Un legame con la Scuola

Jacques Lacan – Il signor A., filosofo, che è spuntato da non so dove per stringermi la mano sabato scorso, mi ha fatto riemergere un titolo di Tristan Tzara.

Risale al Dadaismo, vale a dire non ai salamelecchi che cominciano con “Littérature” – rivista a cui non ho dato neppure una riga.

Mi si attribuisce facilmente un surrealismo che è lungi dall’essere del mio umore. L’ho provato contribuendovi solo lateralmente, e molto tardi, per stuzzicare André Breton. Devo ammettere che Éluard mi faceva tenerezza.

E pluribus non unum

Davide Pegoraro – Ho la fortuna di lavorare con altri, tra cui la responsabile dei cartelli per la SLP, a un cartello con partecipanti provenienti da due Scuole della AMP. Il tema di lavoro scelto riguarda il Parmenide e la lingua in cui è stato scritto e la questione dell’Uno. Ciascuno affronta il tema e approccia la lingua greca – e anche quella latina – con lo stile singolare che ad esse lo lega, nella sua lingua materna, a volte in quella dell’Altro, ossia il francese, in ogni caso comunque sempre e soltanto la sua.

L’interesse

Marco Focchi – L’invenzione del cartello da parte di Lacan, come sappiamo, è una macchina da guerra contro le gerarchie cristallizzate delle Istituzioni psicoanalitiche. Il cartello si svolge su un argomento d’interesse comune, e l’interesse è il vettore del lavoro. Questo significa che il lavoro non è trainato da un leader, da un conferenziere, da un’insegnante da cui l’insegnamento discende. Il cartello è la struttura fondamentalmente democratica del lavoro nella Scuola.

La porta del cartello

“Che nessuno entri qui senza essere entrato in un cartello”: potrebbe essere un’insegna da appendere sulla porta della Scuola, nello stile di quella che si leggeva quando si entrava nell’Accademia di Platone: “Che nessuno entri senza sapere la geometria.”

Il cartello è il principio della Scuola, la disciplina proposta da Lacan per articolare l’attività del gruppo con il lavoro particolare di ciascuno: la sua esperienza di lettura e di ricerca, il suo percorso nel sapere da quello che non sa, anche la sua invenzione, quando si produce.

Se il titolo con cui si nomina il cartello (il tema) è comune, il prodotto è particolare di ognuno e si offre al controllo della Scuola come un modo di far avanzare la psicoanalisi.

Un pilastro che poggia sul nontutto

La rivoluzione del cartel: la macchina da guerra contro I conferenzieri.

Nell’Atto di fondazione Lacan non dice: “Per lo svolgimento del lavoro, adotteremo il principio di una elaborazione sostenuta con dei seminari, dei corsi, delle conferenze, delle Giornate di Studio”. Dice:

“adotteremo il principio di una elaborazione sostenuta in un piccolo gruppo”1

Il lavoro. Che lavoro?

“Che ciascuno ci metta del suo”

Il signor A., filosofo, che è spuntato da non so dove per stringermi la mano sabato scorso, mi ha fatto riemergere un titolo di Tristan Tzara.
Risale al Dadaismo, vale a dire non ai salamelecchi che cominciano con “Littérature” – rivista a cui non ho dato neppure una riga.
Mi si attribuisce facilmente un surrealismo che è lungi dall’essere del mio umore. L’ho provato contribuendovi solo lateralmente, e molto tardi, per stuzzicare André Breton. Devo ammettere che Éluard mi faceva tenerezza.

La scuola a rovescio

Una lettura attenta dell’Atto di fondazione non dovrebbe lascia nessun dubbio: nell’intento di Lacan, il lavoro della Scuola, che “reintroduca il vomere tagliente della sua verità, che riconduca la prassi…al compito … denunci le deviazioni e le compromissioni…” passava tramite il cartello. Con il cartello, vale a dire: non con i seminari, né con i corsi o le conferenze o i convegni. Nulla di tutto ciò: il cartello.

A Rimini (ancora), sul cardo

Il 30 marzo scorso, la Segreteria di città di Rimini della SLP ha organizzato presso la Cineteca Comunale, un Incontro aperto alla città intitolato Amleto, un eroe moderno, coordinato dall’allora delegata cittadina ai cartelli, con interventi di quattro cartellizzanti […] È stata un’occasione per ritornare sulla domanda “cos’è un cartello?”, domanda che non ha una risposta – allo stesso modo che la domanda su cosa sia uno psicoanalista.

J.-A. Miller – Cinque variazioni sul tema sul tema della “elaborazione provocata”

L’espressione “elaborazione provocata”, forgiata da Pierre Thèves a partire da un testo di Lacan indicante quello che spetta al più-uno del cartello, fa centro ed è con molto piacere che ho accettato, su suo invito, di cimentarmi questa sera in alcune variazioni su questa formula. Ne proporrò cinque. Del cartello non esporrò il concetto, ma dirò l’uso che io ne faccio. Di punto in bianco: il cartello mi ha interessato per scopi di sapere. Ammetto volentieri altri usi. Questo è il mio.

Attraversato dalla lingua dell’Altro: il Cartel

Nel suo testo di apertura dei lavori Ilde Kantzas ricorda l’importanza che il cartello resista in questo momento di sfilacciamento delle reti sociali. Reti sociali. Ormai è sinonimo dei social e degli algoritmi che dominano le interazioni tra profili. Non si tratta di scambi, ma del risultato di un algoritmo che ti fa vedere solo quello che hai già visto. Un algoritmo davvero potente. Al punto che mi ha suscitato una certa inquietante estraneità quando, ascoltando della musica su YouTube, questo algoritmo ha saputo riprodurre con esattezza una serie di canzoni che amo particolarmente.