Il cartello nel mondo
Jacques-Alain Miller
Ho scelto questo titolo perché volevo esprimere e mettere in chiaro un pensiero che mi tormenta da molto tempo. Qualcosa m’infastidisce riguardo al cartello nel mondo. È il mio punto di partenza. Mi ha condotto altrove, rispetto a dove credevo di andare*.
Una mancanza d’entusiasmo
Nel 1979 ho inventato, con Éric Laurent, il Catalogo dei Cartelli. Oggi ci sono cinque Scuole del Campo freudiano e ci sono cinque Cataloghi, con la stessa copertina e le stesse rubriche. Molto bene. Ma non c’è, forse, molto formalismo? Nel mondo sento, mi sembra di sentire – posso sbagliarmi e certamente sarò smentito, se non qui, altrove – una certa mancanza d’entusiasmo per il cartello. Non sento mai colleghi lontani che parlino del loro cartello. Non vedo riferimenti al lavoro in cartello. Non colgo dell’emozione, quando dei colleghi parlano del cartello. È un dato di fatto che la tradizione non è il cartello, ma il corso magistrale. In Argentina, dove l’Università è stata imbavagliata a lungo, dove è rimasta per molto tempo arcaica nei suoi metodi, ci si è diretti verso dei maestri che dispensavano i loro insegnamenti fuori dalle università – dei maestri che non erano maestri grazie ai loro diplomi, ma per il loro carisma. Questo è stato trasferito in Spagna e in Brasile.
Il più-uno del cartello, che è il leader funzionale di un gruppo minimo, non satura la domanda di carisma. Il più-uno è un leader, ma è un leader modesto, un leader povero. L’agalma che lo sostiene non è densa. Egli è investito debolmente. È, per così dire, dotato di carisma forza quattro, mentre, perlomeno nei paesi latini, si vuole – così pare – un carisma d’ordine superiore, l’investimento massiccio di un più-uno che sia anche un oratore. L’esigenza di una mediazione orale, per poter avere accesso allo scritto, è qualcosa di struttura, ma, anche quando lo scritto è meno presente nella formazione, tale mediazione talvolta diventa un fine in sé, si converte in una sorta di guida immaginaria.
In breve, spesso, quando altrove si evocano i cartelli, ho la sensazione che vi entri un qualche sembiante, che vi sia una certa forzatura, che sia un po’ una finta. Dicendo questo, non sarò ben visto. Non mi farò ben vedere altrove. Con quello che sto per dire ora, non mi farò ben vedere qui. Sto provocando perché mi si risponda. Provando, a tentoni, a riflettere su questo disagio relativo al cartello nel mondo, sono stato condotto a far ritorno alle origini del cartello e a fare ritorno anche su quello che noi qui abbiamo fatto del cartello.
Alle origini del cartello
Il cartello, a differenza della passe, è contemporaneo alla creazione della Scuola. Noi abbiamo avuto delle Giornate sulla Scuola e sull’esperienza della passe durante la dissoluzione dell’École freudienne de Paris e, all’ECF, sul concetto della Scuola e sull’esperienza della passe; non abbiamo mai avuto, invece, delle Giornate sulla Scuola e sull’esperienza del cartello. Nondimeno, per il fatto che il cartello è contemporaneo alla creazione della Scuola, possiamo supporre che esso sia congruente con il concetto della Scuola e possiamo chiederci in che modo lo sia.
Faccio due osservazioni preliminari: la prima verte sull’attualità del piccolo gruppo nel 1964, nel momento in cui Lacan ha creato la sua prima Scuola. A quell’epoca, l’idea del lavoro in piccoli gruppi, della formazione a partire dal piccolo gruppo, era stata messa all’ordine del giorno, alla Sorbona, dagli studenti di Lettere, in particolare dal loro sindacato – sindacato di agitatori, non di dirigenti – la F.G.E.L., la Federazione generale degli Studenti di Lettere, che aveva promosso la necessità di quelli che essi chiamavano dei G.T.U., dei gruppi di lavoro universitario, invitando gli studenti a lavorare insieme, su una base egualitaria, senza i “prof” o con il minor numero di “prof” possibile. Era un modo di opporsi al corso magistrale, pratica considerata reazionaria. In tale proposta c’erano i prodromi del maggio 1968. L’idea di una formazione in piccoli gruppi, al posto del corso magistrale o accanto al corso magistrale, faceva già parte del movimento anti-autoritario. Il pro-cartello è anti-autoritario. Lo abbiamo visto nel 1979-1980, in occasione della dissoluzione dell’EFP, che cominciò con una rinascita dell’interesse per i cartelli.
