposta non mi soddisfa, provo con un’altra: mettersi nella posizione passiva rispetto al sapere è la questione, cioè di ascolto, non tanto di enunciazione. Il cartello potrebbe essere pensato come una ricerca alla quale si accede, insieme ad altri, da un dubbio, una domanda, una suggestione. Si tratta forse di provare a lavorare come i muratori: costruire intorno al vuoto a partire da un interesse soggettivo, in un piccolo gruppo.

Altra ipotesi: pochi cartelli sono attivi perché non ci piace farci vedere “bisognosi” di sapere. Il dispositivo del cartello mette sullo stesso piano i suoi membri, tutti sono chiamati alla costruzione, non fa distinzioni di età, esperienza clinica, titoli acquisiti, residenza o altro. Lacan sapeva che, come in ogni gruppo, l’aspetto immaginario avrebbe potuto mettersi di traverso rispetto alla vita della Scuola, il cartello è quindi una sua risposta alle resistenze immaginarie; tutti al lavoro! “Quanti verranno in questa Scuola si impegneranno a svolgere un lavoro sottoposto a un controllo interno ed esterno”1, l’impegno è chiaro ed è nell’“Atto di fondazione”.

Bisogna saper non sapere, lo abbiamo sentito tante volte. È un sapere del quale non possiamo fare a meno in studio, in istituzione, anche nella Scuola. Il cartello è un’invenzione che può rendere fertile il non sapere in una configurazione plurale, con altri che non sanno. Così come nella clinica non possiamo lavorare se non a partire dall’adozione di una certa posizione, anche il cartello dice di una Scuola che sa mettersi in ascolto e al lavoro, entrambi aspetti necessari per farla progredire. Mentre la scarsità di cartelli mi fa propendere per una mancanza di vita di Scuola e di connessione tra i loro integranti.

L’elaborazione alla quale si accede attraverso la costruzione resa possibile dal funzionamento del cartello è un prodotto che va condiviso con la Scuola, attraverso le Giornate a essi dedicate, la neonata Newsletter, incontri organizzati dalle Segreterie di città. Occorre che qualcosa precipiti e si stacchi da questo piccolo gruppo, una nuova produzione deve emergere, non necessariamente qualcosa di nuovo o di insolito ma sicuramente una traccia che renda conto del percorso costruito. Lacan ci invita a riprendere i dadi e rimescolarli, lanciandoli sul tavolo acquisiranno una nuova disposizione e il gioco potrà continuare: “Forza. Mettetevi in più persone, incollatevi insieme il tempo necessario per fare qualcosa e poi dissolvetevi dopo per fare dell’altro”2.

La chiusura del cartello è, così come l’iscrizione, un atto simbolico segno della capacità dei partecipanti di accettare che la castrazione è in vigore anche per quanto riguarda la vita del cartello.

Note
↲1 J. Lacan, “Atto di fondazione”, Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 229.
↲2 J. Lacan, Il Signor A. Disponibile su: https://www.wapol.org/it/las_escuelas/TemplateArticulo.asp?intTipoPagina=4&intEdicion=1&intIdiomaPublicacion=7&intArticulo=160&intIdiomaArticulo=7&intPublicacion=10

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