La seconda osservazione è che il cartello incarna una tesi della teoria dei gruppi – per un gruppo ci vuole un leader, ogni gruppo ha un leader. Tale tesi si può iscrivere con le formule della sessuazione maschile, nello stesso modo in cui la passe, invece, risponderebbe alle formule della sessuazione femminile. L’idea di Lacan riguardo al cartello è, al contempo, che non serve a nulla negare il fatto del leader, ma che lo si può assottigliare, invece di gonfiarlo, lo si può ridurre al minimo, farne una funzione e, per di più, una funzione che permuta.
Il lavoro della Scuola
È allora che ho ripreso la frase di Lacan, che introduce il cartello nel suo Atto di fondazione: “Per lo svolgimento del lavoro, adotteremo il principio di una elaborazione sostenuta in un piccolo gruppo”. Commento: il cartello, che è tale piccolo gruppo, è un mezzo per svolgere un lavoro. Non è un fine in se stesso. Sì, ma non è neppure esattamente un mezzo. Lacan dice piuttosto che è il mezzo, non per svolgere un lavoro, ma per svolgere il lavoro. Il mezzo per svolgere il lavoro – con l’articolo determinativo. Questa frase, se ci si sofferma, dice che il lavoro della Scuola passa attraverso il cartello. Si potrebbe svolgere un lavoro di questo tipo con dei seminari, dei corsi, delle conferenze, delle Giornate di studio. Ma, per l’appunto, Lacan non dice: “Per lo svolgimento del lavoro, adotteremo il principio di una elaborazione sostenuta con dei seminari, dei corsi, delle conferenze, delle Giornate di Studio”. Dice: “adotteremo il principio di una elaborazione sostenuta in un piccolo gruppo”. Il lavoro. Che lavoro?
Nell’Atto di fondazione di Lacan, il termine lavoro viene ripetuto più volte. Lo si trova nel secondo e nel terzo paragrafo. Nel quarto paragrafo, l’autore parla di compito, nel quinto dello svolgimento del lavoro, ecc… Termina, poi, con i lavoratori decisi. L’Atto di fondazione è sotto l’egida del lavoro. Ma che cosa intende Lacan con il lavoro della Scuola? È un lavoro che “nel campo aperto da Freud restauri il vomere affilato della verità – che riconduca la prassi originale da lui istituita (…) a quel che al mondo le spetta – che con una critica assidua vi denunci le deviazioni e i compromessi…” In altri termini, l’esigenza etica, epistemologica, aletica, prassiologica, che Lacan fa intendere, si deve compiere attraverso un lavoro, il lavoro della Scuola, e tale lavoro passa attraverso il cartello – non attraverso il seminario, la conferenza, il corso.
Cartello e passe
Perché, per Lacan, il cartello è congruente con il lavoro della Scuola, nella sua esigenza più intima e più alta? Possiamo rispondere a questa domanda. Per rispondere, ci si deve innanzitutto chiedere: che cosa ha compromesso la verità della psicoanalisi e deviato la sua pratica? Conosciamo la risposta di Lacan, perlomeno nel suo versante istituzionale: la troviamo sviluppata in Situazione della psicoanalisi nel 1956. Il cattivo della storia è la beatitudine, è il didatta. In effetti, il cartello, così come Lacan lo presenta nell’Atto di fondazione, è una macchina da guerra contro il didatta e la sua cricca – come Lacan utilizza, altrove, questa espressione. Questo fa ben vedere la parentela tra il cartello e la passe.
La passe, come il cartello, dal punto di vista istituzionale, è una macchina anti-didatti. La Scuola, con il suo cartello e con la sua passe, è un organismo che mira a strappare la psicoanalisi ai didatti. Apparentemente, questo tende sempre a riformarsi, poiché Lacan è stato spinto a dissolvere tale Scuola per gli stessi motivi che l’avevano spinto a fondarla. La passe ha il risultato istituzionale evidente di far sì che la nomina degli AE sfugga ai didatti. Il cartello, nell’idea di Lacan, tendeva anche a far sì che l’influenza dei didatti non si estendesse sui membri di base, che erano incitati a non raggrupparsi in cricche concorrenti, ma ad entrare nell’organizzazione circolare della Scuola. Nell’Atto, Lacan aggiunge: “Ciò non implica affatto una gerarchia a testa in giù”. Vi si deve forse riconoscere una denegazione? Perlomeno significa mettere a soqquadro il didatta. Se non si tratta di una gerarchia al rovescio, ma piuttosto di un’organizzazione circolare, questa è comunque improntata da un egualitarismo certo. Nel sistema dei cartelli, uno vale quanto un altro. L’ideologia del cartello ha un certo aspetto leveller, livellatore. E, di fatto, Lacan, in tutte le sue iniziative, è stato accompagnato da una Fronda di notabili, che è iniziata con la fondazione stessa, che è continuata sino all’epoca della Proposta della passe e che si è conclusa con la dissoluzione della prima Scuola.
Il Piano Lacan
Se si coglie che, nell’intento di Lacan, il lavoro della Scuola passava attraverso il cartello – e non il seminario, la conferenza, ecc..-, si comprende, allora, la funzione delle Sezioni della Scuola. Lacan aveva previsto tre Sezioni che corrispondevano a dei raggruppamenti di cartelli. Questo piano di Scuola, il Piano Lacan, non è mai stato realizzato. Secondo tale piano, il lavoro della Scuola si svolge in cartelli. Se ci sono dei corsi, dei seminari, delle conferenze, questo si fa al di fuori della Scuola. D’altronde, il Seminario di Lacan era al di fuori della Scuola.
L’Atto di fondazione dice che lo specifico della Scuola, nel suo rapporto con la verità, è il lavoro per cartelli. La questione potrebbe essere d’attualità. Basterebbe deciderlo. Questo presupporrebbe d’interrogarsi sul perché il Piano Lacan non sia mai stato realizzato. Perché era irrealizzabile? Perché non si può inibire né l’aumento di carismi né la domanda di carisma? Si deve forse realizzare tale piano? O sarebbe forse un fondamentalismo del cartello? Si deve forse modificare qualcosa della definizione del cartello, o della pratica del cartello, per realizzare il Piano Lacan? Dopo tutto, è stato necessario completare la Proposta della passe per rinnovarla. Mi dicono che c’è un po’ d’incertezza riguardo ai cartelli. Se questo è vero, si deve scegliere: continuare sullo slancio o ripensare tale esperienza impegnandosi di nuovo.
Jacques-Alain Miller ha risposto a domande del pubblico nei seguenti termini (riassunto). La domanda che resta posta dal Piano Lacan del 1964 è la seguente: vogliamo o non vogliamo che la Scuola sia a parte? L’idea iniziale di una Scuola a parte può rispondere alla domanda che le pone – o che dovrebbe porle – la società, lo Stato, vale a dire quella della qualifica dello psicoanalista. In che modo vogliamo essere a parte? Oppure non vogliamo essere a parte? Come dare il massimo d’intensità alla Scuola? È importante ciò che funziona con successo in altri luoghi? O, al contrario, si deve andare fino in fondo nella nostra specificità, così come Lacan la delinea qui, assumendola e lavorandoci sopra? La Scuola diventerà la Scuola delle ACF? L’insieme delle ACF? O resterà il loro “più-uno”? Il che presuppone di re-inventare la sua differenza. La passe mette già la Scuola a parte. Anche il cartello può mettere la Scuola a parte? O è definitivamente banalizzato?
*Nota: Ho dato un seguito a queste riflessioni ne “La Scuola al rovescio”, pubblicato nel numero 1 de L’Envers de Paris, edito dall’ECF nel novembre di quest’anno.
Intervento fatto alla Giornata dei cartelli dell’8 ottobre 1994 all’ECF, trascritto da Catherine Bonningue. (Pubblicato inizialmente ne La Lettre mensuelle n. 134).
Traduzione: Adele Succetti